Il senso di un'opera d'arte nel mondo non-sense dell'arte. Di Chiara Canali

 

All’inizio di questa rubrica, vorrei fare una premessa per me estremamente importante e che reputo imprescindibile per chi lavora, vive e crede nel sacro fuoco dell’arte.

Prima ancora di parlare di tendenze, correnti, trend, filoni, corsi e ricorsi storici, vorrei battere il chiodo su un nodo fondamentale per qualsiasi tipo di pratica, non solo artistica: il senso del fare le cose e, in particolare, il senso di un’opera d’arte.

 

(Loris Gréaud, Cellar Door, Palais D e Tokyo, 2008)

 

 

Non mi sembra che in molti oggi si interroghino sul senso inteso come “capacità di sentire, in quanto presuppone un discernimento tra il reale e l’irreale, tra il bene e il male, tra il bello e il brutto, tra il conveniente e lo sconveniente” (Enciclopedia Treccani.it), e dunque, aggiungo io, la coscienza di sé stesso e la consapevolezza dei propri atti.

Senza questa innata ed essenziale processo cognitivo, qualsiasi azione a priori, anche se meccanica, sarebbe senza valore: Chi siamo? Dove andiamo? Cosa facciamo? Perché facciamo arte? Cosa vogliamo esprimere?

 

(Umberto Ciceri, Hypertrait (Spin Life), 2009, lenticolare, 110x100)

 

 

 

Domande che tutti dovremmo porci ogni giorno ma che, almeno chi gravita attorno al mondo dell’arte ed esprime ed interpreta quotidianamente i significati delle cose, delle parole e delle immagini dovrebbe avere fisse di fronte a sé.

Non vorrei ora lasciarmi andare in un’invettiva contro l’irrazionalità, la vanità e l’irresponsabilità del sistema dell’arte che fagocita con una voracità senza uguali ciò che possiede un valore di tipo economico senza tenere conto di parametri legati al valore intrinseco dell’opera d’arte; dall’attitudine poetica, alla natura riflessiva e utopica di molte ricerche artistiche.

D’altra parte, nel volume di economia e marketing dell’arte di Donald Thomson, intitolato Lo squalo da dodici milioni di dollari, il capitolo “I prezzi dell’arte contemporanea” spiega che il prezzo dell’opera è il segnale della reputazione di cui gode l’artista, dello status del gallerista e del potenziale del compratore. Inoltre, i prezzi non riflettono il valore artistico e la qualità intrinseca delle opere, ma le loro dimensioni e la loro reperibilità. Addirittura secondo quello che dagli economisti viene definito “fattore Veblen”, sono i prezzi a definire il valore di un’opera e a determinare la soddisfazione di un acquirente, non viceversa (lo stesso meccanismo che accade nel caso dell’acquisto di un oggetto firmato da uno stilista di alta moda).

La lista degli artisti il cui valore delle opere e l’importanza storica della ricerca è stata riconosciuta a posteriori, o addirittura post-mortem, è lunghissima e non ci lascia quindi meravigliati.

 

 

(Zelda Sartori, Senza titolo, 2009, olio su tela, cm 111x92,5)

 

 

 

 

In questa visione mercantilistica e non-sense, resta sempre in secondo piano quello che, a mio avviso, è il fine ultimo di un’opera che ambisca ad essere definita “d’arte”; intendo un significato da attribuire alle opere, visibile per tutti, sia per chi conosce e interpreta con gli strumenti della storia dell’arte, sia per un pubblico di non addetti ai lavori.

 

Una bellissima frase di Antoine de Saint-Exupéry recita così: «Il significato delle cose non sta nelle cosè in sé, ma nel nostro atteggiamento verso di esse». Questo sposta leggermente l’asse delle nostre discussioni, ma non di troppo: se infatti il risultato estetico è fondamentale per interpretare un’opera d’arte, ancor più importante è scoprire le ragioni che stanno a monte di una ricerca, la sperimentazione che l’ha generata, l’iter processuale che l’ha condotta a dispiegarsi in quella forma. Essendo l’arte un prodotto di mano, ma anche di pensiero e di intelletto, il binomio è imprescindibile.

 

 

(Enrico Lombardi, Cnosso 64 Paolo e Francesca, 2007, acrilico su tela, 90x70)

 

 

 

 

 

 

 

 

Per Sartre, che ha scandagliato con costanza il senso dell’arte, gli elementi reali di un’opera - i risultati delle pennellate, la preparazione della tela, i colori, e si potrebbe aggiungere i materiali della scultura, l’obiettivo della fotografia, i new media e i nuovi linguaggi della comunicazione e del video - non costituiscono oggetto di valutazione estetica “in quanto sono soltanto analoga materiali delle immagini ideali che costituiscono la vera e propria opera d’arte valutabile”.

Secondo Sartre il percepito, il reale, il materiale, servono soltanto da «catalizzatore» per l'immaginazione senza poterla né orientare né limitare. Il bello, o il senso di un’opera, per Sartre, non si situa nelle componenti concrete e visibili dell'opera d'arte e neppure nel piacere psicofisico che da esse è possibile trarre, bensì nel suo darsi come essenza o struttura “irreale”, rivelatrice di un mondo immaginario irriducibile ad altre modalità della coscienza.

 

(Lamberto Teotino, Criss, 2007, stampa Ocè Lightjet su carta Kodak, cm 100x150x3,5)

 

 

 

In quest’ottica, il gesto dell’artista si fa senso, si fa domanda, e diventa ricerca di significato in un sistema dell’arte che sempre più soffre di disvalore, vuoto, banalità. Il gesto dell’artista deve fare la differenza, deve lasciare un segno del suo passaggio, deve marcare lo spazio esteriore ma anche quello interiore.

 

La prossima volta che vi troverete di fronte all’opera di un artista, ponetevi queste domande, chiudete gli occhi, fate un sospiro, e lasciate parlare la mente e il cuore.

 

 

 

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