Le Accademie? per Daniele Capra sono case di riposo per artisti falliti!

Le Accademie? per Daniele Capra sono case di riposo per artisti falliti!

Abbiamo incontrato Daniele Capra, classe 1976, giornalista, curatore indipendente e militante. Daniele Capra (n. 1976) è un curatore indipendente e giornalista.

Ha curato oltre ottanta mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, Albania, Germania ed Israele. Ha collaborato con istituzioni quali CONECULTA del Chiapas, Casa Cavazzini Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine, la Galleria Nazionale di Tirana, la Fondazione Dena di Parigi, il Museo di Arte Moderna Ca’ Pesaro a Venezia, la Fondazione Galleria Civica di Trento, il Comune di Milano, il Museo Dada di Haifa, il Tina-B Contemporary Art Festival di Praga, il Museo di Zoologia ed Anatomia Comparata di Bologna e Dolomiti Contemporanee.

È stato curatore del Premio Onufri presso la Galleria Nazionale di Tirana, del Premio Trieste Contemporanea nel 2008, 2009 e 2013.

Ha scritto oltre trecento articoli su riviste e quotidiani. Collabora con Artribune, Venezie Post e i quotidiani del Gruppo Espresso.

Vive di corsa, con il portatile sempre acceso e pile di libri che attendono di essere letti.

 

Dal dopoguerra del secolo scorso le generazioni di artisti si sono lette seguendo il flusso della storia. Nella storia dell'arte seguendo il flusso del trend del mercato dell'arte. Le avanguardie storiche con il loro movimentismo invece avevano aperto il secolo passato sotto tutt'altra etichetta.

 

Ti devo interrompere. Non trovo corretta la tua lettura. Non trovo corretto parlare di flusso della storia, poiché questo implica una semplificazione che fa della storia stessa una percorso a tappe, tanto più in un settore in cui agiscono dinamiche di ordine culturale particolarmente complesse, quale il caso delle arti visive (o ad esempio della musica).

Sappiamo invece che non è così: fenomeni diversi sono coesistiti senza che necessariamente l’esistenza di uno significasse la morte di un altro. Pensiamo ad un caso ben noto come quello degli Stati Uniti nella metà degli anni Sessanta. Coesistono ricerche pittoriche come quelle di Rothko, Newman, Motherwell, Reinhardt insieme al minimalismo, alla pop art.

E poi c’è il concettuale che sta per essere codificato, ma che è nei fatti anticipato dai new dada alla Ruschenberg. Basta questo per dire che ci sono molti flussi, e categorizzazioni temporali sono comunque arbitrarie e del tutto accademiche: non possiamo dire, ad esempio, che l’espressionismo astratto sia dei ’50, il minimalismo dei Sessanta, eccetera. Più che il mercato sono le persone che contano, in quegli anni.

Anche il flusso del mercato di quegli anni è sopravvalutato rispetto per esempio a quanto sarà dalla fine degli anni Novanta, in cui entra la finanza a comandare per quanto riguarda i nomi più famosi.

Tutto il resto prosegue lentamente, con molte opere invendute e tanti artisti di ricerca sottovalutati o del tutto ignorati.

Anche le avanguardie, da noi onorate e mitizzate, hanno avuto spesso un impatto meno deflagrante sulla cultura di massa di quanto noi possiamo stimare a posteriore.

Ci sono voluti anni per capire/valutare le piccole o grandi rivoluzioni portate avanti dalle avanguardie…

 

Io penso invece alle prossime generazioni d'artisti lette e definite sulla base delle tecnologie dominanti, la lunghezza di una generazione dipenderà dalla longevità di una particolare innovazione e applicazione tecnologica? Possiamo arrivare a ragionare su dei linguaggi artistici radicali figli della generazione delle applicazioni?

 

Non penso che sia così: non lo è mai stato.

Il fatto che ad esempio l’olio abbia soppiantato la tempera ha semplicemente dato possibilità espressive in più agli artisti.

Ora, la velocità della nostra vita è molto più elevata di quella del XV secolo, ma non cambia la sostanza.

Discorso analogo si può fare per la fotografia.

Le innovazioni sono solo più strumenti espressivi a vantaggio dei bravi artisti. I cattivi artisti faranno ancora più confusione!

 

Rispetto a questi grandi cambiamenti, come leggi le stasi (anche normative figlie di dibattiti datati) delle Accademie di Belle Arti? Sembra impossibile accedervi dall'esterno senza avere prestato prima tre anni di servizio, anni di servizio svolti precedentemente per "meriti artistici" valutati dagli stessi Maestri d'Accademia, che nelle Accademie dove vivono e lavorano.

 

Penso che le accademie - seppur con qualche eccezione come Venezia, Torino, forse Milano e Bologna - siano incapaci di dare opportunità agli artisti, ed è questa la cosa più grave.

Sento frequentemente dagli artisti che i maggiori insegnamenti si hanno spesso dai colleghi studenti, non tanto dagli insegnanti.

Detto questo penso il metodo di selezione degli insegnanti non sia al passo coi tempi, con valutazioni approssimative dei meriti artistici.

Per così come sono, infatti, le accademie sono molto spesso una casa di riposo per artisti falliti: è più importante dare lavoro a queste persone che fornire una preparazione vera ai giovani artisti.

Ci sono delle eccezioni, ovviamente, e poi talvolta anche artisti non particolarmente capaci sono stati in grado di avere allievi molto interessanti.

Ma bisognerebbe fare una valutazione obiettiva dell’insegnamento anche guardando le mostre cui partecipano gli studenti negli anni successivi.

L’accademia dovrebbe funzionare come rampa di lancio, i professori dovrebbero dare contatti e consigli non solo tecnici…

Mimmo Di Caterino

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