Antonio Cardone: gli artisti napoletani? Autentici e resistenti.

Antonio Cardone: gli artisti napoletani? Autentici e resistenti.

Antonio Cardone, vive e lavora tra Napoli e Correggio.

Il tuo lavoro pittorico è così gestuale, forte, dinamico, bastardo e infame nei confronti della superficie che affronta, da fare sembrare la pittura fauve, uno sterile esercizio Accademico; sembri bombardare la tela con bombe di colore che materializzano una umanità furiosa sempre sul punto di farsi lo scalpo, possibile che tutto questo dipenda dalla tua formazione Napoletana?

Tutto questo sembri bilanciarlo, quasi a risolvere un conflitto bipolare tra linguaggi classici dell'arte, con fare plastico scultoreo, che invece è delicatissimo, come fai a fare convivere con serenità queste tue due anime creative?

Riesci a farle incontrare e dialogare?

 

Sulla matrice bastarda del mio fare pittorico, concordo sull'influenza esercitata dalle origini partenopee.

Napoli è la somma dell'umana condizione, e se uno ha l'indecenza di nascervi, avrà subito chiara tutta la gamma dello scibile umano nella sua più atroce radicalità.

Per quanto riguarda la dicotomia stilistica tra scultura e pittura, penso sia data dalla natura stessa delle due forme.

L'atto del dipingere, per me, è più simile ad un rovesciare, proiettare, insomma vomitare sulle superfici tutto quanto ribolle nel mio immaginario, questo è reso possibile dall'immediatezza del gesto pittorico.

La scultura ha invece una natura diversa, dovuta dal rapporto con lo spazio, che popola, o da cui sfugge, un ambigua genesi di idolo, monumento, trofeo, oggetto apotropaico e apotrocida (anelare alla spiritualità inconsapevole).

La scultura è un territorio minato, un universo popolato di archetipi, un diluvio semantico, in cui lo scultore deve muoversi con fare chirurgico, se non vuole diventare un cattivo demiurgo.

In realtà nel mio studio, queste due entità hanno sempre dialogato, ma la visione del risultato di questo rapporto, è sempre stato un mio esclusivo privilegio.

 

Torniamo al tuo caustico, bombarolo e iconoclastico approccio alla pittura; negli ambienti per "addetti ai lavori" non si ragiona mai, su come un artista per sostenere la sua libera ricerca artistica, sia costretto a fare un altro lavoro, questo non da ieri, ma almeno dai tempi di Duchamp (che questa poetica e politica azionistica dell'arte, fondata sulla sua indipendenza, sosteneva con il vigore del giocatore di scacchi); tu nel nome della tua ricerca sei emigrato da Napoli e vivi di restauro, da un lato liberamente aggredisci e infami con il tuo linguaggio pittorico la tradizione Accademica e dall'altro ne conservi la memoria restaurandola; sembri ferire e medicare continuamente la tua idea dell'arte è una impressione errata?

 

 Un ironica fatalità voler distruggere il chiaro di luna, ma essere costretto a ripristinarne la "scenografia", ma questo ha un importanza relativa, se si considera che la coscienza che abbiamo di un simbolo è suscettibile di mutazione.

 

Vivi e lavori tra la periferia di Napoli e Reggio Emilia, quanto sono differenti le due realtà artistiche?

L'attenzione legata all'arte contemporanea nelle due realtà muta?

Più che gli artisti legati al mainstream del mercato, sto ragionando su come nei due territori, si presti attenzione e tuteli la ricerca linguistica e culturale degli artisti che lo abitano.

 

La domanda meriterebbe un trattato, per le implicazioni sociali, politiche e culturali che si porta dietro.

La differenza sostanziale sta nella scelta politica di un territorio, che vuole veicolare attraverso l'ostentata sensibilità verso le discipline artistiche, un idea di società dialogante e positiva, ma che in realtà educa e cresce generazioni di adepti dell'establishment.

Vedi i ponti di Calatrava o la settimana della fotografia "europea".

Rispetto a questa omologazione, penso che Napoli possa ancora una volta rappresentare l'ultimo luogo fisico e dell'anima, in cui sia ancora possibile trovare dei moti di autenticità.

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Mimmo Di Caterino

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