Abbiamo incontrato Duccio Canestrini, antopologo, giornalista e docente al Campus universitario di Lucca, partendo dal suo ultimo lavoro "Antropop - La tribù globale", abbiamo ragionato con lui, su come stanno mutando i linguaggi dell'arte contemporanea.
Duccio io e te abitiamo corpi e sistemi biologici antichissimi dal punta di vista evolutivo, sistemi che si nutrono di risposte a significati (il sistema immunitario, quello degli oppiacei endogeni, dell'ormone e dello stress); questo in naturale relazione con l'ambiente esterno al quale si sono adattati (Darwin docet); lo stimolo esterno è materializzato dai diversi significati con cui il nostro corpo interagisce, questo accade anche il linguaggio dell'arte con i suoi rituali di questo tempo.
Linguaggio, cultura dell'arte, biologia e antopologia pop interconnessa, sono strettamente connesse nella rappresentazione di senso del vivere, accantonare questa nostra naturale interazione umana è secondo te moralmente accettabile o significa annientare una condizione del sé? In altre parole come stanno mutando gli artisti?
Per quanto ne sappiamo, il nostro cervello è l’unica sostanza dell’universo in grado di pensarsi da solo.
Come sia potuto accadere che l’uomo abbia sviluppato la facoltà autoriflessiva, congiuntamente all'irrinunciabile smania di dare un senso alle cose, non è per niente chiaro.
C’è chi dice che sia una nostra patologia, che porterà alla rovina sia noi come specie sia il nostro pianeta.
C’è chi parla invece di scintilla divina come di un nostro privilegio, più unico che raro.
Possiamo anche dire che vi sono analogie con l’intelligenza manifestata da altri animali.
Ma a un certo punto homo sapiens ha seminato i concorrenti con trovate formidabili, tipo il linguaggio, e non c’è più stata storia per nessuno.
Non è una questione da poco, e infatti non è da oggi che ci chiediamo come mai ci sia toccata la sorte di sputtanare la scintilla divina.
Detto ciò, ben vengano gli artisti che si interrogano sul mutamento.
Mi capita spesso quando leggo di artisti che il mercato impone e propone dalla Cina o dall' India, di essere davanti a qualcosa di già visto nella storia del mercato dell'arte occidentale...
Globalizzazione e riglobalizzazione, flussi incrociati, meticciati, è il frittatone planetario di cui parlo in Antropop.
Succede.
Secondo te sono un pazzo?
Spero proprio di sì.
Perché non si ragiona sugli artisti che nel nostro sistema, di tutto questo stato di cose ha attestato il fallimento evolutivo, e preso atto che gli eccessi del mercato frenano il loro libero sviluppo dei linguaggi dell'arte?
Bib bip grrr fzfzfz ?!? non ho capito la domanda!
In altre parole non ti sembra che si stia importando una idea dell'avanguardia concepita altrove che corrisponde di fatto alla nostra tradizione?
Le tradizioni non sono sacre né immutabili, qualcuno se le è inventate, prima o poi. Innestare nuovi virgulti su vecchi ceppi può essere una buona cosa, stai a vedere che i fiori saranno diversi.
Io sono per la sprotezione delle idee, fatico a stare dentro le barricate dei copyright, dei diritti di prelazione e di riproduzione. Mi piacciono le cose libere e belle, e se qualcuno migliora una mia frase, meglio.
Ma se me la peggiora lo stermino ;-)
Ormai la consuetudine fallo-vagina, nei linguaggi dell'arte contemporanea dilaga, figlia diretta del consumismo e della rivoluzione degli anni sessanta, indotta dal boom economico, per il quale consumismo equivaleva alla libertà di fare e di essere da anteporre ai dogmi e alle restrizioni del comunismo; da allora, l'espressione della liberazione sessuale è passata per il fallo e per la vulva, piuttosto che in stili di vita volti a liberare i contenuti e farne identità e memoria da tramandare e conservare. Possibile che tra vulve e falli lo si è forse preso tutti nel deretano?
Ho appena letto un report sulle ultime ricerche nel campo della robotica, pare che il mercato più promettente sia quello del sesso.
Che dire, siamo fatti così, la cosa ci interessa parecchio, perciò la sottoponiamo a tabù sociali.
Ovviamente, essendo per vocazione trasgressiva, l'arte pasticcia con i tabù.
Le cose belle e sane (potrebbe essere bello e sano anche prenderlo/a nel deretano, dipende dai punti di vista) si vedono e si apprezzano.
Le ciofeche, morali o immorali che siano, invece si smascherano.
Possibile che gli artisti degli anni sessanta, siano stati vittime inconsapevoli di un mercato che ha svuotato di contenuti l'arte contemporanea? Che il linguaggio dell'arte sia diventato estetica di se stesso e vendita della notizia?
Possibile, certo. E accade non soltanto nel campo dell'arte. Sul mio comodino in questi giorni c'è il libro di Francesco Bonami, Lo potevo fare anch'io.
Perché l'arte contemporanea è davvero arte (Mondadori, 2009).
Mi sembra buona divulgazione.
Magari voi lo odiate, non lo so. Ma alcune cose sono ben dette. Tipo: "Non è brutto ciò che è brutto, ma è brutto ciò che piace".