Durante l’infanzia non ho letto libri. …
Comincia così un testo fra i più singolari della letteratura europea del ‘900, “A spasso sui cornicioni” di Aleksej Michajlovic Remizov (1877-1957). Fu scritto fra il 1924 e il 1928 a Parigi e pubblicato per la prima volta a Belgrado nel 1929. Questo fa capire quanto Remizov soffrì il regime della sua Russia. Da giovane fu arrestato durante una manifestazione studentesca e mandato al confino. Qui cominciò a leggere i libri perduti nell’infanzia, andò oltre e cominciò a scrivere. Nel 1905 si stabilì a Pietroburgo, non molto tempo dopo si rifugiò a Berlino e quindi, nel 1926, definitivamente a Parigi. Nel periodo 1908-1920, Remizov è autore di circa trenta volumi di scritti vari, fra cui romanzi, raccolte di poesie, rielaborazione di fiabe, testimonianze della Russia che fu, racconti e saggi.
Lo si vuole scrittore simbolista e decadente. In effetti, il volume di cui si parla (a cura di Mario Alessandro Curletto (il melangolo, 1995) si rifà a una certa letteratura nostalgica e in qualche modo rappresentativa di una determinata reazione che un simbolo ben curato nobilita in senso soprattutto intellettuale. Nel caso di Remizov questa cura riguarda piccole cose che diventano grandi perché tratte dalla straordinaria favolistica russa. Il Nostro esclude le narrazioni eroiche delle “byline”, tonitruanti e non prive di crudeltà, benché involontarie, cioè non rispondenti alla crudeltà vera e propria, ma a scene a fini edificatori propri della nascita di un popolo, come, ad esempio, è nella stessa Bibbia per il consolidamento, in una sola comunità, delle tribù ebraiche.
In particolare, la sottolineatura dello scrittore a pensieri, fantasie, immaginazioni che appartengono al mondo misterioso della vera Russia, quella sepolta sotto la neve nelle lunghe sere d’inverno, non mostra segni di sconfitta, ma di vittoria della mentalità romantica su quella positivista imperante.
Quando va a Berlino e a Parigi, Remizov porta con sé un bagaglio ricchissimo di soluzioni consolatorie da opporre alla misera vita di tutti i giorni. La fantasia russa è ben conservata dallo scrittore e all’occorrenza riproposta in tutta la sua fragranza, in tutta la sua sapiente ingenuità. E’ un’ingenuità che rende viva ogni cosa, anche la più umile e la meno attraente (come un topo) tramite personalizzazioni. Il nostro scrittore dà a tutto un significato profondo, individuando un “esprit” o un “gespenst” da qualunque cosa sia circondato.
Anzi, egli riconosce le cose attraverso la loro anima. Ovviamente l’esprit è qualcosa di più, è lo spirito, ovvero l’animo profondo di ciò che lo scrittore guarda o vuole guardare. Il gespenst è il fantasma, vale a dire l’alone che, come l’aureola dei santi, circonda la cosa osservata, inducendola a farsi osservare e rispettare. Remizov è dentro questo mondo magico dal quale, tuttavia, non si fa suggestionare al punto di sacrificare la ragione. La sua è un’operazione diversa: la ragione riconosce la magia e la rende reale.
Il nostro scrittore sta a occhi aperti, ben aperti sui fenomeni che avvengono di fronte a lui. E trasforma in reali avvenimenti immaginati (come quando afferma d’aver incontrato un personaggio e di avergli parlato, benché costui, come gli verrà rivelato, fosse morto un giorno prima; si tratta di un realismo superfetato, molto noto nella tradizione ebraica del “dybbuk” – progenitore dei volgari vampiri alla Dracula -, che nel caso del Nostro si rivolge a un’idea di sopravvivenza riservata alle persone perbene).
“A spasso sui cornicioni” è una sorta di diario scritto in modo assolutamente originale, quasi un riassunto della sua scoperta del mondo ideale, dove è difficile, se non impossibile, trovare capo, coda e fili rossi tradizionali. A differenza di Leskov (“L’angelo sigillato”), Remizov non ha pretese trascendentali, pur ben guidate, ma è spinto da una curiosità di carattere metafisico che riesce a controllare tramite un’ironia lieve, quasi incredula, e da un’enorme disponibilità a ritenere indispensabile anche l’inspiegabile. La necessità dell’uomo non sta soltanto nell’individuazione oggettiva delle cose, bensì anche in quella, per così dire, soggettiva.
L’individuazione soggettiva rende amica la cosa individuata perché, così, si supera la limitatezza materiale. Remizov, con una scrittura sublime per leggerezza e umiltà, ce lo ricorda, amichevolmente, a ogni riga, a ogni virgola.