Stefania Morgante: La cultura a Cagliari? Non ha riferimenti!

Stefania Morgante: La cultura a Cagliari? Non ha riferimenti!

 

Stefania Morgante, nasce a Brindisi nel 1967, vive e lavora a Cagliari da vent’anni.

 

Stefania tu sei una artista molto eclettica, ma dovendo metterlo a fuoco il tuo linguaggio artistico ha una anima profondamente narrativa, sbaglio?

Non sbagli, ero nata con la poesia, avevo smesso di disegnare, di dipingere. Pensavo di non poter fare le due cose insieme.

Avevo scelto il liceo Artistico (Lecce) e i professori mi ripetevano costantemente che avrei dovuto frequentare il classico.

In effetti leggevo molto ma avevo una memoria visiva spiccata.

Ho iniziato a vincere concorsi di poesia.

Il più incisivo ad Ischia, dove a furia di ritornarci, mi ha fatto affiorare il desiderio di ritornare alle arti visive.

Andavo spesso a Napoli (avevo gli amici li’): i chiaroscuri, i vicoli, la lingua, la visita di chiese e di luoghi oscuri e attrattivi, assieme ad un’anima internazionale, mi hanno spinta a considerare le parole e i colori come binari paralleli da frequentare.

Il liceo mi aveva fatto perdere la voglia di sperimentare.

A distanza credo invece sia stato utilissimo per le basi tecniche, meno per gli stimoli.

Ricordo due professori in particolare che mi dissero di non provare mai con l’acquerello e men che meno con la modellazione (‘sei troppo minuziosa, troppo lenta‘, senza sapere o senza suggerirmi che ad ogni età può corrispondere un tempo e quindi una velocità.

Minuziosa a 15 anni può non voler dire nulla con tutta la vita davanti.

E comunque prima di toccare un acquerello ci ho messo decenni, troppi veti mentali regalitimi). Mettiamoci anche che mia nonna in Friuli mi preparava pile di libri perché non concepiva le estati a bighellonare e che la sera durante gli acquazzoni d’agosto davanti a una tazza fumante di karkadè, mi raccontava delle sue avventure in Africa.

Insomma la narrazione ha sempre avuto un grande fascino su di me.

Non credo di essere eclettica però.

Credo che la ricerca di nuovi punti di vista nel mondo che ci circonda, abbia bisogno di più strumenti e quindi di più materiali e tecniche.

L’eclettismo, la poliedricità, dovrebbero essere pane comune a chiunque esplori il mondo attraverso l’arte.

In questo momento capisco che dove non arrivo col colore posso arrivarci con le parole.

Questo depista i più, eppure dovrebbe essere normale.

C’è un legame tra Cagliari e l’isolanità e il tuo linguaggio artistico?

Cosa ti lega a Cagliari e all’isola?

I primi giorni che ero qui a Cagliari, ero ancora studentessa a Bologna, avevo subito per l’ennesima volta la fascinazione dell’isola, come luogo dell’ altrove, come tentativo di sfuggire alla visione diretta delle cose.

Ho sempre pensato che l’isola ha un ritmo e un modo di vedere il resto del Paese differente.

Ti può dare modo di capire meglio o in maniera diversa, quello che accade attorno a noi e dentro di me.

Avevo iniziato con Ischia, autentica folgorazione dei 16 anni, poi proseguita con Procida (in cui vidi una piccola ma interessantissima mostra di pop art a picco sul mare, un ricordo indelebile) e naturalmente arrivai in Sardegna con il classico viaggio da amici.

Ho un debole per le isole.

Le amo e le odio, perchè poi non amo stare al mare, non sopporto il caldo e resisto poco alla salsedine.

Difficile vedermi al mare a crogiolarmi al sole.

Cagliari poi ha una luce difficile per me: troppo lattiginosa, troppo polverosa, raramente vedo cielo nitidi e netti come mi capita in Friuli o in Puglia, è difficile anche lavorare con l’acquerello quando è molto caldo e umido per non parlare delle paste polimeriche.

Cagliari mi ricorda tutti questi luoghi eppure è completamente diversa. Ne traggo i colori svaporati per sottrarre al mio istinto baroccheggiante qualche nota di saturazione e regolarmi meglio in un equilibrio che mi soddisfi di più.

Nello stesso tempo rinnova (Cagliari e l’isola) quel gusto per la decorazione, per il particolare, per il dettaglio, che ha sempre fatto parte della mia vita.

Negli anni mi sono sempre più isolata, non trovavo più stimoli, mi è parso che la città diventasse via via autoreferenziale, secondo quel gioco pericoloso secondo cui ‘noi siamo al centro del mediterraneo e abbiamo bellezze incomparabili rispetto al resto del mondo’.

Detta così, questa affermazione può essere pericolosa, perchè significa arroccarsi sulle proprie bellezze e potenzialità senza aprirsi al mondo. Accogliere altre culture o altri punti di vista, non necessariamente affonda ciò che si è ma forse ti sfronda dai campanilismi e ti aiuta a rinnovarti.

Come hai trovato Cagliari a distanza di tempo? Quanto è mutata in questi vent’anni che la vivi?

L’hai osservata molto anche attraverso i social network e la narrazione mediatica di candidata capitale Europea della cultura, nella pratica come questo si è applicato alla città che abiti?

Quanto linguaggio e dialettica dell’arte contemporanea hai trovato diffuso, fruibile e masticabile, da ricercatrice di stimoli e linguaggi artistici per autoalimentarsi?

Oggi consideravo che sono a Cagliari da 20 anni e le cose le ho viste cambiare notevolmente.

Venti anni fa qui, in questa città, ho conosciuto poeti importanti, solidi, come la Rosselli che ho potuto poi risentire più e più volte privatamente. La poesia aveva uno grande spazio, il dibattito era aperto a tutti e il pubblico non mancava mai.

Mi pareva ci fosse meno scollamento fra la gente comune e i linguaggi dell’arte e la partecipazione era meno mediata da gruppi consolidati, istituzionali.

Negli anni mi sono sempre più isolata, non trovavo più stimoli, mi è parso che la città diventasse via via autoreferenziale, secondo quel gioco pericoloso secondo cui ‘noi siamo al centro del mediterraneo e abbiamo bellezze incomparabili rispetto al resto del mondo’.

Detta così, questa affermazione può essere pericolosa, perchè significa arroccarsi sulle proprie bellezze e potenzialità senza aprirsi al mondo. Accogliere altre culture o altri punti di vista, non necessariamente affonda ciò che si è ma forse ti sfronda dai campanilismi e ti aiuta a rinnovarti.

Oggi vedo mostre o dibattiti meno frequenti, vedo in generale che si fa fatica ad inserirsi in qualsiasi progetto.

La stessa candidatura mi è parsa più uno spingere per portare turismo e denaro (e quindi posti di lavoro, che in sé sono auspicabili, ma non in questo modo, non funziona), che non un progetto che coinvolgesse dal basso i cittadini.

Candidarsi come capitale della cultura per me, significa cambiare culturalmente una città, dare spazio a progetti a chiunque abbia una idea, senza sponsor o limiti di età.

Avere una visione lunga anni, lavorarci anni.

Credo sia stata una candidatura affrettata e che non aveva speranze e il poco che ho seguito online mi è sembrato non veicolasse informazione e coinvolgimento della gente.

L’arte dovrebbe criticare, tenere svegli, denunciare, non blandire il potere.

Non ha alcun futuro un concetto di arte d’elite dove gli artisti si scambiano mostre e idee e favori.

Perfino la street art alle volte mi pare elitaria!

Il progetto di capitale della cultura doveva lasciare spazio alle idee di qualsiasi tipo, mi sarebbe piaciuto vedere studenti e ragazzi prendere in mano la città, abbellirla, sottolinearla, criticarla, filmarla.

Anche in un patto fra generazioni più anziane, che possiedono la storia del luogo.

In questi giorni festivi ho provato a passeggiare come turista. ero alla ricerca di suggerimenti per un mio progetto di natura urbana.

I luoghi del centro erano occhi vuoti-negozi ormai chiusi, spazi pubblicitari senza pubblicità-detrazione di storia, di abitudini, di punti di riferimento.

Ma al loro posto ancora niente, c’è il rito funereo del non luogo: ‘qui non c’è più il cinema, qui non c’è più quel negozio, qui manca quella panchina’. Ma non sono vuoti che lasciano aperto lo sguardo, che ampliano i punti di vista. Sottlineano anzi la mancanza della sostituzione.

La sensazione? di essere sul ciglio, ma se ci si butta cosa c’è sotto?

Si sta preparando qualcosa?

Assistiamo al moltiplicarsi di vuoti che ci assorbiranno come un buco nero?

Mimmo Di Caterino

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