Spesso si guarda un quadro, una scultura, un'architettura, senza vedere, senza capire, senza partecipazione. Afferrare il senso di un'opera e inquadrarla nel contesto in cui è stata generata non è facile, ma non è neanche roba da Superman con la super-vista a raggi X. Basta togliersi i paraocchi di una critica scontata, superficiale, banale. Ripetuta fino alla noia. E pensare con la propria testa senza lasciarsi condizionare dal giudizio degli altri.
ESPRESSIONISMO ASTRATTO
Da "Controstoria dell'arte" di Pablo Echaurren - Gallucci editore
Non credete alla leggenda metropolitana che fu la Cia a inventare l'Espressionismo Astratto? Non credete alla teoria della cospirazione, alla dietrologia della macchinazione, della manipolazione di massa che si ottiene battendo la grancassa? Io sì. O meglio non la scarterei proprio del tutto.
E poi ci sono le prove, ci sono i testimoni oculisti, è stata perfino trovata la pistola fumante, il pennello gocciolante, il tubetto spremuto sul luogo del delitto. Ci hanno scritto sopra libri, trattati, dossier secretati. I legami tra guerra fredda, semifredda e Espressionismo Astratto non sono frutto di elucubrazioni a bischero sciolto, non sono il costrutto di una mania di persecuzione, non sono le solite paranoie di coloro che cercano un complotto dietro ogni loro sconfitta, non sono aria fritta e rifritta.
Eppure la notizia per quanto sfizia stenta a trovare credito, viene relegata nel limbo del sentito dire, nessuno vuole approfondire. Quasi si avesse paura di sapere. Non temete, ci penso io a fare piena luce, a ripulire gli angolini, a svelare gli altarini. Come sempre mi tocca a me di fare il lavoro sporco. Ma principiamo dal comincio.
Era appena terminata la seconda baraonda mondiale e i servizi segreti Usa decisero che andava contrastata la campagna di reclutamento avviata dai partiti comunisti terzinternazionalisti che stavano accaparrandosi la meglio intellighenzia occidentale. A partire da Picasso che oltre alla colomba della pace aveva fatto anche il ritratto di quel satan aleppe di Giuseppe, Stalin. Addavenì Baffone!
Bisogna sapere che nel secondo dopoguerra tutta la cultura più avanzata era schierata a favore del blocco sovietico che viceversa, paradossalmente, era assai bisbetico e insofferente nei confronti dell'arte moderna (specie se di tipo non figurativo celebrativo), incline piuttosto a un becero realismo socialista di stampo operaista.
Anzi, a esser sinceri, al regime bolscevico l'avanguardia gli faceva schifo su tutta la linea, la vedeva come il fumo agli occhi, gli faceva salire la pressione tanto che aveva risolto il problema con un meticoloso programma di epurazione e deportazione.
Dopo di che i pochi sopravvissuti ai rigori siberiani si adattarono di buon grado a lucidare gli stivali dei generali e vivacchiarono in una condizione di tristo servilismo derivante da gulaghismo strisciante. Ma qui da noi la cosa non veniva presa troppo sul serio in quanto attribuita alla bieca propaganda antimarxista del blocco capitalista.
Diciamo che c'avevamo gli occhi foderati di prosciutti marca Togliatti. Così dovettero scendere in campo i Men in Black. Con una scaltra operazione di intelligence, di marketing e di supporting messi insieme, invece di smontare con missili terra-aria la visione radiosa e fantasiosa del sol dell'avvenire, i Nostri cominciarono a pompare i campioni più inguacchioni e sbrodoloni che infestavano il paese, come Pollock, Rothko, Motherwell, de Kooning e compagnia bella.
Capirono che invece di sganciare l'ennesima bombetta H potevano sterzare verso un'impostazione di radicale decontaminazione ideologica inoculando nel sistema corticale una dose massiccia di virus abstracti. Avrebbero fatto meno vittime e messo a tacere le solite pittime pronte a recriminare su ogni intervento militare a fin di bene.
L'Action Painting divenne l'arma più potente, l'interprete privilegiato e vezzeggiato dell'american way of life, lo stemma del nuovo style che intendeva aderire ai principi inalienabili di "vita, libertà e ricerca della felicità". Cosa di meglio del grande guazzabuglio astratto per raccontare che solo al di qua della cortina di ferro era possibile realizzare il sogno della più sfrenata espressività?
Che solo gli Unitedstates potevano offrire un valido appiglio a chi decideva di liberarsi del bavaglio del proletkulturismo, che solo lo zio Sam ci metteva a riparo dall'abbaglio assai diffuso per lo zdanovismo, dal raglio agitprò del politburò. Che la pittura della nuova era di pace non faceva rima con "dittatura" ma con "democrazia", che l'unico postulato possibile era: "libera astrazione in libero stato".
Che solo nella Grande Macchia si pole trovare la vera pacchia. La fisicità delle superfici incrostate, le colature coagulate, l'urlo dei colori sbrodolati e schiaffeggiati sulla tela, lo strazio dello spazio violato, divennero documenti imprescindibili di quella lotta esistenziale che gli artisti avevano intrapreso per se stessi e per l'Amerika tutta, colonie comprese.
L'operazione riuscì in pieno, la ciambella venne fuori col buco al posto giusto, il gusto del turbomercato si indirizzò senza tentennamenti verso la nuova corrente bollente e in un istante l'Action Painting si tramutò in Auction Painting.
Espressionismo Astratto, Action Painting, Informale, chiamatela come vi pare, fatto sta che il genere gestuale scalò tutte le classifiche, si aggiudicò le battute d'asta più vertiginose, stracciò ogni possibile concorrenza. Inventò i soldi, quelli veri. A sei zeri.
Prima l'artista era un poverello stenterello, un bohemien, un tisichello con le pezze al culo che mangiava pane e cipolle, in un attimo divenne qualcosa di prezioso, di esplosivo, di esclusivo, un ordigno a orologeria che è bene maneggiare con cura, una mina vagante che ogni momento può scoppiare in un tripudio di successo a go-go. Non fu solo Picasso ad andare all'incasso. L'intera la scuderia voluta dalla Cia si ritagliò un posto in paradiso. Quello fiscale.