Paris Photo: i paesi dell’Europa centrale..“ Che cosa Resta ” | Leda Lunghi

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Paris Photo è l’evento che come tutti gli anni riunisce il mondo della fotografia a Parigi, rappresentando i migliori momenti dell’espressione fotografica dal 19esimo secolo ai giorni nostri.

L’obbiettivo di questa 14esima edizione è puntato sull’Europa Centrale, in particolare su cinque paesi: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e attraverso partnership come BMW , SFR e Leica la fiera è in grado di promuovere concorsi da cui ogni anno escono nomi più che promettenti.

Quest’anno Paris Photo coincide con la biennale “ Mois de la Photo” un evento che ancor di più trascina e coinvolge Parigi nel mondo della fotografia, in quanto non potrebbe esserci luogo migliore, più edonistico ed artistico. Parigi: regina, modella amata da molti fotografi illustri, si specchia in se stessa, in quanto oggetto ospitante e ospitato, luogo affascinante, incerto, di ebbra e caduca malinconia , solo Parigi poteva divenire la città epicentro della fotografia; città della poesia e della fatalità.

Ed è in questo ambiente rarefatto che la fotografia ci trasporta nella sua veritiera realtà, aprendoci le porte nel Carrousel du Louvre , con la sua delicata ma al contempo raffinata maestosa bellezza francese, imperiosa ed elegante, lei sola poteva essere l’icona, la porta, la sfinge di un cammino lungo 3000m2, contenente centoventi espositori il cui 77% stranieri; sono più di mille gli artisti che s’incontrano lungo questo cammino e si attendono circa quarantamila visitatori in cinque giorni( 18- 21).

 

 

Abbiamo già sottolineato l’importanza che questa fiera ha riservato ai cinque Paesi del Centro Europa ( Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia, ) luoghi indiscutibilmente noti per provenienza di grandi menti intellettuali, molto spesso costrette all’abbandono della patria o all’esilio, a causa della semplice “colpa” di raccontare , tramite il logos, l’immagine o altri mezzi: la verità.

Questa parola verità è particolarmente importante in quest’edizione di Paris Photo, poiché si da modo di far parlare popolazioni che sono state censurate per molti anni, o hanno parlato, ma nel silenzio, nell’oblio, nelle metafore oppure nell’esilio. La fotografia per queste popolazioni diviene mezzo sensibile di ricezione e trasmissione ,con essa ogni artista dona voce al disagio subito, affronta il proprio pensiero, la propria esperienza; sono scatti colmi di veli malinconici quelli presenti, la malinconia è infatti il simbolo di questi paesi negli ultimi anni.

Poiché finito, abbandonato il sogno, è giunto l’incubo, la speranza del cambiamento è divenuta prigione di idee e di povertà e tutto questo ha portato a un lento ed inesorabile declino fino alla caduta del comunismo nel 1989 e da quel fatidico anno ad oggi Rita Kàlmàn e Tijana Stefanovic ,con il supporto del Ludwig –Museum of Contemporary Art, hanno dedicato un progetto intitolato “ Tempi di transizione”, un progetto che racconta gli anni successivi alla caduta del muro incentrato sulla video arte.

 

 

In molti scatti si potrà osservare, constatare, capire, come diverse generazioni di uomini, si sono relazionati dal 1920 ad oggi, ci giungono gli sguardi di chi ha evocato e creduto nell’utopia, idea promessa e abbandonata, vediamo le immagini delle parole di Christa Wolf : “ la via più sicura per perdere le illusioni è sempre quella di metterle alla prova”, descritte attraverso obbiettivi differenti. Perché non c’è mai prigione maggiore di quella creata da noi stessi; queste fotografie ce lo dimostrano. Esse ci aprono lo sguardo su un mondo divenuto prigioniero delle sue stesse utopie, che ha confuso ideali e ideologie, queste immagini ci mostrano come la forza e la passione per l’utopia una volta svanita, sia riuscita a divenire fanatismo a manipolare e trasformarsi in odio interiore , nonché in doppia verità maneggiata dal potere, doppia lingua, esteriore ed imposta; una lingua fallace che appare veritiera, si impone, si nutre di antinomie, unica soluzione per non divenirne succubi o schiavi è stata quella di credere nell’arte, nel logos e in quello di più puro che ogni singolo possedeva, se stesso ed è grazie al coraggio di questa convinzione, che molti di questi uomini e donne sono riusciti ad avere un’altra voce e un’altra verità.

 

 

Le immagini , nella loro drammaticità o nella loro raffigurazione, o interpretazione personale di questi paesi appartenenti all’ex blocco sovietico, portano con loro l’anima della libertà e della cultura, che talvolta guarda dritto negli occhi la storia e iniziano a per quanto doloroso sia a raccontarla, una catarsi personale e intellettuale necessaria per ogni persona, popolo, paese.

L’importanza umana diviene quindi essenziale, per distinguersi , per essere individuali, ma non individualisti, questi popoli sentono la necessità di differenziarsi come singoli non essere omologati come tutti esseri uguali, processo tipico che fu del totalitarismo sovietico ( e di ogni totalitarismo), per questi popoli l’importanza della comunicazione ha un’importanza profonda e da qui lo sviluppo particolare della fotografia e della video arte perché da una parte il disfacimento della speranza ha distrutto tutto e non resta più nulla, non esistono ideali, ma per costoro c’è qualcosa che resta: la potenzialità, la capacità, la forza di comunicare, ognuno lo fa con il mezzo che possiede, per dare prospettiva al futuro. Arriverà così l’evento della generazione successiva “ tempi di transizione ” che cerca di capire a che punto sono questi paesi dopo la caduta del muro.

Perché: “ Che Cosa resta. Che cosa c’è al fondo della mia città, che cosa la manda a fondo. Che non c’è maggior sventura del non vivere . E che alla fine non c’è disperazione maggiore del non aver vissuto”.

(C.Wolf)

 

 

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