Ho scoperto le opere di Anna Turina alla mostra "AnimaLi" a Vimercate...ed è stato amore a prima vista! Le sue creature in ferro, con lunghe orecchie da coniglio e fattezze umanoidi, mi hanno subito conquistato. Purtroppo all'inaugurazione non sono riuscita a intercettare l'artista, ma l'ho contattata successivamente e, curiosità su curiosità, domanda dopo domanda, ne è nata una bella intervista, che mette in luce l'incredibile sensibilità e preparazione di Anna e la sua abilità nel rappresentare, con ironia, l'odierno stravolgimento del rapporto Uomo - Natura, stimolando, attraverso le sue installazioni, il diretto coinvolgimento dello spettatore.
Sfogliando il tuo portfolio si comprende che, come la maggior parte degli artisti contemporanei, ti avvali di medium differenti: la fotografia, la scultura, l’installazione…mi racconti il tuo percorso artistico? Da dove sei partita e…dove stai andando?
La mia stessa formazione è molteplice: mi sono diplomata all'Accademia di Brera sia in scenografia sia in scultura, ho frequentato un corso d’incisione alla Scuola del Castello e uno di ceramica presso la Scuola Cova, sempre a Milano. Mi sono addentrata nella progettazione, nella grafica, nella fotografia e … nella carpenteria (leggera). Lavoro per lo più sulle installazioni o su pezzi installativi e, secondo la finalità che esse devono trasmettere, apro la mia valigetta formativa, scelgo gli ingredienti, a mio parere, idonei e mi metto all'opera. Mezzi differenti , alla fine, sono parte di uno sviluppo progettuale ben definito.
Molte delle tue opere richiamano il mondo naturale, vegetale e animale: alberi e foglie, ma anche ali di farfalla, code di sirene, conigli umanoidi… ho letto che una delle mostre a cui partecipato si intitolava “mondo di balene immaginate” (Acquario Civico di Milano) e credo che questa definizione rispecchi molto bene la tua arte. Dove nasce l’ispirazione per tratteggiare questo universo poetico, delicato e fantasioso?
È sempre nell'esperienza passata che meglio si possono identificare i nostri sogni e desideri: sono cresciuta in mezzo a un parco, i miei nonni erano contadini ed era assai normale arrampicarsi sugli alberi, fuggire nei boschi (scappavo spesso da casa). Il percorso formativo mi ha spinto in città laddove il naturale era/è travisato, educato, condotto all'estremo in funzione dell’uomo. La natura, che sempre è servita a estendere la propria immaginazione e a proiettare i propri ideali, l’ho vista, così, trasformarsi da onirica a paradosso. E se, da una parte, cerco di richiamare la poesia che trapela dal mondo in cui viviamo, dall'altra ironizzo sull'indolenza dell’individuo contemporaneo che lo vorrebbe umanizzato per meglio controllarlo.
Nella recente mostra “AnimaLi” presso il Must di Vimercate, dove ho avuto il piacere di conoscerti, erano esposte due opere che mi hanno colpito particolarmente, seppur molto diverse tra di loro. Una è la scultura-installazione “Nido”, l’altra è la casetta del coniglio Benny. Hai voglia di spiegarmele?
Sono due installazioni che evocano, appunto, sia il bisogno di poter ritrovare aree di silenzio in cui il tempo possa, almeno, rallentare, sia la necessità di fuga dalla distorsione dell’esistenza per rintracciare un’identità perduta. Il nido è un pezzo cui sono particolarmente affezionata, poiché è stato il primo che mi ha permesso di sperimentare l’annullamento dei confini tra opera e utilizzatore: in esso ci si può entrare, accovacciare, sdraiare. È uno spazio intimo per eccellenza, dove si possono trovare rassicurazioni: non è chiuso completamente perché la possibilità di prendere il volo deve essere sempre presente. Non una forma, ma un luogo da vivere anche fisicamente. La casetta di Benny il coniglio è, invece, una microinstallazione molto ironica da vivere con gli occhi e con la testa. In essa sono presenti piccoli richiami di storia dell’arte passata (ma anche attuale come il quadro in erba che evidentemente richiama le opere di Vittorio Comi), accenni alla storia dell’uomo e della sua cultura. Benny è l’assente, quello che resta è la testimonianza di ciò che egli potrebbe essere: ognuno interpreta secondo la personale perizia. La casa, l’ambiente domestico in realtà è una gabbia da cui Benny è fuggito alla ricerca della sua naturale identità. I richiami di facile riconducibilità invitano lo spettatore a curiosare, a leggere, a immaginare: sono indizi necessari a risolvere un enigma. Un modo differente di rompere i confini tra fruitore e opera: ancora una volta non solo forma ma uno spazio da vivere, in questo caso, mentalmente.
Ho l’impressione che sia presente anche una certa componente fanciullesca e ludica nelle tue opere…è così?
Certamente il linguaggio del gioco è sempre quello più diretto, più coinvolgente: non spaventa il fruitore, non lo allontana, bensì sentendosi chiamato in causa, nel momento in cui riconosce parte della storia o del quotidiano, inizia a interagire. L’ironia che sottende Crisi d’identità di un coniglio contemporaneo non poteva che passare attraverso le regole di un’indagine ludica: è come se avessi lanciato il primo dado di un gioco di società cui il pubblico è invitato a partecipare, ciascuno con le proprie carte ritmate dall'esperienza cognitiva personale. Adoro creare delle situazioni che possano convogliare il visitatore accanto a un’opera: ciò che mi affascina di più è la sorpresa di chi si trova a poter entrare in contatto con un pezzo che, in quanto esposto all'interno di una mostra, è considerato sacro, intoccabile.
Adesso qualche domanda a brucia pelo: se potessi essere un grande artista del passato chi sceglieresti di essere? Se dovessi immaginarmi come un personaggio artistico del passato, certamente penserei a Duchamp.
…e uno del presente? Del presente preferirei essere me stessa. Anche se non famosa, sono ciò che sono. Potrei dire, tuttavia, quale filosofia artistica mi affascina, tra le tante, identificandola con il lavoro di Cattelan.
Se non avessi fatto l’artista, cos'altro avresti fatto?
Probabilmente, se fossi nata uomo, avrei fatto il saldatore/carpentiere o il progettista. Essendo, però, nata donna... non sarebbe stato male divenire psichiatra. Questi, tuttavia, sono i sogni del “quando sarò grande…”.
La mostra più bella vista di recente?
A Monza c’è stata la Biennale Italia-Cina. Mi hanno riferito che è stata un po’ criticata. Aveva probabilmente le sue lacune. Per me, però, è stato bellissimo vivere un evento del genere in Brianza. Ci si sentiva un po’ meno isolati, legati a una cultura meno provinciale e di più ampio respiro.
Dove stai esponendo al momento? Progetti Futuri?
In questo momento Animalì, cui partecipo, si è spostata a Sartirana Lomellina, mentre Art21 e AAM (Arte Accessibile Milano) si sono appena concluse. Progetti presenti/futuri: è stato appena avviato un workshop organizzato da Ivan Quaroni. Poi ci saranno collaborazioni tra arte teatro: da Scarlattineteatro, a Capitolozero (gruppo di artisti cui faccio parte per smuovere lo stallo del provincialismo locale), a La Voce del Corpo (Rassegna che si svolgerà a Osnago richiamando a se artisti ed espressioni artistiche anche internazionali). Infine mi devo concentrare su Benny e sul proseguo della sua storia.
Grazie mille Anna!
Grazie a te!