KOUNELLIS E LA "NECROSI" DAL LUTTO ALL'ARTE

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Recensione d'estetica per l'artista Jannis Kounellis, dopo una sua mostra personale, a Torino (presso la Galleria Persano, dal 16 Marzo al 20 Ottobre 2012)

 

Dal 16 Marzo al 20 Ottobre 2012, presso la Galleria Giorgio Persano di Torino, è stata aperta una mostra personale dell’artista Jannis Kounellis. In particolare, egli ha aveva installato una “schiera” di quattordici cavalletti (alti fino a rasentare il soffitto, e costituiti da aste in metallo). Questi servivano ad appoggiare una lastra. In luogo dei classici dipinti, si vedevano però alcuni cappotti, di tono scuro e sospesi tramite un gancio da macellaio. Pure la lastra sottostante era di metallo. I cappotti si percepivano come vecchi ed usati. Posti frontalmente, rispetto al nostro sguardo, essi disegnavano un “corteo funebre”. L’artista ne aveva incurvato i fianchi e le maniche, consentendoci di percepirli come “nell’abbraccio” fra se stessi. In altri lavori, un singolo cappotto era stato “accartocciato”, ed appeso alla parete (col solito basamento di metallo). Il visitatore aveva l’impressione che quello quasi “ribollisse”, benché paradossalmente in tutta la freddezza del colore scuro. In un’altra installazione, Kounellis ricostruiva il tipico binario ferroviario. A fissare le rotaie, vere (realmente esistenti), si vedevano alcune traverse, aperte nel mezzo e ricoperte dai soliti cappotti, tramite un allacciamento così stretto da percepirsi in via quasi “cadaverica”. Pareva che quelli fossero stati “insaccati”. In luogo delle traverse, s’immaginava che alcune persone avrebbero potuto suicidarsi. Il loro corpo, in via di “restringimento” (attraverso la decomposizione), sarebbe stato nascosto dal classico telo per il cadavere. Da sempre, Kounellis segue la corrente dell’arte povera. Egli usa dei materiali comuni, da assembleare creativamente. Nella sua mostra a Torino, in particolare avremmo visto le rotaie, i cavalletti, i ganci ed i cappotti. Tali materiali si percepiscono come poveri massimamente perché logorati dall’uso. Se i cappotti alla fine ricostruiscono un corteo funebre, o forse il suicida sotto il treno, immediatamente vale il nichilismo del loro vissuto. E’ il “logorio” dell’uomo in senso lato, pensando anche agli avvenimenti più drammatici della nostra storia. I cappotti usati si dovevano percepire entro il simbolismo della reliquia. Qualcosa in cui l’illusione di “far rivivere” il morto, mediante il corteo funebre (dandogli l’ultimo saluto, o forse abbraccio), ci avrebbe ricondotto a lui solo lungo il “sentiero interrotto”… del ricordo nostalgico. Le rotaie di Kounellis inevitabilmente sono troppo corte, entro le mura della Galleria Persano. Anch’esse rappresentano una mera reliquia, rispetto al passaggio del treno, ormai abbandonato. L’artista virtualmente ha provveduto a “crocifiggere” i vari cappotti, usando i ganci da macellaio. Egli stesso ama ricordare che la pittura latina è storicamente molto teatrale, partendo dall’iconografia cristiana. Mentre i cappotti sui cavalletti acquistano una vena “corale”, abbracciati assieme (complice l’incurvamento dei fianchi o delle maniche), potrebbe emergere l’antropomorfismo “velato” del loro “pianto”. Immaginiamo le pie donne che seguono il calvario e la crocifissione di Gesù. Il loro velo in testa apparirebbe pure nelle lastre metalliche di Kounellis, sotto le punte dei ganci (i quali determinano una triangolazione, dalle spalline alle maniche). Le ruvide cuciture sarebbero chiamate a “rischiarare” il tono cupo del tessuto. Pare che esse colino, nel loro allineamento verticale ma frenato dalle curve “corali”. Le ruvide cuciture rappresenteranno le lacrime del volto velato.

Per lo scrittore Roger Caillois, un’imperturbabile dilapidazione potrebbe legiferare in natura. La vita tende necessariamente alla morte. L’impulso alla conservazione della specie quasi “certificherà” la dilapidazione in natura. La sopravvivenza andrebbe percepita come un “fasto”. Qualcosa dove la “dissipazione” della morte “ecceda” se stessa, nell’illusione della “ri-nascita”. Per Caillois, la sopravvivenza della specie segue un imperativo paradossalmente non categorico. Il figlio uscirà letteralmente dalla “dissipazione” del suo genitore. Allora, la necessità che la specie sopravviva resterebbe solo illusoria. Il fasto si percepisce sempre nell’esagerazione di qualcosa, andando paradossalmente a “svalutarla” (nel proprio spreco).

Nei cavalletti di Kounellis, il tono scuro del tessuto contribuisce a “raffreddare” l’espressionismo della compartecipazione, durante il corteo funebre. Possiamo immaginare che la persona disgraziatamente in croce (o comunque incatenata) subisca pure l’oltraggio della lapidazione. Nell’installazione di Kounellis, i cappotti sono collocati quasi “abbracciandosi”. Così, pare che il tessuto diventi “magmatico”. I fianchi e le maniche acquisterebbero tutto il peso del grumo. Simbolicamente, sarà la compartecipazione emotiva che fatichi a “raffreddarsi” del tutto. Nel corteo funebre, malinconicamente accade che l’eccedenza del vissuto (liberata in specie dai pianti, e talvolta pure dalla rabbia) resti confinata in se stessa, quando subentrerà il “grumo” della nostalgia. Il dolore non passerebbe mai… Immaginiamo che i cappotti di Kounellis subiscano idealmente una “lapidazione”, da parte del nostro sguardo. Incrociandosi con l’inarcamento, sia le maniche sia i fianchi si configureranno come le “saccocce”. Queste conterrebbero le “pietre”… delle nostre pupille. Forse l’artista vuole responsabilizzare il visitatore della sua mostra? Pure noi avremmo causato il “dolore” dei vari cappotti? Ci basterebbe percepirli in via quasi “oracolare”. I cappotti diventeranno un grande “occhio” sulla nostra società, la quale purtroppo perdura a conoscere la violenza della guerra. Incrociandosi tramite l’inarcamento, le maniche ed i fianchi porteranno l’oracolo del cappotto ad avere “le borse”. Innanzi alla morte, la compartecipazione emotiva dei vivi sembra sempre un po’ “assonnata”. E’ vero che possiamo disperarci (col pianto o la rabbia); ma il corteo funebre esige il rispetto “silenzioso” della preghiera. Ora i cappotti di Kounellis conservano almeno l’imperturbabilità percettiva del colore scuro. Nel corteo funebre immaginiamo che le persone si lascino andare alla malinconia del “ricordo nostalgico”. Esteticamente, avviene la “dissipazione” (dilapidazione) d’un fasto. La stessa “ebollizione” emotiva del pianto o della rabbia dovrebbe “raffreddarsi” immediatamente, col silenzio della preghiera. E’ suggestivo che Kounellis assembli i vari cappotti aiutandoci a percepirne il “rotolamento” magmatico. Conta l’inarcamento ad incrocio tra i fianchi e le maniche. Sembra che il cappotto simboleggi “l’ebollizione” della coralità, quando le voci lamentose dei sopravvissuti (rispetto al dramma dei morti) s’accavallano l’una sull’altra, per l’immediato “contagio” della compassione. Il tono scuro del tessuto sarebbe lo stesso d’una roccia vulcanica, una volta raffreddatasi. Il corteo funebre esige il silenzio della preghiera. Resta malinconicamente il “grumo magmatico” del dolore che mai passerà del tutto, sulla “vitalità offuscata (cinerea)” del ricordo per il morto.

Caillois in particolare studia la fenomenologia delle ali per la farfalla. Queste hanno una serie di disegni, che ci sembrano sfarzosamente inutili. L’entomologia insegna che la farfalla tramite le ali si garantisce una respirazione addizionale. Quelle hanno una fila di “trachee”. Laddove le ali siano scure di colore, il loro assorbimento della luce e dell’ossigeno avverrà meglio. Se quelle hanno i “disegni”, per l’entomologia si conferma la necessità d’una mimetizzazione. Pure la farfalla viene catturata, dai suoi predatori. Le ali di tono scuro paiono “obliteranti”. Esse portano la farfalla ad essere quasi “invisibile”. I colori sgargianti sembrano più difficili da giustificare, in via mimetica. Caillois crede che i “disegni” delle farfalle siano di tipo “pittorico”. Come nei dipinti, pure nelle ali noi assisteremo alla giustapposizione di più macchie colorate. La crisalide si dissipa “nell’eccedenza” di se stessa, attraverso la necrosi del bruco. Alla fine, compariranno le ali. I “disegni” delle farfalle sono sempre gli stessi, limitatamente alle loro sottospecie. I dipinti umani invece si differenziano continuamente. Caillois tende ad allacciare i primi ai secondi, quantomeno grazie alla percezione estetica. In biologia, avremmo l’arte allo stato grezzo (dai disegni delle farfalle, i quali si ripetono a seconda delle singole specie) od evoluto (dai dipinti dell’uomo, con la sua libertà espressiva). Le ali costituiscono una parte del corpo. I dipinti al massimo si maneggiano. L’uomo si differenzia dagli animali poiché sa fabbricarsi da solo gli strumenti, senza che questi appartengano al suo corpo. Noi non abbiamo nostre grinfie, corna, ventose ecc… Possiamo appena maneggiarle!

Kounellis esibisce i cappotti sui cavalletti in modo tale che essi virtualmente dondolino, “nell’abbraccio” della compartecipazione emotiva al dolore. Immaginiamo che quelli cerchino di “svolazzare”, staccando il gancio da macellaio. Quantomeno i fianchi e le maniche si configureranno come le ali. E’ l’imponenza dell’inarcamento, unita alla tonalità scura, a suggerire che i cappotti “svolazzino” in luogo dei pipistrelli. Certo l’installazione simbolicamente deve “spaventarci”, col suo nichilismo (fra il velo sul viso, il gancio da macellai, l’abbraccio solo funebre ecc…). L’artista ha avallato una possibile necrosi dei cappotti. Essi si stringono internamente, tramite il “lamento” delle loro cuciture. Pare che “l’ebollizione” della compartecipazione al lutto (coi pianti e forse la rabbia) alla fine trovi la “necrosi” del “grumo nostalgico”. Visivamente, il tessuto dei cappotti si fa assemblare in via quasi “magmatica”. Simbolicamente, la compartecipazione del lutto rientra nel “grumo” per il ricordo che il morto era vivo. La coralità funebre visualizza concettualmente un possibile “sorvolo” del dolore, almeno in via fatalistica. Sarebbe sufficiente porgere l’ultimo saluto al congiunto, consci che comunque la vita si conclude nella morte. Kounellis avrebbe esibito il tentativo di “sorvolare” sul dolore (dai lutti della storia), lasciando che la coralità dei fianchi e delle maniche si configuri sulle loro “ali”. Il problema è che il “gancio” della memoria perdura a restare. Quello naturalmente ferisce. Quando Kounellis appende il singolo cappotto (tramite la lastra di metallo) sui muri della Galleria Persano, allora la percezione “magmatica” del tessuto è più chiara. Sembra che le “ali” della compartecipazione al lutto (sui fianchi o sulle maniche) abbiano ricevuto il “freno” degli “artigli” (sulle cuciture) e delle “ventose” (sui rigonfiamenti, quasi “bubbonici”). Esteticamente, l’artista offre una rappresentazione verosimilmente malata dei molti cappotti. Le cuciture portano alla necrosi del tessuto, i rigonfiamenti al suo “appestarsi”. L’uomo si differenzia dagli altri animali in quanto si fabbrica da solo ogni strumento. Kounellis idealmente dota i cappotti d’una cucitura “artigliante” e d’un rigonfiamento “a ventosa”. Una strumentazione abbastanza materialistica, che lega il “sorvolo” del lutto (se i fianchi o le maniche vorranno “abbracciarsi”) alla caducità dell’esistenza. Gli artigli servono a trascinare qualcosa. In questi varrà la metafora del dolore che non passi mai. Le ventose servono ad acchiappare qualcosa. In via simbolica, esse ci ricordano le conseguenze del dolore: chi muore continua luttuosamente a “rivivere” nella nostalgia altrui. I cappotti “umanizzanti” di Kounellis hanno virtualmente un “corpo” dotato di strumentazioni. L’artista preferisce che le ferite della vita si curino attraverso la coralità “dell’abbraccio”. Qualcosa che forse s’avvicini tanto all’artiglio quanto alla ventosa. Resta comunque il nichilismo “dell’abbraccio” luttuoso, che per Kounellis diventa “ferito” (con le cuciture) e “bubbonico” (coi rigonfiamenti).

Caillois accettava l’equazione estetica per cui gli artigli iscritti sul corpo degli animali stanno agli arnesi che noi ci fabbrichiamo esattamente come i disegni sulle farfalle stanno ai dipinti umani. Nel primo caso abbiamo l’utilità, nel secondo invece lo “sfarzo”. Caillois compie tale “equazione” estetica siccome gli interessa riportare la presupposta preminenza dell’uomo (con la sua intelligenza) su una ragione prettamente naturalistica. Ne deriva che virtualmente gli stessi dipinti, al di là della loro libertà espressiva, si faranno “calcificare”, come i “disegni” sulle farfalle (persi i bruchi). Sopra alla totalità degli esseri viventi, vale l’imperturbabile dilapidazione fra la nascita e la morte (passando per la generazione del figlio). I dipinti umani parrebbero uno “sfarzo” della libertà espressiva. Come strumenti, essi servirebbero a “calcificare” la soggettività, tramite l’illusione di ri-generarla. Caillois non pensa che la natura abbia una “spiritualità artistica” (in via appena antropomorfica). Piuttosto, gli interessa riportare la versatilità, la mutevolezza e l’imperfezione del genio umano dentro il ciclo della vita (dalla nascita alla morte). I nostri dipinti rispecchieranno semplicemente l’evoluzione “soggettivistica” di quei “disegni” visibili sulle ali d’una farfalla.

Kounellis ha installato i “cadaveri” dei cappotti in luogo delle traverse, sui binari del treno. Quelle potranno configurarsi come i bruchi (prima che nascano le farfalle). E’ sufficiente percepire la successione dei giri sul filo, che lega i cappotti alle traverse. Il binario ferroviario ha ormai perso la sua direzione. Questa è stata bruscamente interrotta. Il bruco non si svilupperà più nella farfalla! La vitalità “antropomorfica” delle traverse (le quali rievocano drammaticamente il cadavere “insaccato” del suicida) si percepisce mediante una “calcificazione” magmatica. I giri del filo contribuiscono a far “rotolare” i binari. La necrosi del bruco si concluderebbe drammaticamente, nella sua mera putrefazione. Non c’è più la direzione della vita: l’artista esibisce un binario morto (interrotto). Gli stessi cappotti sui cavalletti hanno perso la base “animata” dei colori, che classicamente piace ai pittori... Kounellis sceglie di “calcificarla”, usando la povertà del metallo.

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