Musei d'arte contemporanea? La distruzione di un territorio!
"In una società comunista non esistono pittori, ma caso mai uomini che, tra l'altro dipingono". Karl Marx
Quello che preoccupa, quando si ragiona sulla forma Museo è il compito di rappresentare contenuti, valori culturali e storici, questo anche nella sua concezione dinamica e contemporanea.
In sostanza si tratta di uno spazio dalla profonda valenza politica, che finisce per fissare dei concetti di spazio e di tempo storico; il bluff degli spazi d'arte contemporanea è nel fatto che un Museo non è altro che uno spazio di cose morte e un museo d'arte contemporanea non può essere altro per sua struttura semantica e culturale che una idea di cosa nata morta.
Il Museo ha il compito di sottrarre gli oggetti alla distruzione del tempo, per questo è folle pensarli nel contempo se non come detonatori di confusione generati da scontri d'interessi privati e politici.
Il Museo d'arte contemporanea nasconde una perdita e esorcizza una assenza, il Museo nasce quando scompare qualcosa, un Museo d'arte contemporanea attesta la scomparsa dell'arte contemporanea.
In un Museo non hai oggetti con cui instaurare un rapporto vivo, attesti che stanno morendo, un artista vivo esposto in un museo dovrebbe sentire il suo lavoro mortificato.
Un Museo sul territorio e per il territorio, attesta la scomparsa vitale di quel territorio e ne vuole conservare il passato (il contemporaneo può essere questo?).
Un Museo è un punto di vista se non unico non molteplice, quale è l'identità che allora rappresenta?
La stessa denominazione di un Museo non può essere priva d'implicazioni politiche, in sintesi, preoccupa quando un ente propone la cultura come categoria amministrativa; non si possono trasformare esperienze e interazioni in parole e regole.
I Musei d'arte contemporanea mi hanno sempre fatto pensare a 1984 di Orwell, manipolazione del passato in funzione del presente per influenzare il futuro; nodi di rete di impianti d'aria culturale condizionata che attraverso media specializzati determina limiti e impone una visione comune; una colata dall'arte che legittima schemi desiderati da chi li cola condizionando il pensiero.
Un Museo d'arte contemporanea nel territorio è memoria, ma anche oblio, l'oblio è un errore storico che diviene un fattore essenziale nella nascita di un Museo; si individua un patrimonio comune ma se ne dimentica una congrua parte, insomma è un errore comune.
Quale è il senso di un Museo d'arte contemporanea davanti all'accelerazione della storia? Le distanze sono state annullate e il tempo lo si voglia o no ha prevalso sullo spazio!
I Musei d'arte contemporanea ledono gli artisti che realmente vivono il territorio, hanno la pretesa di rendere istituzionale e controllare i linguaggi dell'arte, snaturano e relegano a usi esclusivi e visibili, prigioni del linguaggio che rappresentano otticamente e spazialmente il controllo dell'uomo sull'individuo, espressioni di forza dove l'agire prevale sulla ricerca e sulla cultura come essenza condannandola all'assenza.
La vera guida di un territorio sono i suoi linguaggi artistici, anche quelli tradizionali, i linguaggi dell'arte mutano le tradizioni e i rituali iconici nelle loro forme esteriori, senza tradizione iconica non esiste linguaggio o civiltà artistica. La principale occupazione dell'uomo, in quanto artista sociale, da quando è comparso sulla terra, e ha cominciato a lavorare per immagini, è stata creare immagini e poi distruggerle, quando gli effetti benefici di queste immagini erano terminati. Senza linguaggi artistici non c'è civiltà, senza il superamento dei linguaggi fatta tradizione e Accademia, non c'è progresso. La difficoltà, quando si ragiona sui linguaggi dell'arte è quella di trovare il giusto equilibrio semantico tra stabilità e variabilità. Un linguaggio artistico troppo stabile e convenzionale è privo di dialettica e incapace di perfezionarsi. Il conservatore, quando si ragiona sui linguaggi dell'arte è il pubblico, la folla che legittima la casta. Non sono i Musei o i galleristi a ospitare finti prodotti artistici, questi si possono eludere con facilità, a prescindere dal valore di mercato imposto, sono i padroni invisibili delle nostre anime che cedono purtroppo soltanto dopo usure secolari.
Gran parte dell'arte che il mercato e gli "addetti ai lavori" propongono come contemporanea, contemporanea non è, come sosteneva Benedetto Croce, la storia è sempre contemporanea, ma questo è vero solo quando la contemporaneità è la premessa del futuro, cosa che evidentemente l'attuale mercato e l'attuale sistema dell'arte è impossibilitato a progettare. L'artista non può vivere l'attimo presente senza rappresentarsi il seguente; il presente nell'arte come nella vita è progetto futuro e non prodotto o spot da piazzare. Lo si voglia o no, quello che è stato e sarà della rappresentazione dell'arte che verrà dipende da lui; l'interpretazione è la premessa della sua azione. Gli "addetti ai lavori", purtroppo non sono in grado di produrre contemporaneità, la loro rappresentazione dell'artista e del suo ruolo sociale e culturale nel tempo presente è conficcata nel sistema in cui operano, non sono in grado di progettare sulle situazioni, ma solo nelle situazioni, inglobati in un sistema conservatore e restauratore, insomma sono dei tecnici in vicoli ciechi dai quali, forti delle loro indiscutibili nozioni, non riescono ad uscire.
"Un ricercatore indipendente James Felkerson, ha pubblicato nel 2011 uno studio che include i prestiti della Federal Reserve alle altre Banche centrali di Europa e Giappone, arrivando a una cifra totale di 29 000 miliardi in prestiti e garanzie legate alla crisi. I popoli sono costretti a pagare il conto, con le pensioni, la riduzione del numero dei dipendenti pubblici o il taglio dei servizi. Siamo in piena crisi morale, vengono ricompensati i colpevoli e puniti gli innocenti". Susan George