Tra i grandi autori falsificati del ‘900 Giorgio De Chirico rappresenta uno dei casi più emblematici e clamorosi del mercato artistico internazionale, sia per la dubbia datazione di un numero imprecisato di dipinti metafisici, sia per i pareri contraddittori talvolta formulati sull’autenticità di alcune delle opere esaminate.
Va subito chiarito - per onestà intellettuale - che quando De Chirico denunciava la falsità di un suo quadro aveva quasi sempre ragione. Tuttavia a volte sbagliava anche clamorosamente, contribuendo, suo malgrado, a seminare dubbi ed incertezze che hanno agevolato disonesti e truffatori ad intorbidare il commercio della sua straordinaria pittura.
Risalgono al 1945 ed il 1946 le prime denunce fatte da De Chirico attraverso i giornali circa la presenza di suoi quadri falsi sul mercato americano e francese. Ed è storicamente accertato che i primi falsari della sua pittura furono tale Mario Girardon - emigrato negli USA - ed il pittore surrealista spagnolo Oscar Dominguez - morto suicida e amico di Picasso – il quale produsse circa trentacinque falsi che circolarono in Francia nel dopoguerra. Fu nel giugno del ’46, ad esempio, che presso la Galerie Allard di Parigi – durante un’importante mostra dechirichiana – su 28 dipinti esposti vennero individuati 20 falsi Dominguez tutti di soggetto metafisico.
La presenza di suoi quadri contraffatti in America e, soprattutto, in Francia convinse De Chirico che si tramasse contro di lui; ovvero che critici e pittori surrealisti (“la banda Breton”), per invidia dei suoi capolavori metafisici e delle alte quotazioni raggiunte, avrebbero ordito un vero e proprio “complotto surrealista” diffondendo falsi dipinti per screditarne l’immagine sul mercato internazionale.
La teoria del presunto complotto, pilotato da André Breton, non trova però un serio riscontro storico, sebbene vi fossero state singole responsabilità di alcuni esponenti del movimento surrealista come Paul Eluard ed il citato Oscar Dominguez. Inoltre a sminuire l’attendibilità dell’artista italiano nella sua convinzione d’essere il bersaglio “di nemici invidiosi”, contribuirono gli avventati giudizi negativi con cui aveva disconosciuto la paternità di alcune opere d’indubbia provenienza.
L’episodio forse più clamoroso fu la sua dichiarazione di falsità attribuita ad una piazza d’Italia, intitolata “Souvenir d’Italie II”, un olio su tela di 31x80 cm., datato 1913 ma probabilmente da lui dipinto a Parigi nell’estate del 1933. Ne seguì - tra il 1947 ed il 1956 – una vertenza giudiziaria che ebbe grande risonanza durante i tre gradi di giudizio nei quali De Chirico perse la causa in primo grado, ma la vinse con la sentenza d’Appello confermata poi definitivamente in Cassazione.
Dalle risultanze del processo, si accertò che il dipinto conteso era stato venduto, nel 1933, proprio da De Chirico all’ing. Alberto Della Ragione, il quale era allora il più importante collezionista italiano del ‘900. Successivamente l’opera - non particolarmente bella - fu ceduta ad altri due importanti collezionisti per essere infine acquistata nel ‘46 dal noto critico e mercante romano Dario Sabatello presso la galleria milanese Il Milione per la somma di 400.000 lire che, nell’immediato dopoguerra, rappresentava un cospicuo investimento.
Quest’ultimo acquirente – dovendo esporre il quadro negli Stati Uniti – lo mostrò a De Chirico per un attestato d’autenticità necessario al disbrigo delle pratiche doganali; ma avendone ricevuto un sorprendente rifiuto ed il sequestro della tela giudicata un falso, denunciò l’artista chiedendogli la riconsegna del dipinto ed il risarcimento danni di un milione di lire qualora il Tribunale avesse accertato l’autenticità dell’opera. Viceversa – avendo citato in giudizio anche la galleria Il Milione – ne pretendeva la restituzione con gli interessi della somma spesa per l’acquisto ed il risarcimento di un milione e mezzo di lire nel caso ne venisse acclarata la falsità.
Come si è detto, la sentenza conclusiva stabiliva che Giorgio De Chirico avesse avuto ragione negando l’autenticità del dipinto, del quale si ordinava la confisca da parte dello Stato per contraffazione e la cancellazione della firma.
Tuttavia come mai in Tribunale non fu dimostrato che fine avesse fatto il presunto originale venduto personalmente dall’artista all’ing. Della Ragione? E per quale motivo qualcuno dei successivi possessori lo avrebbe dovuto sostituire con una copia, trattandosi tutto sommato di un quadro poco significativo nel formato, nella definizione del soggetto e nella stesura del colore? Perché non si decise – come di consueto – la sua distruzione?
Va inoltre ricordato che – ad un esame più accurato - si riscontra in “Souvenir d’Italie II” la mancata corrispondenza stilistica fra la datazione presunta (1913) e la tecnica adoperata in quello stesso periodo. Infatti il quadro andava collocato agli anni Trenta per le tonalità più chiare adoperate nei colori che vengono stesi sulla tela in modo fluido e quasi trasparente.
Quindi si deve parlare di una produzione neometafisica posteriore, ovvero simile nei soggetti a quella del ventennio precedente ma diversa nella realizzazione estetica complessiva. Per tale motivo, si desume che il pittore vi avesse apposto una retrodatazione artificiosa per accrescere il valore del dipinto e, al tempo stesso, vendicarsi dei suoi ipotetici detrattori. Una scelta certamente deprecabile per il mercato dell’arte, ma anche ingenua visto che non si era preoccupato di ripetere le analogie cromatiche della data indicata sulla tela.
E’ storicamente accertato come il Maestro assumesse a volte atteggiamenti alquanto narcisistici, non di rado caratterizzati da un desiderio spiccato di protagonismo che si alternava ad un ingiustificato vittimismo. Naturalmente - trattandosi di un grande artista dalla personalità e sensibilità fuori dal comune – non è possibile giudicarlo col metro delle persone normali.
E’ indubbio che la sua prima produzione metafisica avesse rappresentato un’invenzione di straordinaria bellezza ed importanza storica, avendo infatti anticipato una parte significativa della pittura moderna. Per questo motivo, già una ventina d’anni dopo i capolavori di De Chirico degli anni Dieci e Venti erano ricercatissimi, ma quasi introvabili sul mercato internazionale. Si trattava di dipinti che avevano ormai raggiunto altissime quotazioni, neppure paragonabili a quelle dei quadri cronologicamente successivi. La cosa però irritava parecchio De Chirico sia perché non possedeva nessuna delle sue vecchie opere vendute allora a cifre modeste, sia perché risultava penalizzata tutta la produzione posteriore e naturalistica la quale – a suo avviso – veniva colpevolmente sottovalutata dalla critica e sottopagata dagli acquirenti! Si era, quindi, convinto di essere un perseguitato, un ingiusto bersaglio di fantomatici nemici di cui faceva talvolta - con avventata leggerezza - nome e cognome: critici, pittori, mercanti e persino qualche suo acquirente privato della prima ora.
Già alla fine degli anni Trenta i collezionisti più attenti e smaliziati iniziavano a sospettare che le date dei quadri metafisici non fossero tutte veritiere, diffidando dei comportamenti un po’ infantili ed ambigui dell’artista, chiamato a garantire la genuinità del periodo di esecuzione.
Forse per questo – temendo che venisse scoperta l’ingannevole retrodatazione – talvolta esitava preoccupato, contraddicendosi nel riconoscimento di alcuni quadri autentici. Com’era avvenuto per la piazza d’Italia del caso Sabatello, contesa in giudizio e occultata per sempre come falso nei magazzini della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma.
Tuttavia i suoi quadri più belli, gli indiscussi capolavori restano così immortali nella storia dell’arte e nell’ammirazione degli uomini che le debolezze o gli errori commessi ingenuamente dall’uomo Giorgio De Chirico sono stati sempre perdonati e da tempo ormai dimenticati nella memoria di ciascuno.