Le magie della Szymborska
La poetessa e saggista polacca Wislawa Szymborska (1923-2012) brilla soprattutto per le sue tarde poesie, quelle in cui riesce ad esprimere una personalità riservata, riflessiva e potente nella sua completezza esistenziale. La Szymborska, premio Nobel nel 1996 (ma questo premio ha mai contato? Stavolta sì!) fu all’inizio influenzata da Czeslaw Milosz, a sua volta Nobel nel 1980, ma se ne distaccò ben presto, abbandonando ogni tentazione accademica (per quanto l’accademia di Milosz, la cui poesia si avvicina a quella di Eliot, non soffra troppo di retorica). In effetti, la poetessa polacca preferì affidarsi interamente al proprio animo, arrivando a cogliere il più piccolo segnale della propria sensibilità e trasferendolo con incanto sulla pagina bianca.
La Szymborska ama il verso libero: la sua composizione è pensierosa e quasi del tutto prosastica (a quanto pare, specie il polonista Pietro Marchesani, i traduttori hanno cercato di agire secondo eufonia: cosa però non determinante nel caso della nostra poetessa, dati i concetti) è intrisa di una ricerca filosofica che ne caratterizza il portato espressivo, conducendolo al porto sicuro della meditazione incessante intorno al tema della vita e dell’essere umano. La filosofia della Szymborska non ha nulla di convenzionale, ma persegue una sorta di ricerca intima dell’apparire e dell’essere che la fa densa e consistente, vera e semplice, sincera e suggestiva, soprattutto priva di sentenze.
L’incanto si manifesta attraverso considerazioni vive e palpitanti che si formano sotto gli occhi e che si materializzano seguendo un tracciato inevitabile quanto sorprendente per profonda efficacia d’intenti e di speranze. Le seconde si uniscono ai primi con naturalezza, creando così una logica spontanea, libera da legacci cerebrali. L’intelligenza sottesa è di carattere sentimentale e prevale ragionevolmente sulla ragione codificata dalla consuetudine, dalla esteriorità comportamentale.
La Szymborska visse sempre a Cracovia, una delle città martiri del nazismo, ma si salvò da quella furia grazie al suo lavoro nelle ferrovie (allora un settore particolarmente strategico). Passò poi la gioventù sotto la bandiera del realismo sovietico, alla quale inizialmente si inginocchiò (la futura grande poetessa scisse elogi di Lenin e di Stalin), per poi rinnegare o sminuire i suoi interventi letterari durante il regime di Mosca. Del resto, non fu mai una seguace davvero attiva della dittatura, seguì l’onda per quieto vivere ed anche inseguendo un sogno giovanile di uguaglianza sociale che il comunismo (in realtà spurio) di Stalin prometteva. Successivamente, la nostra poetessa si batté per un’indipendenza culturale della Polonia, ma soprattutto per un’assunzione di indipendenza generale basata sul rispetto dell’ intelligenza e della sensibilità.
Entro questo quadro, l’estro della poetessa va a coprire l’intero arco vitale ed esistenziale dell’essere umano, ponendo in stretto rapporto i due fenomeni e insinuando una capacità d’introspezione dell’uomo in essi che è sì razionale, ma che è soprattutto sentimentale, laddove il sentimento è riconosciuto momento di partecipazione essenziale al tutto. E’ come se il sentimento avesse un’intelligenza superiore a quella razionale perché molto più esperto della realtà di quanto abbia la ragione convenzionale in termini d’esperienza.
Gli effetti della scoperta di questa differenza storica sono vissuti dalla Szymborska con una certa sorpresa che si traduce in un affetto incondizionato per la grande esattezza che il sentire, se ben condotto (ovvero se ci si lascia condurre da lui), riesce a cogliere nella considerazione delle cose, persino nelle aspettative da esse. L’incisiva semplicità della poetessa polacca e l’acume spirituale che la ispira sono inviti ad una meditazione profonda del tutto: la meditazione, sotto questi auspici, porta ad una sorta di beatitudine spirituale, fa amare la realtà e rispettare se stessi sino in fondo.
Dario Lodi