La televisione mi annoia molto, ma ormai non fa neanche più figo dirlo. Non ho Sky, non ho Cubovision, ma sono un fruitore di serie televisive. Conosco l’inglese e ho una connessione internet, e questo mi permette di non cadere vittima del duopolio RAI-Mediaset.
Seguo serie televisive americane che devono ancora uscire in Italia. Seguo serie televisive americane che devono ancora uscire in America, per dire.
Breaking Bad è la mia serie preferita, ma evito di dirlo, dato che ormai non fa più figo neanche questo.
Il mio non è un interesse confinato nella sola serialità USA (che spesso si serve di remake), apprezzo molto anche produzioni UK come Black Mirror, Extras, o The Wrong Mans.
Altra cosa che non fa più figo dire, è che soffri d'insonnia. Ecco, io soffro d'insonnia. Si tratta di una condizione con la quale convivo da ormai molti anni.
L'insonnia, oltre ad avermi regalato un bel paio di occhiaie, mi porta a svolgere un grande lavoro interiore. Quando voi dormite, infatti, io osservo il buio e mi pongo domande. Domande importanti, ad esempio, mi chiedo: Come mai sulla HBO va in onda True Detective e in Italia invece Don Matteo?
Mentre il prodotto seriale è diventato (o sta diventando) competitivo con quello cinematografico più o meno dappertutto, le serie televisive italiane fanno schifo. Fanno talmente schifo, pensate un po’, che non possono neppure essere definite serie televisive.
E infatti si chiamano fiction. Come mai le fiction italiane sono tanto mediocri?
La risposta va ricercata nei tre fattori che decretano il successo di una serie.
1 - La storia da raccontare (soggetto, sceneggiatura).
2 – Il modo in cui la storia viene raccontata (regia, recitazione).
3 – Il modo in cui la storia viene percepita (pubblico).
Andiamo con ordine.
1 – La storia da raccontare.
Breaking Bad è l'idea di un autore che ha avuto modo di presentarla a qualcuno, ha trovato un produttore che credesse nell'idea e l'ha realizzata. Qui non è uno scenario ipotizzabile, in Italia non c'è un mercato delle idee. Qui parte tutto dalle richieste dei network. Tutto viene misurato con gli ascolti e i network preferiscono puntare sul sicuro. Con l'avvento di internet, il pubblico della tv è composto da vecchi e bambini. I network si rivolgono a loro. Così, anziché investire su un'idea forte, i produttori preferiscono un volto conosciuto. Magari hanno Gabriel Garko per le mani, e allora gli costruiscono una serie su misura.
Negli altri paesi le dinamiche sono diverse e poi c'è il via cavo, molta scelta di canali. In Italia Canale 5 e Rai Uno sono le tv generaliste che producono. C'è anche Sky, ma non è abbastanza.
2 – Il modo in cui la storia viene raccontata.
La fiction italiana, a dispetto del nome, non è mai una vera finzione.
Perché?
Perché il livello degli attori italiani è bassissimo. Se l'attore di fiction sa recitare, è percepito dal pubblico proprio come uno che recita, una lontananza, un'altezzosità e un enigma. Una messinscena non tollerabile. La sospensione di incredulità alla base di tv e cinema funziona benissimo per i prodotti importati e malissimo per quelli italiani, verso i quali tutti quanti assumiamo un livello critico superiore. Gli stessi cliché che non ci urtano in un prodotto americano, ci danno la sensazione di star assistendo a una pagliacciata se inseriti in un prodotto italiano. Così la fiction italiana si ritrova a far sparire la finzione, la messa in scena del reale, inglobandola in sé.
Inoltre, le fiction vengono girate tutte allo stesso modo (totale, piano americano, controcampo, primo piano, etc) perché tanto ormai la gente non ha più le chiavi di lettura e non se ne accorge nessuno.
3 – Il modo in cui la storia viene percepita.
Al pubblico non interessa che l'attore di fiction sappia recitare, ciò che conta è che abbia un volto confortante. Per lo stesso motivo, il pubblico sceglie il corpo dell'attore premiando forme tondeggianti e prive di spigoli per i personaggi rassicuranti (il nonno, il padre, l'amicone spiritoso). Il pubblico pretende che i corpi degli attori di fiction, soprattutto se giovani, siano di evidente derivazione pubblicitaria, da concorso di bellezza di provincia, da book fotografico per provini. Oppure l'esatto opposto, maschi sformati ma divertenti nelle forme (l'alto, il grasso, il nerboruto) come quelli del bar sotto casa (i tre dei “Cesaroni” sono proprio così). Da qui una sequela di labbra siliconate, seni ipertrofici, six pack sbandierati, strusciamenti e scene di semi nudo, equivoci e “simpatici” e rasserenanti caratteristi dalla battuta pronta e dalle forme tondeggianti. Un vero design degli affetti.
Però la colpa non è del pubblico. Se c'è un solo ristorante in città, le persone continueranno ad andare a cena in quel ristorante per sempre. Magari gli farà pure schifo, ma non saprebbero dove altro andare.
Fortunatamente il web ci permette di stuzzicare dai piatti degli altri.