Sopravvissuti (di M.Cortini e L.Moretti)


In queste settimane sto proponendo meno recensioni libresche, ma in compenso la lista delle cose ancora da leggere sta diventando lunga come la Bibbia. Ciò nonostante mi capita ancora di incappare in romanzi “imprevisti” che rubano il tempo a quelli che già sto macinando su carta e su iPad. È successo nei giorni scorsi con De bello lemures e, a poco più di 24 ore di distanza, la cosa si è ripetuta con Sopravvissuti, il libro horror-bellico-ucronico di Mattia Cortini e Leonardo Moretti, pubblicato da Asengard.

 

Il 6 Giugno 1944 è ricordato come il Giorno del Giudizio.

Il mondo era dilaniato dalla guerra, gli Alleati stavano sbarcando sulle coste della Normandia e le forze dell'Asse cercavano di contrastare la loro avanzata.

Fu allora che i Morti si risvegliarono.

In ogni nazione i cadaveri si rialzarono dai campi di battaglia, dalle fosse comuni e dagli ospedali, iniziando la loro feroce caccia al genere umano.

Sono passati dodici anni da quel giorno. Il mondo è ridotto a un cumulo di macerie e violenza, dove i Morti sono in costante ricerca di carne viva, mentre gli ultimi sopravvissuti sono ormai simili a bestie disperate e pericolose, disposti a tutto pur di vivere un giorno in più.

Questa è la storia di quattro di loro, in fuga attraverso le rovine di una Francia disabitata e silenziosa. Uomini e donne in cerca di cibo, acqua, un luogo sicuro dove poter dormire e di un ultimo, dannato, caricatore.

 

Non sto a farvi una recensione perché il tempo è quello che è. Ho fin troppe recensioni in canna, quindi accontentatevi, per una volta, di una versione più sui generis. Inoltre approfitto del suddetto romanzo per riprendere un ragionamento su cui vorrei tornare ancora in futuro.

 

Ebbene, Sopravvissuti è un bel libro. Si ispira alle ambientazioni descritte nel gioco di ruolo italiano Sine requie, di cui si parla gran bene. L'ispirazione a metà tra l'horror e il “what if” dieselpunk pare davvero affascinante: se solo masterizzassi ancora, Sine requie sarebbe il mio gioco. Tornando al libro, la faccio breve: è scritto bene, scorrevole, con poca infodump, molta azione e un'atmosfera degna dei migliori romanzi sugli zombie. Ci sono alcuni richiami che suonano un po' troppo “giocoruoleschi”, ma per fortuna si tratta di fenomeni limitati e marginali, che non intaccano la struttura vera e propria del romanzo. Non ha pretese di essere un testo particolarmente impegnato o originale (sempre più spesso ne faccio a meno, non so voi), ma al contempo rispetta i lettori, non trattandoli come scemi.

Con questo voglio dire che i due autori non s'inventano demenziali deus ex machina che salvano gli eroi nei modi più improbabili, con la scusa che “tanto è solo un romanzo!”. Né buttano in vacca il lavoro scivolando su toni eccessivamente pulp, errore in cui cadono sempre più spesso scrittore e registi horror.

 

Insomma, è un libro che mi sento di consigliarvi. Asengard sta lavorando bene anche nel campo degli ebook, e potrebbe presto entrare nella mia risicatissima lista di editori italiani “buoni”, anche se deve migliore le proposte fantasy, abbandonando quelle troppo in Troisi-style. Comunque vale la pena ribadire che anche noi altri, in questo paese di ignoranti sottoculturati e di aspiranti veline, sappiamo creare qualcosa di buono nel campo del fantastico. Trovo demenziale, disonesto e da beoti affermare che gli italiani non possono scrivere horror/fantascienza/fantasy solo perché... italiani. Certo, forse il 90% della nostra produzione in questi generi è robaccia che va bene per accendere il camino, ma c'è quel risicato 10% che merita rispetto, promozione e possibilità di migliorarsi ancora. Non sopporto quei commenti malmostosi in cui traspare l'impressione che non esista nulla degno nemmeno di una sufficienza stiracchiata. A costoro, chiunque essi siano, consiglio dunque di dedicarsi ad altri interessi. Se trovata che la narrativa di genere fa così schifo, datevi al calcio, alla musica, alla fotografia.

 

Sopravvissuti rientra nella percentuale dei “salvati”. Non me ne frega una beata ceppa se non è stato elaborato tenendo sott'occhio dieci manuali di scrittura creativa. Piace, intrattiene e lascia qualcosa di gradevole. A volte questo basta e avanza, alla faccia di tutti i bizantinismi disfattisti.
 

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