Un ragazzo e una tigre costretti a convivere in una scialuppa di salvataggio in mezzo all’Oceano, lottando per la sopravvivenza. Una volta usciti dalla sala dopo aver visto e, poi assorbito, il lavoro del visionario Ang Lee, le emozioni sono molte, e sono intense. E i fantasiosi fotogrammi di questa grande fiaba non possono non farsi spazio nell’immaginario personale e certo lasciano tracce. Dopo il naufragio, elaborato e talmente d’impatto da far quasi dimenticare Titanic, ecco che si delinea pian piano una nuova situazione, diversa dalla partenza: non è sopravvissuto più nessuno, o quasi. Ecco che sopra ad una scialuppa di salvataggio sono rimasti, anche dopo la lotta per la sopravvivenza e dopo la paura, solo due protagonisti: Pi Patel, un ragazzo indiano dall’insolito nome (Piscine Molitor Patel), e Richard Parker, una tigre, ultimo è più pericoloso animale rimasto dello zoo del padre di Pi, che aveva deciso di partire con famiglia e animali dall’India verso il Canada, come in un’arca di Noè, ma che muore durante il tragitto in un naufragio, che lascia superstiti appunto il figlio e la tigre. Dunque Pi è fin da bambino catapultato nel suo mondo di pura fantasia, di magia, dove reale e immaginario si mescolano, e dove gli animali sono un pretesto per un pensiero diverso. Magia, reale e immaginario rappresentano il fil rouge del film, e per il ragazzo elementi chiave per la sopravvivenza, anche da adulto.
Durante il naufragio si salvano Pi e altri animali: una zebra dalla gamba rotta, una iena e uno scimpanzè …. Ma la legge della natura lascia in vita il più forte, Richard Parker, che, nascosto nella scialuppa, uccide gli altri e rimane da solo a lottare per la vita contro e con Pi, che sopravvive grazie al bellissimo animale, perché è proprio lui a tenerlo occupato, nel bene e nel male.
Una zebra, e poi una tigre su una barca. Per chi è attento alle arti visive quest’immagine nitida, seppur frutto di un mondo magico e fantasioso creato da Ang Lee, che lascia allo spettatore una lettura personale e la possibilità di crederci, non può non riportare alla mente le immagini fotografiche di Paola Pivi (Milano, 1971) in cui l’artista documenta performance private dove protagonisti sono proprio gli animali. Un asino su una barca, solo, in mezzo al mare; zebre immortalate sopra montagne innevate; un leopardo che cammina sinuoso sopra delle tazze da cappuccino colme. Animali reali in situazioni irreali, o surreali. Documenti presi dalla realtà che l’artista ha ricreato per i suoi lavori, che però fanno già parte di un immaginario collettivo. Come la mostra, che creò qualche polemica, ma dall’effetto aggressivo, portatore di ansia, perché no, anche poetico, My religion is kindness. Thank you, see you in the future, 2006 (La mia religione è la gentilezza. Grazie, ci vediamo nel futuro) dove la Pivi ha messo in mostra per un mese diversi animali, a convivere all’interno dei vecchi magazzini della stazione di Porta Genova a Milano, con le loro gabbie, il cibo e l’ acqua. L’opera di chiamava Interesting, e cavalli, mucche, pecore, colombe, cani, pappagalli, carpe giapponesi e un lama convivevano insieme, legati da un comune denominatore, il bianco. La purezza di un’immagine seppur spiazzante, animali da fattoria, e non solo, in un luogo dismesso a Milano, in contrapposizione con quell’immagine energica, pulita e, di nuovo, fantasiosa, di una tigre e un ragazzo su una barca in mezzo al nulla. Un nulla fatto di immagini estreme di luci, acqua, animali pericolosi o animali che portano la salvezza. Ecco come una semplice immagine può rimandare ad altri mondi. Rossella Farinotti (mymovies, 16/01/13).