Antonio Gibotta - Copertina n.398

nice art image

Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.

Questa settimana è la volta di Antonio Gibotta.

 

 

Da dove vieni?

Ho 28 anni e vivo a Napoli, ho frequentato l’Istituto d’Arte dove mi sono diplomato in Grafica pubblicitaria e Fotografia. Ben presto però  ho capito che volevo dedicarmi completamente alla fotografia, ho continuato quindi frequentando corsi e workshop di affermati fotografi ed esperti di post produzione.

 

Cosa fai?

La risposta sembra banale: fotografo! Non saprei dirlo con altre parole. Il mio rapporto con la fotografia è iniziato in modo assolutamente naturale. Ricordo che da bambino mentre guardavo mio padre preparare le sue macchine prima di un lavoro, desideravo che mi portasse con lui, era come se mi sentissi chiamare dalla fotografia, lo sentivo come un bisogno, una specie di vocazione. E quando mio padre, fotografo professionista, mi permise di realizzare i miei primi scatti con la sua Nikon f3, capii subito che nella vita non avrei voluto fare nient'altro che scattare. Spesso penso che sia stata la foto a scegliere me e non viceversa.

 

Dove stai andando?

La fotografia che mi da modo di esprimermi al meglio è quella di reportage. Al centro del mio obiettivo ci sono l'uomo e l'attualità delle tematiche sociali. La fotografia è la mia forma di espressione. Sono sempre stato piuttosto taciturno e non amo particolarmente stare al centro dell'attenzione, preferisco osservare e ascoltare ciò che mi circonda e, solo nel momento che ritengo giusto, agire cercando di catturare quello che in fotografia viene definito il momento decisivo. La fotografia mi permette di esternare quello che ho dentro di me senza ricorrere all'uso di mille parole. In tutto ciò c'è qualcosa di magico, emozionante. Cerco di dare potere evocativo alle mie fotografie. Talvolta evocano dolore e sofferenza, altre invece gioia.

Prima di intraprendere un viaggio cerco di documentarmi sul luogo che andrò a visitare. Capita che poi, una volta sul posto, l'occhio e l'attenzione siano catturati da eventi diversi. Il più delle volte mi affido all'istinto, non amo le cose programmate, piuttosto viaggio alla costante ricerca di un soggetto interessante. Amo viaggiare in cerca di storie da raccontare, mi piace molto anche ritrarre volti, cercando di far leggere, tra le rughe del soggetto, l'esperienza di vita vissuta: la sfida maggiore è riuscire a far intravedere l'anima attraverso il riflesso degli occhi. Ho un'insaziabile curiosità per le culture e i popoli diversi dal mio. Quando sono in un paese straniero cerco di ridurre al minimo l'impatto, approcciandomi alle persone che incontro con la massima discrezione. Mi riesce abbastanza facile, essendo per natura piuttosto riservato. Le persone dopo un po' di tempo dimenticano quasi la mia presenza e riesco, a volte, a ritrarre le loro abitudini quotidiane, certe volte anche estremamente intime.

 

Cosa vuoi?

Questa è una domanda alla quale non è facile rispondere. Spesso mi chiedo anche perché volgo così spesso il mio sguardo, e quindi la mia macchina fotografica, verso quelli che vengono definiti gli “ultimi". Da anni, grazie alla collaborazione con Caritas e Unitalsi, cerco di far emergere storie di emarginati, di malati. Forse le mie foto non faranno notizia come l'ultimo fatto di cronaca, però credo sia importante cercare di sensibilizzare la gente, che spesso lancia un'occhiata stranita di fronte a persone meno fortunate, affinché si renda conto dell'importanza della solidarietà. Questi sono alcuni dei motivi che più di un anno fa mi spinsero a salire sul treno bianco che porta i bambini ammalati a Lourdes, in un viaggio intriso di speranza, di amore verso il prossimo, di fede e di solidarietà. Le realtà che ho visto in questi viaggi hanno cambiato il mio intimo sentire, hanno ribaltato la mia scala di valori, facendomi essere grato alla vita per quello che mi ha regalato.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

PER APPROFONDIRE:

www.antoniogibotta.com

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