L’arte della pasticceria /// ARRIVEDERCI AI FRENI, I GRANDI PASTICCIERI

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Di Pino Farinotti | La pasticceria Freni di via Beccaria ha chiuso ieri, 10 gennaio 2012. Quella di via Torino aveva chiuso lo scorso anno, 31 dicembre. Il Corriere della sera ne ha spiegato le ragioni e ha chiuso il pezzo con l’auspicio di un ritorno. Ma l’auspicio viene sorpassato, i Freni tornano presto.
Da milanese faccio parte di un rito “normale”: mia nonna, mia mamma, io, mia figlia abbiamo mangiato i dolci della pasticceria, in via Torino. Ma dico che i Farinotti sono un esile campione: le nonne, le mamme, i figli di tutti i milanesi hanno avuto a che fare con quei cannoli e marzapani.

I Freni esistono dal 1914. Per poco non hanno raggiunto il secolo. Cosa c’era allora? Come eravamo allora? Non c’era ancora stata la Prima guerra, il Ventennio, a poi la Seconda guerra e il suo “dopo”. Gli anni sessanta col boom e il sessantotto giovanile dell’Università Statale. E poi gli anni di piombo, il benessere passeggero degli Ottanta. Per approdare a questa orribile stagione del Paese, nella politica, nel sociale, nella cultura, nell’economia, nell’immagine generale. In tutto. Sappiamo. Ma i Freni c’erano sempre, trasversali, tenaci e garanti, coi loro dolci. Nel dopoguerra i tram, il 3 e il 15, linee importanti e popolate, fermavano proprio davanti al negozio di via Torino. La gente arrivava dalla periferia, e da fuori. Scendeva dal predellino e si trovava davanti i colori e le dolcezze dei Freni. Che bell’auspicio per chi doveva ricominciare, faticare, ricostruire dal poco o dal niente. Molti si fermavano per il caffé e le brioches, poi si disperdevano in città. Lì davanti passavano le biciclette, poche macchine, qualche Topolino o Balilla.

Conosco i Freni, Mario, Carlo e sua moglie Annalisa. Sono stati i “Freni” fino all’ultimo giorno, nessun disarmo o rallentamento, o disagio, le vetrine erano piene e ordinate, i tavoli apparecchiati, come da 98 anni. Col personale a fine contratto, rimasti loro, i “padroni” tutti e tre erano alla macchina del caffé e a servire ai tavoli a spazzare le briciole sul pavimento. Senza manifestare disagio o tristezza. Che certo c’era lo so, lo so in privato. Una classe mantenuta fino alla fine. E che fra poco si ripresenterà. Mi piace concludere in questa chiave. Nel disastro generale, nella volgarità e povertà di adesso, dove non trova cittadinanza la qualità, in nessuna zona della nostra vita, è come se i Freni dicessero: non ci ritroviamo in tutto questo, ci asteniamo, almeno per un po’. Ma torniamo.

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