Il Baath siriano, la dinastia al-Assad e il panarabismo laico

È sabato e io di solito non aggiorno il blog nel weekend (lo facevo fino al 2016, prima del cambio di palinsesto). Tuttavia reputo utile stare al passo dell’attualità e offrire un poco di approfondimento sulle questioni geopolitiche che scuotono il mondo.
Un paio di anni fa, per ragioni meramente narrative, ho fatto delle ricerche sul partito Baath (la dicitura esatta sarebbe Ba’th), che è l’entità politica al potere nella tanto discussa, lacerata e ambita Siria.
Il Baath è un partito nato nell’immediato dopoguerra (1947), ma con dei prodromi che risalgono addirittura al 1939, grazie allo scambio di idee di tre intellettuali mediorientali conosciutisi alla Sorbona di Parigi: Zaki al-Arzusi (musulmano siriano alawita), Michel ‘Aflaq (cristiano ortodosso), Salah al-Din al-Bitar (musulmano sunnita). A loro si è aggiunto poi Akram al-Hurani, a sua volta sunnita, ma soprattutto socialista.
Ad al-Hurani si deve il nome definitivo del partito e il suo orientamento politico: Partito Baʿth Arabo Socialista.

Il Baath è stato fin da principio un movimento panarabo, ovvero tendente a una sorta di unificazione culturale dei popoli di origine araba e islamica, mettendo da parte divergenze religiose di natura conflittuale.
La traduzione stessa del termine Baath è quella di “risorgimento”. Con questo nome si intendeva quindi identificare, fin da principio, un ideale di resurrezione dell’autonomia araba.

Il Baathismo è caratterizzato da molte contraddizioni e da diverse anime che col tempo sono diventate contrapposte, ma ha degli elementi specifici che è opportuno ricordare. Innanzitutto è un movimento tendente al laicismo, per non dire a un certo illuminismo (almeno questo era il proposito dei fondatori). Nel Baath non ci sono quasi mai state derive fondamentaliste, anzi, quest’ultime hanno creato i veri, primi nemici del Baath, che negli anni ’70 e ’80 ha conosciuto le sue fortune migliori.

Dopo una prima diffusione in Siria (che può essere considerato in un certo senso la culla del movimento), in Giordania e in Iraq, è in quest’ultimo paese che il Baath ha visto il suo massimo sviluppo, grazie all’ex dittatore Saddam Hussein, che era uno dei massimi rappresentanti di questo partito.
Ma ancor prima di Hussein, il Baath fu al potere a Baghdad nei primi anni ’60, per poi essere deposto, salvo poi ritornare con veemenza al comando, ma divergendo dall’unitarismo baathista delle origini.
In Siria il partito è al potere fin dal 1963, ma ha subito una scissione che ha portato la fazione vincitrice a creare il regime che si è tramandato fino ai giorni nostri, e che ora appare agonizzante.

Saddam Hussein,Tariq Aziz e altri gerarchi del Baath.

Nel 1970 il Baath siriano elesse a presidente Hafez al Assad (il papà di Bashar al Assad). Questa nomina fu, tra le altre cose, una delle ragioni della perdurante scissione tra il partito siriano e quello iracheno. Il primo (quello siriano) ha tentato di mantenere una vocazione panaraba, nel tentativo di diventare la nazione leader dell’intera ragione.
Hafez al Assad era un uomo duro, a volte spietato, ma riuscì a ridare importanza al suo paese, e a governarlo con mano ferma, fino a farlo diventare davvero il più importante nel Medio Oriente, quantomeno fino a metà degli anni ’80.
Giulio Andreotti ne era affascinato, Bill Clinton lo definiva “duro ma leale” e i sovietici lo hanno considerato per anni il più affidabile alleato arabo su cui far conto, come interlocutore e come partner militare e commerciale.

Il Baath siriano con a guida Hafez divenne il fulcro di un paese monopartitico, di un regime che sosteneva se stesso con il classico “stato di polizia”, senza però arrivare agli eccessi dei cugini baathisti iracheni, che con Saddam divennero gli spauracchi del mondo occidentale.
Hafez al Assad favorì gli alawiti, che pure rappresentavano più o meno l’11% della popolazione siriana, affidando loro dei ruoli chiave nell’amministrazione pubblica e nelle forze armate. Questo ha creato tensioni sociali e religiose, anche perché i gruppi più radicali consideravano (e considerano tuttora) gli alawiti come eretici, a causa del loro “quasi laicismo”. Tra l’altro Hafez al Assad ha spesso aiutato i maroniti (cristiani) libanesi che in quel paese combattevano contro i sunniti.
Il culmine di questo conflitto intestino risale al 1982, quando la famigerata Fratellanza Musulmana tentò di eliminare il presidente, costringendo quest’ultimo a una reazione durissima, che causò oltre 20.000 morti nella città di Hama, dove si concentravano le forze ribelli.

Morto nel 2000, il vecchio Hafez è stato sostituito dal figlio Bashar, anche se “l’erede al trono” doveva essere il primogenito Basil, morto però in un incidente d’auto del 1994.
Hafez ha preparato per anni Bashar a diventare il suo degno successore (dove il significato della parola “degno” è ovviamente ambivalente).

Su Bashar al-Assad molto è stato detto, in questi anni.
Mi limiterò a confermare alcune cose che spesso non emergono dalle cronache dei nostri quotidiani.
L’attuale presidente siriano è effettivamente laico, e quindi nemico dei siriani sunniti e dei Fratelli Musulmani, che ancora bramano vendetta per la repressione del 1982.
Il Baath di Damasco è fortemente anti-israeliano (come già lo era ai tempi di Hafez), cosa che gli ha procurato una certa sintonia con l’Iran, a differenza dell’ormai cancellato Baath iracheno.
Secondo i dati governativi siriani Bashar al Assad è stato rieletto alla presidenza nel 2014 con l’88,7% dei voti, e la sua carica andrà a decadere nel 2021. Ovviamente secondo gli osservatori USA queste elezioni sono caratterizzate da brogli, violenze e da corruzione. Al contrario diversi stati riconoscono Bashar come presidente democraticamente eletto (Russia, Sudafrica, Brasile, India, Venezuela, Cuba e Iran sono i più rilevanti).

Chiudo accennando a un elemento che ogni tanto torna a galla, quando qualche politologo meno banale della media parla del Baath. Parlo dei presunti legami del partito panarabo con il nazismo e il fascismo.
Tutto risale alla fondazione del Baath. Uno dei padri nobili del movimento, Michel ‘Aflaq, era ammirato dalla forza dirompente di fascismo e nazismo, che in quegli anni si affermavano come forze emergenti del Vecchio Continente (vi ricordo che il baathismo nacque concettualmente in Francia, non nel deserto del Medio Oriente). Secondo Aflaq il fascismo e lo NSDAP rappresentavano l’alchimia perfetta tra un credo politico nazionalista e uno socialista. Il fatto che entrambi i partiti fossero al potere attraverso dei regimi totalitari non lo disturbava granché.

Aflaq vedeva nel fascismo un modo per combattere la piaga del colonialismo francese e inglese che stringeva molti paesi arabi in una morsa, impedendone l’autodeterminazione. Purtroppo per lui il Baath si sviluppò troppo lentamente per poter proporre un’alleanza interessante nell’ottica nazifascista.
C’erano però altre realtà nazionaliste che venivano guardate benevolmente da Hitler e Himmler, soprattutto in ottica anti-giudaica.
Pangermanesimo e panarabismo avevano infatti diversi punti di tangenza.
In Siria ed Egitto ci furono addirittura dei gruppi paramilitari ricalcati sulla struttura delle SS naziste, e Hitler strinse un patto col Gran Mufti di Gerusalemme (la suprema autorità giuridica islamica sunnita responsabile della corretta gestione dei Luoghi Santi islamici di Gerusalemme).

Adolf Hitler talking to Grand Mufti Haj Amin el Husseini. (Photo by Keystone/Getty Images)


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