Meno enfasi

Enfasi

Sono settimane che trovo degli interessanti spunti di discussione grazie ai miei contatti di Facebook.
L’altro giorno, per esempio, Isabella Mattazzi (docente universitaria e giornalista de Il Manifesto), ha pubblicato uno status che mi ha colpito. Lo riporto integralmente.

Oggi, mentre aspettavo il treno per tornare a Milano, ho fatto un giro in libreria, ho sfogliato un po’ di novità e mi sono sentita male.
Che cosa fa di uno scrittore un mediocre-pessimo-atroce scrittore? Il linguaggio sciatto? No. La banalità dell’intreccio? No. I dialoghi traballanti? No.
L’enfasi.
L’assoluta, asfissiante idea che un libro nasconda chissà quale messaggio imprescindibile per la vita dei suoi lettori. Le frasi scritte come se contenessero una verità rivelata, le parole messe in fila per svelare – a te che evidentemente nulla sai – il destino delle cose, per mostrarti le tue paure, i tuoi traumi infantili, chi veramente sei, cosa veramente vuoi, la tua anima, l’anima del mondo, l’anima dell’universo tutto.
La presenza continua di quelle che io chiamo le frasi “take away”, quelle frasi che le studentesse si appuntano la sera sul diario, sottolineano a matita e poi spediscono alla migliore amica scrivendoci sotto “come è verooooo”.
Io davvero non ce la faccio a leggere libri scritti così, mi viene mal di testa, mi si cariano i denti, per favore abbiate pietà di noi critici, smettetela di scrivere, di pubblicare boiate, per poco non perdevo il treno.

Mi trovo alquanto d’accordo.
Anch’io noto questa enfasi di vendere libercoli senza particolari pretese, spacciandoli come rivelatori dei segreti dell’animo umano, o portatori di chissà quale verità superiore.

Nei generi/settori di cui mi interesso di più – grossomodo il fantastico – fa specie vedere quanto due filoni, il paranormal romance e la fantascienza distopica, vengano commercializzati seguendo questo preciso schema.
Non sono certo uno di quei moralizzatori che vedono pericoli dietro ogni angolo, tuttavia ogni tanto mi fermo a riflettere su come e quanto certi “messaggi” possano in qualche modo essere dannosi.

Per dire: conosco gente (anche uomini e donne che vanno per i quarant’anni) che interpretano un romanzo come Hunger Games alla stregua di una Bibbia di ribellione al sistema.
Lo fanno però senza minimamente pensare che prima di ribellarti al sistema lo devi conoscere e che i cattivi della narrativa fantastica non corrispondo necessariamente a delle persone della vita reale.
Sono ragionamenti molto demagogici, quindi molto semplici.
Chi sta al potere è “malvagio”, chi si ribella è sempre e comunque buono. E la ribellione, ovviamente, non si può fare senza spargere un po’ di sangue.
Uno schema scolastico, molto lontano dalla realtà.

Icona abusatissima.

Icona abusatissima.

Il paranormal romance è più innocuo?
Mah.
L’idea trasmessa da molti romanzi paranormal romance è che il compagno ideale per una donna debba essere un mostro “buono”, in grado di amarla, di farla sua e di proteggerla come se costei non avesse abbastanza carattere per difendere se stessa e il suo mondo.
Si tratta di una rappresentazione della donna piuttosto avvilente.
Specifico che non tutti i paranormal romance sono così, per fortuna. Alcuni autori e autrici si prendono meno sul serio e si allontano dal modello “alla Twilight”, che è quello che va per la maggiore.

Il punto è che, in un caso o nell’altro – e potremmo anche citare i romance “normali”, così come le novel pseudoerotiche – tali opere vengono spacciate come modelli dottrinali, e non come semplice intrattenimento.
Perché l’idea che possa esistere un libro in grado soltanto di intrattenere, e semmai di far filtrare un messaggio in modo naturale e non invasivo, è lontanissimo dalla mentalità italiana. Quindi gli editori usano e abusalo le tremende “frasi da fascetta”, dove ogni nuovo romanzo è quello rivelatore, quello che ha conquistato le nuove generazioni, quello che ha stravolto la letteratura.

Enfasi, appunto.
Fumo negli occhi.
Specchietti per le allodole.

buffy


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