mezzo SECOLO fa //// usciva il GATTOPARDO

IL gATTOPARDO mezzo secolo fa Pino Farinotti labrouge

Nell’estate del 1963 usciva nella sale Il Gattopardo, per la regia di Luchino Visconti. La prima considerazione, che mi sta a cuore e mi appartiene per attitudine e professione e per lo specifico delle mie docenze che è il rapporto fra il libro e il film, è questa: trattasi di trasposizione quasi ideale, dunque il titolo “Gattopardo”, può accreditarsi di due paternità: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e Luchino Visconti di Modrone. Mi piace rilevarlo, trattasi di un principe e di un conte. E quanta nobiltà c’è in quel romanzo e in quel film. È quasi un assunto che un film non sia mai all’altezza del romanzo da cui è tratto. Per molte regioni, a cominciare dallo spazio e dalla difficoltà del linguaggio cinematografico di tradurre l’introspezione. E l’uso della voce fuori campo non è gradito dal cinema, anche se è spesso praticato. Il “Gattopardo” dunque è una sorta di unicum. Il romanzo di Lampedusa è uno dei vertici del novecento italiano, e davvero libri come quello li conti sulle dita di una mano. Ed è un internazionale, e anche quella è cosa rara nella nostra letteratura. Il romanzo presenta una base perfetta, negli elementi che compongono una storia: il quadro storico ardente; la personalità travolgente del protagonista, il suo dolore, la sua capacità di capire cose complesse e di trasmetterle; l’azione -i Garibaldini sono sbarcati in Sicilia-; la politica; i rapporti interni fra i mondi: la classe sorpassata e la borghesia arrembante che si legherà al nuovo corso; e una storia d’amore non invasiva ma importante; infine la presa di coscienza finale del principe di Salina: “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi.”

Talenti
E poi il film: un trionfo di talenti, di eccellenze e di estetiche. E Visconti in quelle chiavi era insuperabile. Era uomo di gusto assoluto, per famiglia, per attitudine e per la parte di professione che riguardava il teatro. E la leggenda vuole che affrontasse -facesse affrontare al produttore- spese pazze per abiti e biancheria che neppure sarebbe stata ripresa. Il testo di Lampedusa era, come detto, ineccepibile nel racconto e nei dialoghi, ma Visconti conosceva le regole del cinema e sapeva che il testo nobile, proprio perché tale, andava adattato e ritoccato, e come sempre si affidò ai maestri migliori. Assunse Suso Cecchi d’Amico, Enrico Medioli, Pasquale Festa Campanile, e Massimo Franciosa. E qui vanno fatti gli altri nomi. Lo scenografo Mario Garbuglia era uno specialista di ricostruzioni storiche. Il costumista Piero Tosi riusciva a essere rigoroso quasi come Visconti. Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia era considerato un maestro del mondo. Nino Rota, compositore, oltre alla stesura del  tappeto adeguato di suggestioni arrangiò un valzer inedito di Verdi che, ballato da Lancaster e Cardinale, divenne uno dei momenti di maggiore incanto di tutto il cinema. E poi, naturalmente, la Sicilia. Trattasi di un set che nulla ha da invidiare ai grandi scenari del cinema internazionale. Estraggo con la memoria di getto la Monument Valley,  Manhattan, Parigi con tutte la sua storia e la sua cultura, Venezia, il canal grande e piazza San Marco, la Londra nebbiosa classica del primo Sherlock Holmes e di quella ricostruita secondo il regista Guy Ritchie, le piramidi e il deserto di tanti film e racconti,  le strade che scendono al mare di san Francisco, con lo strepitoso ponte d’oro sulla baia e la prigione di Alcatraz. E come dimenticare la casa sul mare di Montalbano. Il palazzo Salina, la casa di Donnafugata, le colline riarse: davvero fanno un film. Visconti deve molto a Burt Lancaster, un attore del quale non si fidava. “L’ho visto fare il corsaro, il cow boy e il gangster, saprà calarsi nei panni di un nobile siciliano?” E Lancaster si calò, e come. Di “contorno” Visconti inserì alcuni dei più begli attori di allora. Per cominciare il più bello di tutti, Alain Delon, e poi Giuliano Gemma e Mario Girotti (futuro Terence Hill). Luchino Visconti trasformò, cinquant’anni fa, un romanzo importante, di contenuti profondi e non semplici, in un’opera “profonda e non semplice” ma anche spettacolare. Perché lo spettacolo è comunque un dovere del cinema. Riuscì dunque in una mediazione al livello più alto. Il film oltre a una miriade di premi, ottenne la Palma d’oro a Cannes. A tanto tempo di distanza non ha smarrito niente della sua qualità e della sua vedibilità. di Pino Farinotti (MyMovies.it, 11 agosto 2013)

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