Di Pino Farinotti (Mymovies.it | lunedì 31 marzo) Non buttiamoci giù, il film tratto da un romanzo di Nick Hornby, è nelle sale in questi giorni. Non ha entusiasmato la critica corrente&prevalente, che lo ha trovato pieno di stereotipi, e di altre debolezze. Diciamo per una media di due stelle di giudizio. Io gliene attribuisco quattro. Ho rivisto il film per assumerlo meglio. E continuavano e rimanere le quattro stelle. Poi, credo di aver capito. Vale una prima considerazione, Hornby si è tenuto, per il film, il ruolo di produttore esecutivo, che è molto importante. Significa che ha approvato, dando indicazioni, il lavoro del regista Pascal Chaumeil, soprattutto quello dello sceneggiatore Jack Thorne. Diciamo che ho “capito” per una sorta di complicità, di mestiere. So cosa significa cedere i diritti di un romanzo al cinema e confrontarsi col regista che non sempre la pensa come te. Ho inteso il privilegio di Hornby di poter dettare e indirizzare. Significa che non solo il romanzo è suo, lo è anche il film.
In breve la vicenda: si ritrovano in quattro sulla terrazza di un palazzo londinese, hanno intenzioni di uccidersi. Ciascuno ha una ragione più o meno buona. Decidono di rimandare di qualche settimana, nel frattempo staranno insieme per condividere il dolore. Si confrontano, vanno in vacanza, alla fine scoprono che tutto sommato… è meglio vivere. Dunque il racconto parte da una base, da un “quadrato” decisamente drammatico, per poi arrivare a un lieto fine totale. E si sa, l’happy end piace al pubblico, dunque non “deve” piacere alla critica. E c’è un altro aspetto: si sorride e ci si diverte, pure in quel contesto triste e tragico in partenza. Hornby presenta una prerogativa invidiabile, un vero lusso artistico: è lui che identifica i titoli dei libri/film, non il regista. Vale per autori importanti davvero. Il grande Gatsby ti fa pensare a Fitzgerald piuttosto che a Clayton o Lurhmann. Le nevi del Kilimangiaro sono quelle di Hemingway, non quelle di King. Anche nell’era contemporanea ci sono scrittori prevalenti rispetto alla pellicola. Certi titoli “processuali” li riconduci a John Grisham, altri di avventura a Tom Clancy, non ai cineasti che li hanno lavorati. Ma Clancy e Grisham non hanno la nobiltà di Hornby, che non è un semplice pre-sceneggiatore, è scrittore vero, qualità di grande romanziere anche … se poi il tuo libro non diventa un film. Si dice: “Hornby autore di culto, idolo dei giovani eccetera”. È vero, e lui ci ha messo argomenti intensi, attuali, persino scaltri: il calcio (“Febbre a 90°“), la musica (“Alta fedeltà“); il rapporto fra uomo e bambino (“About a Boy“). E anche la scrittura risente di un’ispirazione, seppure lontana, da un… imprescindibile Salinger. Ma tutto il successo è meritato.
Tornando a Non buttiamoci giù: ci sono segnali di scrittura di gran classe, fatte le debite differenze fra gli spazi e le regole di un libro e quelle di un film. Un esempio: l’incipit del romanzo: Martin: “se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica un deficiente. Posso spiegarlo perché non è affatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio. Non voglio dire che fosse un capriccio – solo che non era tremendamente complicato o angoscioso…” Nel film le prime parole di Martin (Pierce Brosnan) sono: “Per farla breve ho pensato di suicidarmi. Solo che non si può farla breve, occorre un racconto.” Una sintesi da cinema a fronte di un capoverso da libro. Funziona. E sono sicuro che nella narrazione fuori campo, cioè nella parola pura, c’è più lo zampino di Hornby che quello dello sceneggiatore. Poi certe battute le conosciamo, fanno la differenza coi film scritti da penne meno preziose. “Glielo ha mai detto nessuno che lei è un imbecille?” “Sono un politico, me lo dicono continuamente”. “I fenicotteri vanno a nord di martedì”. Dice la figlia al padre assente che guarda il Tamigi. Uno dei “suicidi rimandati”: “L’idea era di andarmene per far sentire la mia mancanza, ma poter poi tornare e trovare un mondo più gentile.” Stereotipi? Forse, ma voglio estremizzare: come quando vedi un disegno che sembra fatto da uno studente liceale e scopri che invece è di Picasso. Cambia la prospettiva, decisamente. Difficile che uno stereotipo, o comunque il banale, tocchi a Hornby. Infine: le mie quattro stelle possono benissimo valere le due di chi la pensa diversamente. Come ho detto più volte, niente è più discrezionale del cinema.