Ci sono notti che non dovrebbero trascorrere mai, perché solo nel buio c'è salvezza. Notti che consentono una possibilità di tregua, benché fragile e destinata a interrompersi con la prima luce. Sono segnate dall'attesa di quello che accadrà eppure, per qualche ora almeno, immobilizzano il destino in un limbo dove tutto sembra più vero.
E' una notte così, vigilia di due diverse condanne, che ci racconta Albrecht Goes in un libro che ho scoperto solo ora, grazie al consiglio di un amico.Viva il catalogo delle buone case editrici, insomma, viva il passaparola che ci fa resistere ai venti incostanti della novità.
Notte inquieta (Marcos y Marcos) ci riporta all'ottobre 1942, dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica. Il contesto è questo, ma la guerra è sullo sfondo. Il nemico è solo un pensiero, gli eventi si consumano lontano dal fronte.
C'è un giovane soldato, reo di diserzione, che all'alba sarà giustiziato. C'è un ufficiale che dovrà pagare la sua colpa con una missione suicidia a Stalingrado: questa notte abbraccerà per l'ultima volta la sua amata. E c'è un cappellano militare, cui i regolamenti consentono di portare conforto in questa notte.
Il libro è tutto qui, in questi personaggi e in queste ore, quasi un'opera teatrale. Con una forza che sta nei fatti, forse nella stessa esperienza dell'autore, che davvero è stato pastore protestante e cappellano militare in guerra. Con una lingua che non ha bisogno di artitici ed effetti speciali, con la stessa densa semplicità delle pagine di un Heinrich Böll.
Tempesta, immensa tempesta della notte, col tuo fragore furioso, scuoti pure le persiane, infuria contro di me, ma lascia che dormano ora coloro che vanno a morire!
Fuori infuria la bufera, fuori c'è la criminale follia degli uomini. Ma c'è ancora tempo per essere umani. Sia pure per concedersi a un abbraccio nel sonno, per spartire pane e miele, parole vere, addirittura un sorso di caffé vero.