Una mattina Geppetto ha un’idea: perché non costruire un piccolo robottino indistruttibile da vendere come arma di distruzione di massa all’esercito? Il tutto mentre una dittatura autoritaria prende il potere nel Paese dei Balocchi e Jiminy lo Scarafaggio Parlante resta senza casa. Come dite? Non proprio il Pinocchio che vi ricordavate? È questo che accade quando l’italiano più famoso del mondo incontra il genio visionario di Winshluss alias Vincent Paronnaud, un autore dal percorso tanto atipico quanto prolifico, che divide il suo tempo tra il tavolo da disegno, la regia di film animazione, la scultura, la musica e le sue collezioni di giochi e giocattoli.
Questa è la fiaba di Pinocchio, ma non come la conoscete voi.
Non è la versione che vi ha raccontato la Disney, né quella (a mio parere pessima) del film di Benigni. Non è nemmeno la storia che avete visto da ragazzini nel vecchio e famoso sceneggiato RAI.
No, questo Pinocchio è pulp, cattivo, e tira in ballo altre fiabe, tra nani sadomaso, Biancaneve rianimata in stile Frankenstein e molto altro ancora…
Come sapete, io amo la rivisitazione in chiave dark delle fiabe.
Che poi non è che un riportarle alla loro casa naturale, visto che esse nascevano come storielle educative, mirate a spaventare i bambini e le fanciulle, per tenerli lontani da cose e soggetti potenzialmente dannosi. Le fiabe utilizzavano elementi quali streghe, psicopatici misogini, orchi e lupi cattivi come deterrenti per scoraggiare la curiosità, la maleducazione e la disobbedienza ai genitori. Ovviamente gli elementi sono molteplici, quindi questo mio breve elenco è volutamente semplificato.
Pinocchio non sfugge a questo meccanismo del “romanzo di formazione”, anche se l’opera di Collodi in realtà ha più chiavi d’interpretazione (ne abbiamo parlato qui, per esempio).
Vincent Paronnaud, in arte Winshluss, trasforma questa fiaba in una versione post-moderna, decisamente splatter, a tratti surreale, senz’altro punk.
Se c’è un fumetto che si avvicina al genere bizarro, questo Pinocchio lo è senz’altro.
Parronaud reinventa il celebre burattino, che da marionetta di legno diventa il prototipo di un cyborg da combattimento, costruito da un inventore represso, Geppetto, sposato con un’immigrata dell’est malata di ninfomania.
E questo è solo l’inizio.
Fuggito da casa Geppetto, Pinocchio attraversa un mondo che ricalca quello – già surreale di suo – descritto da Collodi. Solo che Parronaud lo rende ancora più grottesco, tra fabbriche clandestine che fanno lavorare bambini negli scantinati, bruciando nel forno quelli che hanno un tasso di produttività basso, e clochard metropolitani di bassissimi valori morali.
Notevole il mash-up con altre fiabe, soprattutto la versione porno-horror di Biancaneve, in cui i sette nani sono dei biechi erotomani che tentano di costruire la loro “principessa” attraverso il commercio illegale di organi umani, solo per farne una solerte schiava sessuale.
Ma è pur sempre la ricostruzione dell’immaginario collodiano a costituire il piatto forte: Lucignolo è un bambino di strada che ha subito abusi sessuali, la balena che ingoia Geppetto è un mostro marino mutato dall’inquinamento marino e il Grillo Parlante è uno scarafaggio che da giovane voleva fare lo scrittore.
Imperdibile il Paese dei Balocchi, qui descritto come una dittatura sudamericana in cui due spietati figuri si sfidano a colpi di golpe e di soldati-bambini.
Questo Pinocchio non è certo un’opera per tutti. Le dosi di cinismo e di splatter fanno a pugni con la sensibilità umana, anche se tutto il volume ha una sua poesia oscura di fondo, che si percepisce senza mai afferrarla del tutto.
I disegni richiamano ai fumetti americani di inizio ’900, a cui l’intero libro sembra essere una sorta di enorme, bellissima dedica, dissacrazione a parte.
Consigliatissimo se cercate qualcosa di davvero particolare.
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