Se non sapete ancora cosa sta alla base di Civil War, una delle più riuscite saghe Marvel degli ultimi ventanni (di cui in primavera vedrete la trasposizione cinematografica), ve la riassumo in soldoni.
Dopo un incidente causato dal metaumano chiamato Nitro, in cui perdono la vita molti civili (tra cui parecchi bambini), il governo degli Stati Uniti e l’agenzia SHIELD decidono di varare l’Atto di Registrazione dei Superumani. Esso – una sorta di versione speciale del Patriot Act – obbliga tutti gli individui dotati di superpoteri o di talenti assimilabili a essi a registrarsi presso le autorità.
Questo dovrebbe creare – e di fatto lo crea – un database utile a prevenire ulteriori incidenti causati dai metaumani, che siano essi volontari o provocati da criminali e terroristi.
La comunità dei supereroi si spacca in due: da una parte c’è Tony Stark, favorevole alla registrazione, dall’altra Steve Rogers, contrario. Il primo la sostiene perché essa porta ordine e sicurezza, il secondo resta fedele al principio americano di libertà, e alla necessità di un eroe di poter indossare una maschera, per proteggere i suoi cari, per non essere ricattabile.
Questa, riassunta all’estremo, è Civil War.
Una saga che, a mio parere, dovrebbe essere letta anche da chi non ama i fumetti Marvel, perché vengono toccati temi molto “alti”, direi quasi politici e ideologici.
È estremamente facile schierarsi con l’eroe, quando il cattivo è un alieno divoratore di mondi, o il programmatore folle di un esercito di robot, o uno psicolabile che ama uccidere gli innocenti.
Ma che succede quando a scontrarsi sono due persone – due eroi – che in altri contesti hanno salvato il mondo più volte, partecipando a battaglie giuste, per salvare vite innocenti?
E ancora – altra tematica – a quanta libertà puoi rinunciare, per sentirti più sicuro?
Io sono un fan di Tony Stark da tempi non sospetti, ma in Civil War sono sempre stato dalla parte del Cap.
Anche perché la morale di questa storia si applica in più campi.
Vale, per esempio, per chi ci vorrebbe tutti bene incasellati, con la certificazione di essere davvero ciò che dichiariamo. Certificazione magari pagata, e che ci sottopone a un’autorità superiore, che guadagna così il diritto di dirci se esistiamo o meno.
No, non voglio fare un’elogio all’anarchia.
Molto più semplicemente penso – per esempio – al sistema editoriale italiano, dove un’etichetta “editore” sdogana i peggiori cialtroni, rendendoli degni solo perché si sono registrati. Perché hanno la certificazione.
Mentre i ronin, quelli che lavorano (magari bene) fuori dalle gerarchie, fuori dagli schemi, sono dei rompicoglioni.
O quantomeno vengono dipinti come tali. Perché sono imprevedibili. Perché ogni tanto guastano un sistema produttivo spesso non limpido né tantomeno perfetto.
Comunque il parallelismo con Civil War è applicabile in più campi del mondo reale: in tutti quelli creativi/culturali, in politica – dove il libero pensiero viene usato solo in rarissimi casi, per lavarsi le mani su questioni spinose (vedi la presa di posizione del M5S sul DDL Cirinnà). E, anche in questi casi, si tratta di ordini partiti dall’alto, che seguono una precisa scala gerarchica, fingendo di rispondere a una libertà individuale che – all’effetto pratico – è negata dal momento in cui si entra a far parte di un organismo irreggimentato.
Ovviamente non credo che possano esiste una società, un’economia e una politica del tutto priva di organizzazione e di “registri”, ma ambirei all’esistenza di un maggior numero di persone dotate almeno di libertà mentale, volte a un fine più lungimirante rispetto alla mera difesa dell’orticello.
Mi piacerebbe vedere più gente come Steve Rogers.
Ma tanto – si sa – tanto sono solo stupidi fumetti.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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