Storm 333

storm 333

Erano i bei tempi in cui l’Unione Sovietica poteva ancora dare prove muscolari di una certa efficacia.
Correva infatti il dicembre del 1979 e a Mosca si guardava con insopportabile fastidio la svolta politica afghana, che si era allontanata dal socialismo con la deposizione del presidente Taraki. Il suo sostituto, Hafizullah Amin, forse responsabile dalla morte di Taraki stesso, aveva infatti messo in atto un processo di indipendenza dall’Unione Sovietica, in favore dell’autonomia del suo paese.
I russi, pratici e feroci, pensarono a una soluzione radicale al problema. Dopo essersi assicurati la fedeltà del politico filo-marxista Babrak Karmal, che era stato allontanato dagli stessi deputati afghani con la scusa di farlo diventare ambasciatore a Praga, il Cremlino studiò un brutale colpo di stato.
Ed ecco la nascita dell’operazione Storm-333

L’obiettivo della missione era triplo: prendere possesso del Palazzo Tajbeg, l’edificio governativo afghano, catturare il presidente Amin e infine sistemare il buon Karmal al suo posto, come nuovo presidente filo-sovietico.
L’assalto al palazzo fu sanguinoso e spietato. La forza d’attacco russa era composta da 30 uomini del gruppo speciale Zenith (i futuri Vympel, i corpi d’élite dei servizi segreti sovietici/russi), 87 soldati del 345° reggimento aerotrasportato e da 520 operativi del 154° battaglione spetsnaz. Quest’ultimo era conosciuto come il “battaglione musulmano”, perché i suoi membri erano cittadini delle province islamiche dell’URSS. Furono loro, vestiti con le veste tipiche delle guardie afghane, a dare il via all’assalto, confondendo le sentinelle fedeli ad Amin.

Hafizullah Amin.

La battaglia al Tajbeg fu rapida e terribile. La guardia presidenziale fu decimata, tanto che alla fine contò oltre duemila morti (praticamente tutti gli effettivi a difesa della struttura). Amin, che inizialmente era convinto di essere sotto l’attacco di dissidenti interni (e sperava in un aiuto sovietico!), venne ucciso durante lo scontro. Secondo la versione ufficiale si trattò di “una raffica casuale”, mentre secondo fonti afghane fu un assassinio a sangue freddo. Anche suo figlio venne ucciso da una scheggia di granata, mentre la figlia fu ferita ma sopravvisse.
Gli afghani vendettero cara la pelle, tanto che le perdite tra i sovietici non furono poche: cinque operatori del KGB, sei spetsnaz e nove paracadutisti vennero uccisi, mentre i feriti furono una trentina.
La sproporzione tra i caduti delle due parti pare enorme (in effetti lo è), ma dobbiamo ricordare che i soldati russi dell’Operazione-333 erano tra i migliori delle forze armate sovietiche.

Un’ora dopo l’attacco Radio Kabul diffuse un comunicato pre-registrato di Brabak Karmal, in cui si annunciava la fine del “regime di Amin”.
Il politburo sovietico sostenne che l’operazione militare era stata effettuata per rispettare il trattato d’alleanza siglato col precedente presidente, Taraki, che secondo la propaganda filo-russa era stato assassinato dagli uomini di Amin. Giusto per rincarare la dose, da Mosca si lasciò intendere che il regime di Amin era stato voluto e finanziato dalla CIA americana.

L’Operazione-333 diede di fatto il via alla guerra tra URSS e Afghanistan, con l’invasione di quest’ultimo da parte delle truppe dell’Armata Rossa.
L’assassinio di Amin riuscì a fare da collante tra le tante fazioni di mujaheddin, fino ad allora divise, ma finalmente riunite nel fronte comune contro il nuovo governo fantoccio di Karmal. La guerra, iniziata dunque nel 1979, sarebbe durata fino al 1989, contribuendo non poco al disfacimento dell’Unione Sovietica.
Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.


 Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola

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