Avevo deciso di non recensire Stranger Thing, l’ottimo serial di Netflix, perché in molti l’hanno già fatto, dicendo tutto ciò che di importante c’era da dire.
Vi consiglio di recuperare – su tutti – gli articoli di Lucia Patrizi (già linkato qualche giorno fa) e quello di Matteo Poropat.
Però qualche parola su questo gioiellino le voglio spendere comunque.
Qualcuno l’ha definito un prodotto “furbetto”, perché ha tutti gli elementi che, se ben miscelati, possono garantire un grande successo. E, sì, nel caso di Stranger Things, la fase di miscelatura è eccezionale. Abbiamo un sacco di materiale interessante: gli anni ’80, i giochi di ruolo, il mistero, i ragazzini eroi involontari, i piccoli drammi della provincia americana, i richiami “nerd”, più quelle atmosfere a metà tra King e Spielberg, così ben replicate, così efficaci.
C’è del furbo in tutto ciò? Probabilmente sì. Però tutto è fatto a regola d’arte. Il risultato finale è ottimo, al netto dei gusti personali.
In più io ci ho trovato qualche valore extra.
Stranger Things è un elogio dell’amicizia.
Quella vera.
Quella tra ragazzini, forse la più solida delle tante amicizie che un essere umano mediamente “normale” può sperimentare nella sua vita.
Gli amici non mentono.
Questo è uno dei mantra del serial proposto da Netflix. Se vogliamo è una verità semplice e scontata, ma che molti di noi dimenticano beh… semplicemente vivendo.
Dopo tante opere ciniche e cupe, è stato bello trovare un horror con un messaggio positivo, con degli eroi puri, nel loro essere ragazzini, scevri da lati dark o da aspetti pulp o hard-boiled.
Siamo dalle parti di Goonies, di Scuola di Mostri, di It.
Prendendo il meglio di tutti questi – e di altri – prodotti.
Al contempo Stranger Things è un serial che ha come protagonisti dei ragazzini (ma non solo, eh), ma che li tratta in maniera adulta, confrontandoli sia con le brutture del mondo dei grandi che con l’orrore “fantastico”, che irrompe nella vita abitudinaria e noiosa di un piccolo paese dell’Indiana.
È stato bello confrontarsi con un’opera che non tratta gli spettatori come fessi, e che non butta tutto sul leggero forzoso, sulla caciara, sul più rassicurante young adult zucchero, disneyano.
Nulla contro Disney, si capisce, ma a volte serve qualcosa che tratti l’immaginario con un punto di vista più maturo. Direi più realistico, se non fosse paradossale usare un termine del genere, parlando di ST.
Ecco, questi sono gli elementi che mi sono piaciuti di più.
Poi, va da sé, ST ha innescato in me, e in spettatori come me, un effetto nostalgia fortemente voluto.
Mi sono rivisto in questi ragazzini, nel loro modo di vedere il mondo e di affrontare cose più grandi di loro.
I bambini di ST hanno combattuto un mostro e una multinazionale cattiva.
Altri, come me, tra una partita di giochi di ruolo, una mattinata trascorsa tra i videogame arcade da bar e un giro in bicicletta, hanno fatto la conoscenza con altri mostri: la grave malattia di un compagno di scuola, la morte di qualche caro, la separazione dei genitori, etc etc.
Anche per questo il fantastico, se ben utilizzato, resta una potentissima metafora della vita, senza bisogno di usare espedienti demagogici di basso livello.
Ecco, a me Stranger Things è piaciuto proprio tanto.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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