Vi fate le saghe?

saga di shannara

Qualche tempo fa, su uno dei tanti gruppi Facebook dedicati alla scrittura e più in generale agli ebook, qualcuno ha posto un interessante quesito.
Mi permetto di citarlo integralmente:

Vedo che molti di voi scrivono saghe, trilogie o comunque racconti collegati tra loro che, per essere pienamente apprezzati, devono per forza essere letti tutti insieme. Io mi chiedo se questa scelta non sia controproducente. Così facendo l’autore non rischia di ridurre sempre di più il suo potenziale pubblico di lettori? Ok in questo modo si fidelizzano quelli che a cui è piaciuto il primo capitolo ma tutti gli altri? Via via che escono i nuovi capitoli secondo me si chiude in parte la porta a nuovi potenziali lettori. Che ne pensate?

L’autore del post è l’ottimo Alessandro Balestra, gestore dello storico sito di microletteratura horror, Scheletri.com

Dal mio punto di vista la faccenda è un tantino complessa (via, nemmeno poi tanto), e merita un post a parte.
Questo.

Involontariamente, ho scritto e sto scrivendo diverse saghe:

- Le Imprese di Maciste
Sibir – Darkest
I Robot di La Marmora
Racconti di Mondo Delta (che è più che altro un incrocio tra racconti autoconclusivi)
Venatores
- La Lancia di Marte

Non poche, vero?
Se si trattasse delle classiche saghe da libreria, avrei già scritto sicuramente più di 20.000 pagine, sommando i vari volumi di tutti i cicli narrativi in questione. Questo perché le saghe classiche, in cartaceo, sono lunghissime, prolisse, a volte infinite. Capita perfino che l’autore muoia prima di completarle, o che finisca in vicoli ciechi da cui è difficilissimo uscire (sì, sto pensando a George R.R. Martin, tra i tanti).
Capita anche che le saghe avvizziscano su stesse, e sulle richieste di fan mai stanchi di sentirsi proporre le solite storie, riscritte in modo leggermente diverso, ma dal sapore di stantio (in questo caso sto invece pensando a Terry Brooks, bravissimi).

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Maciste contro Thor.
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Le mie saghe sono diverse.
Le paragono da sempre agli albi a fumetto, quelli da edicola.
Letture di media lunghezza, a basso costo, con una certa regolarità nelle loro uscite. Tra l’altro dotate di un regolare inizio e di una sacrosanta fine (a differenza, per esempio, di Tex Willer o di Dylan Dog).
A molti questo formato piace, ad altri no.
Io lo trovo ottimo, sia come scrittore che come lettore.
Crescendo ho purtroppo meno tempo per leggere, e trovo poco piacevole impegnarlo in saghe di dodici libri da 500 pagine l’uno. Meglio dunque i volumetti agili, ma non per questo banali, con una storia magari non autoconclusiva, bensì divisa tra più uscite.


Deborah promuove “Biondin all’Inferno” (http://www.amazon.it/dp/B00LTY2IW4)

E del rischio paventato da Balestra che ne penso?
Presto detto: sì, c’è il rischio che i capitoli successivi al primo non vendano granché.
Per evitare questo inconveniente occorre proporre un ottimo capitolo-pilota, con un contenuto di gran qualità e a un prezzo che faccia gola ai lettori titubanti. In poche parole: occorre fidelizzare il pubblico, conquistarne la curiosità e la voglia di sapere “come va a finire”.
Comunque, anche così facendo, è possibile (se non probabile) che saghe molto lunghe perdano per strada dei lettori.
Una delle strategie per cercare di evitare questo fenomeno è quella di proporre, laddove è possibile, volumetti in buona parte autoconclusivi.
Esperimento che sto provando a fare con Le Imprese di Maciste: prendete uno qualunque dei tre volumi della prima trilogia: lo potete leggere indipendentemente dagli altri, anche senza rispettare un rigoroso ordine cronologico.
Il vantaggio di leggerli tutti e tre sta invece nel riconoscere i vari easter egg e inside joke dei vari racconti.

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E voi, che ne pensate? Preferite le storie seriali, o i racconti “one shot”?

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