Dal classicismo estetico all'esistenzialismo. Dialogo con l'artista salentino Giuseppe Ciracì

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Il pathos che scaturisce da ritratti iperrealistici. La precarietà dell'esistenza rappresentata dalla "scarnificazione" dei volti. E' il fulcro della poetica artistica del pittore brindisino Giuseppe Ciracì, intervistato per Lobodilattice:

 Sei stato uno dei protagonisti della collettiva "Attenti a quei due - The Persuaders", inaugurata alla galleria Rossocontemporaneo di Taranto e CO.61 di Grottaglie. A tuo avviso, qual è il fil-rouge della mostra curata da Angelo Raffaele Villani e Gianmichele Arrivo?
L'obiettivo fondamentale del progetto è "fare sistema", creare un dialogo tra artisti e gallerie. E affrontare, attraverso l'arte contemporanea, le difficoltà create dalle precarie condizioni economiche del nostro territorio. Per questo ho incoraggiato l'iniziativa di Angelo Raffaele Villani.
Ci parli della tua formazione artistica?
Ho studiato all'Accademia di Belle Arti di Lecce e, dal 2003, ho vissuto a Milano per dieci anni. Questo è stato un periodo importantissimo per la mia formazione artistica, soprattutto per il confronto con tanti artisti. Ritornato nel Salento, l'anno scorso ho realizzato la personale "Dialogo con Leonardo" al MAP - Museo Mediterraneo dell'Arte Presente a Brindisi, curata da Massimo Guastella, critico d'arte e professore di Storia dell'Arte contemporanea all'Università del Salento. In questa occasione è stato presentato il libro "Giuseppe Ciracì - Opere 2009-2012", edito da Mario Congedo Editore di Galatina (Le). Una raccolta di testi critici sulle mie opere - create dal 2009 al 2012 - di Maria Cristina Strati, Martina Cavallarin, Francesca Londino, Antonella Gallone, corredata da un'intervista di Daniela Rucco. Nella personale di Brindisi ho presentato un ciclo di opere intitolate "A Windsor", realizzate dopo aver selezionato 600 bozzetti di Leonardo Da Vinci sull'anatomia, conservati nella collezione della Regina Elisabetta nel Castello di Windsor a Londra. Mi sono ispirato a quei bozzetti collegandoli all'anatomia dei volti che dipingo. Sono un ritrattista infatti, ma parto da ritratti per evocare concetti quali la precarietà dell'esistenza, ad esempio. Parto comunque da soggetti classici,  che possono essere ispirati da riflessioni letterarie. Nelle mie opere l'impianto classico è la struttura che prediligo. Gli strappi sui volti e l'incompiutezza dell'immagine, simboleggiano e sembrano confermare i limiti dell'io, nel suo non essere accessibile ad un'illimitata indagine.
Come nelle opere presentate alla galleria "Rossocontemporaneo"...
Si, infatti nella prima opera, che narra l'episodio di Rosmunda, unisco la struttura classica dell'opera a una pittura iperrealista e ai disegni che raffigurano l'anatomia del volto. La colonna vertebrale raffigurata sui due volti, lo scheletro del cranio, gli strappi sui volti rappresentano dunque la scarnificazione dell'esistente, la precarietà dell'essere. I miei primi dipinti erano invece concepiti in maniera classica, con volti ingigantiti. Durante l'esperienza milanese, invece, ho cominciato a togliere, non più ad aggiungere. La seconda opera presentata, "Dioniso 27", è stata presentata nel 2010 al Premio Internazionale di Pittura Zingarelli - Rocca delle Macìe" in Toscana, istituito da Italo Zingarelli, fondatore dell'azienda vitivinicola del Chianti Classico Rocca delle Macìe (che è stato a sua volta un'importante produttore cinematografico e regista). Tema del premio era appunto il vino, il nostro vino italiano, dunque la storia di una passione. Ho rappresentato Dioniso, il dio del vino dipingendo il volto di Graziano, un mio amico attore. Nell'opera viene raffigurato lo scheletro di una mano. Da qui il significato del titolo dell'opera "Dioniso 27". 27 sono infatti le ossa della mano, che rappresenta un elemento importantissimo perchè può uccidere e sacrificare agli dei.
Risulta forte, dunque, nella tua poetica artistica, la valenza filosofica e in particolare la valenza esistenzialista dell'opera..
Si. Concepisco l'opera come una domanda aperta.

Come spiega, infine, Martina Cavallarin:

Ciracì attraverso la pittura elabora e contestualizza il rapporto dialettico tra sé stesso e l’altro esponendo la parte più dolente e sfacciata dell’essere umano, la faccia, il volto, la maschera che contiene gli occhi, la luce dello sguardo, l’oscurità di una smorfia, la nudità di un cranio rasato o la voluttà anche erotica di una chioma appena accennata. Quando invece l’artista affronta l’opera con la matita la sua scelta passa da singoli fogli ad una dinamica moltiplicata da più carte che contengono un repertorio organizzato di informazioni a costituire un’unica narrazione.

 

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