“Killer” è come viene definita Maya (Jessica Chastain), agente della CIA dal suo capo Dan (Jason Clarke). E killer, inteso in senso figurato, e buono, come “decisa, grintosa, organizzata”, può essere perfettamente riferito a Kathryn Bigelow, la regista di Zero Dark Thirty. Kathryn è diventata il più importante cineasta donna del cinema internazionale. Maya ha scovato il suo rifugio e ha fatto uccidere di Bin Laden. Va detto che esiste la vera “Maya”, l’agente che per dieci anni ha dato la caccia allo sceicco scomparso. Il suo nome vero naturalmente non viene divulgato per sicurezza. Si sa che è, a sua volta, molto ambiziosa, che è stata premiata col Distinguished Intelligence Medal, un riconoscimento prestigiosissimo. Attribuito anche a tutto il gruppo dei Navy Seals che hanno fatto parte del leggendario blitz che permise di scoprire e uccidere Bin Laden. La “Maya” vera avrebbe voluto un riconoscimento individuale. La donna è molto ambiziosa. Giustamente.
Ma il focus è sulla Maya del film, alter ego credibile e vero dell’originale. “Ambiziosa” si aggiunge agli aggettivi detti sopra. Il tutto vale, come detto, anche per l’autrice Kathryn. Che fosse una predestinata lo si capì presto, così come risultò chiaro quale sarebbe stato il suo percorso: azione, avventura, documento. E una chiave certamente maschile. Non è certo un film “femminile” Point Break, un incalzante thriller nel mondo del windsurf, travolgente per azione ed energia. Energia che certo non manca, in nessuna chiave, alla Bigelow, alta un metro e 82, con spalle da atleta vera. Tra l’altro bellissima.
Un segnale indiscutibile di questo straordinario carattere è l’Oscar: Kathryn è stata la prima donna a vincere la statuetta come regista. Al suo indubbio talento ha aggiunto la diplomazia e l’astuzia, come quando diresse The Hurt Locker, sulla vita di un gruppo di sminatori, eroici, in Iraq. La Bigelow aveva intuito perfettamente il momento, la necessità dell’America, e di Obama, di mostrare una faccia eroica, appunto, di quella spedizione tanto contestata. Il riscontro ci fu: ben 6 Oscar, fra i quali i più importanti, al film e alla regista. La Bigelow fu accusata di “captatio” nei confronti del presidente. E che captatio ci fosse o meno, certo è che Barack forse ha dato davvero molte, o troppe informazioni alla regista sulla fine di Bin Laden.
E poi c’è Maya. Come detto, le due si assomigliano. L’agente CIA è di stanza in Medio oriente, da sempre ha l’ossessione Bin Laden. Assiste alle torture cui vengono sottoposti i terroristi. All’inizio prova rifiuto e raccapriccio, poi, le accetta come inevitabili. Dopo tanti tentativi e tante opzioni crede di aver trovato la soluzione. Osama non farà errori, è furbo e protetto, non si esporrà telefonando o con altri mezzi di comunicazione. Ha dunque bisogno di corrieri, e quelli gli errori possono farli. È l’intuizione giusta. Controlli su controlli, i più capillari, i più insignificanti, ed ecco che lo spiraglio si apre. Viene individuato un corriere e con lui il sito. Si tratta di una costruzione nella località di Abbottabad, Pakistan. Ma la certezza che lo sceicco sia proprio lì non c’è, si va a probabilità. Si tiene l’ultima riunione, presenti i vertici. Ogni agente dà il suo numero, 60%, 70%. Maya scandisce 100%. Il capo, che riferirà al Presidente, crede alla sua sicurezza e alla sua fede. E Maya, ha ragione.
Ma per arrivare a quel punto finale, così decisivo nella Storia, la ragazza aveva dovuto lottare. Come devono lottare le donne che vogliono imporsi, ed essere più brave degli uomini. Emergono i contrasti, le invidie, le insinuazioni. Una, Maya la ferma subito “io non sono una che va a letto”. Il suo lavoro di analista la porta a una sicurezza: i fondamentalisti non si fanno comprare. Una sua collega d’agenzia trova una pista: un terrorista sembra disposto a tradire Bin Laden. Per 25 milioni di dollari.
Maya la mette in guardia “il denaro non serve” l’altra ribatte “venticinque milioni sono tanti”. “Non servono” conclude Maya. Il terrorista va all’appuntamento e si fa esplodere, uccidendo sei agenti. E Maya, aveva ragione. Tutto questo in un film da quattro stelle.