GABRIELE ARRUZZO’S VICE__ IL TEATRO DELLA CRUDELTA’
«“Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? (…) Eleganter enim et veraciter Alexandro illi Magno quidam comprehensus pirata respondit. Nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: Quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu magna classe, imperator."
“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono i regni se non bande di ladroni?(…) Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: "La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta" ».
Sant’Agostino, De Civitate Dei, Libro IV
L’animale sarà senza difetti, maschio, di un anno. Lo sceglierete fra i montoni o le capre. Lo manterrete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, quando l’intera comunità di Israele lo sgozzerà fra l’una e l’altra sera. Se ne prenderà il sangue e lo si porrà fra gli stipiti e l’architrave della porta di casa e lo si mangerà.
Esodo, 12, 1-12.
La crudeltà, come qualsiasi altra cosa, subisce la moda, cambia secondo i tempi e i luoghi
Karl Marx
Cosa hanno a che fare Roy Lichtenstein, Durer, Gesù Cristo, Jerry Siegel e i fratelli Grimm? Qual è il modo di metterli in relazione? C’è un sentiero segreto che unisce le grafiche scultoree dell’archeologia xilografica, la bidimensionalità squillante dei fumetti e le campiture basiche della Pop Art. E’ proprio lungo questi strani corridoi connettivi che nasce l’arte di Gabriele Arruzzo. Un’arte di esauribile ricchezza, che fa dell’auto-speculazione una delle sue cifre stilistiche.
Quindi, pittori e strumenti di pittura. Il pennello viene sorretto da un doppleganger di Superman. Finisce fra le mani di un cogitabondo Adolf Hitler. L’aspirante allievo dell’Accademia di Belle Arti di Vienna tiene i piedi a mollo nell’orinatoio del suo inarrivabile coetaneo Duchamp, contempla una lumaca arrampicarsi su una tela inesorabilmente vuota, e diventa emblema di quello che può arrivare a fare un pseudo-artista frustrato. Potrebbe essere proprio Hitler il palombaro che dipinge un tentativo di arcobaleno della pace, mentre uno scheletro Totentanz con il cappello nazista lo distoglie dai suoi goffi cimenti. Sempre lungo il medesimo solco tematico, ovvero la riflessione sulle pratiche dell’arte, un principe coronato abbandona le tre grazie e guada una palude a cavallo di un ronzino, perché sulla sua schiena sono conficcati piano e fogli di disegno. L’arte viene quindi rappresentata come un richiamo verso territori solitari ed inospitali. Una tavolozza si trova anche in un enigmatico scudo allegorico, accostata al regolo dei massoni, alla corona, al cappello da cowboy e alla celata da cavaliere, fra due cervi rampanti segati a brani e a delle donne in posizione da schiave sessuali. Quindi l’arte come chiave che apre tutte le porte del potere? Come strumento violento ed affilato che cerca di cogliere l’anima delle cose (le ali di farfalla) ma che nella sua ansia di separare, di analizzare, finisce per fare macelleria?
Arruzzo si cimenta più volte nella composizione di scudi allegorici, come quello della pirateria, e raggiunge la vetta del genere con la proposta per il nuovo stemma della Repubblica Italiana. Al centro un compasso massonico, coronato dalla tiara papale che incornicia il capro sabbatico del Maligno. Gli allori si sono seccati, le foglie di quercia e olivo della fortezza e della pace sembrano infestate da un parassita che le corrode, forse per la prossimità coi frutti della Repubblica delle Banane. Rimangono solo tranci di pizza e teschi coronati dentro a piatti di spaghetti, custoditi da due figli della Lupa che fanno il saluto romano, con addosso le maschere di Pulcinella ed Arlecchino, perché l’importante è non smettere mai di sorridere. Nello stemma di Arruzzo, L’Italia si configura come un paese terzomondista, fascista, retto da poteri occulti e tronfio delle proprie stereotipie pagliaccesche.
Arruzzo accosta frequentemente soggetti religiosi con l’iconografia del BDSM, non per amore di blasfemia ma per filologia figurativa del martirio. Non può quindi mancare l’apertura del corpo, con organi lucidi, visceri in esposizione ed esplosioni ematiche, spesso collegate alle immagini della crocefissione. I torrenti di sangue si trasformano in farfalle rosse, oppure vengono raccolte su tela da Veroniche bambine con code di dinosauro. L’agnello è un animale simbolico ricorrente, che allude al sacrificio come tema centrale in tutta la cultura giudaico cristiana, nelle sue forme di espressione artistica e in tutte le sue mitologie.
L’arte di Gabriele Arruzzo è di una ricchezza che stordisce, con mille stimoli mesmerizzanti che incantano la mente e la mandano alla deriva dentro narrazioni subliminali a cui non è possibile resistere. Arruzzo scrive la topografia di un intero continente di mondi sotterranei, tutti egualmente profondi e sviluppati. Fiabe nere, vivisezioni rinascimentali, eroi pop dei fumetti, prese di posizione politica caustiche e coraggiose, speculazione sul potere, elementi meta-artistici, citazioni che sfrecciano come bolidi temporali da Piero della Francesca a Felicien Rops, da Sandro Botticelli ad Artemisia Gentileschi, da Hieronymus Bosch a Heinrich Fussli, e che si trovano a convivere in maniera spuria e spensierata con Bambi, Superman, Alice, Josif Stalin e Jason di Venerdì 13.
Il denominatore comune, sotteso a tutti questi ambiti dell’immaginario e dell’esistente, sembra non essere altro che la crudeltà.
Luiza Samanda Turrini