DOLL IS IN THE AIR
di Igor Zanti
Girare per un negozio di giocattoli, al giorno d’oggi, può essere un’ esperienza paragonabile ad una visita ad un museo d’arte contemporanea o ad una galleria molto, ma molto, di grido.
Gli scaffali nascondono sorprese e curiosità che, seppur apparentemente lontane dalla rarefatta atmosfera dell’Olimpo dell’arte ufficiale e dall’ambrosia contenuta nei calici dorati di critici, curatori, direttori di musei e giornalisti, si rivelano la fonte di ispirazione di moltissimi dei più raffinati e celebrati artisti.
Ma andiamo per gradi… e partiamo dalle origini… forse...
(Blythe)
Se l’estate scorsa vi fosse mai capitato di bighellonare per il londinese Hyde Park e il vostro bighellonare, risalendo i vialetti dal lato di South Kensignton, vi avesse portato verso l’immacolato edificio della raffinatissima Serpentine Gallery, e vi fosse venuta un’improvvisa voglia di sbirciare attraverso le ampie finestre che illuminano l’elegante spazio espositivo, immediatamente, vi sarebbe parso di trovarvi in mezzo ad una fiera di paese dove venditori ambulanti offrono, a bambini di tutte le età, palloncini e gonfiabili dalle forme più disparate. Tale spettacolo, che per colore e magnificenza poteva rivaleggiare con la festa di Santa Rosalia a Palermo, non era stato immaginato per allietare gli infanti di Albione, ma un pubblico di adulti appassionati d’arte contemporanea. Si trattava, infatti, di nulla di meno che dell’ultima mostra del cicciolino Jeff Koons, enfant terrible dell’arte americana (oramai solo terrible, perché ha perso da tempo status d’ enfant), che presentava Popeye Series 2, progetto, iniziato nel 2002, che mette insieme riferimenti ai cartoons, giocattoli di sapore vintage, influenze dell’arte classica e un mai ben dichiarato amore per il marchè aux puces.
Ma Jeff non è il solo a cui piace giocare. D’altronde cosa ci si può aspettare da uno che si è sposato l’incarnazione di una bambola gonfiabile?
(Pullip)
La scoperte più sconvolgenti si fanno andando in uno di quei templi del fanciullo contemporaneo che sono Hamleys a Londra, o il cinematografico e alleniano Fao Schwarz di New York o, ancora meglio, Kiddiland o Hakuhinkan Toy Park di Tokyo, dove, visitando il reparto delle bambole, specialmente quelle da collezione, vi parrà di trovarvi nelle sale della Jonathan Levine Gallery di New York, ad una collettiva dei suoi migliori artisti. Infatti, osservando gli scaffali, ci si sentirà studiati dagli occhioni sgranati e un po’ inquietanti di Blythe o Pullip e la mente correrà immediatamente a Ray Caesar, o, ancora meglio, a Mark Ryden.
La domanda sorge spontanea, come diceva un vecchio tormentone televisivo, : “è nato prima l’uovo o la gallina?”
Poco importa rispondere, ma qualche dato non fa mai male…
Se Blythe potrebbe effettivamente aver ispirato Mark Ryden , la bambola, infatti, dopo essere stata prodotta negli anni ’70 dall’americana Kenner Toys, soffrendo, forse, della concorrenza della sua conterranea Barbie, era caduta nel dimenticatoio, fino a quando una bambina degli anni ‘70, la fotografa Gina Garan, non l’ha fatta diventare un’ icona fashion e gli ha dedicato una serie di scatti che, dopo essere stati pubblicati nel volume This is Blythe, finiscono per divenire la campagna pubblicitaria della Sony Europa, riaccendendo il desiderio di collezionismo, tanto da spingere la Takara, colosso dei giocattoli giapponese, ad acquistare il brevetto dalla Kenner verso la metà degli anni 2000 ed a iniziare una nuova produzione.
Pullip, invece, nasce un po’ come risposta a Blythe per iniziativa della coreana AGA doll nel 2004-è quindi di molto successiva ai primi lavori di Ryden e Caesar- pur essendo, iconograficamente parlando, figlia di un sanissimo esempio di ibridazione culturale, cioè quel mix fatto di cartoons, giocattoli, web grafica, street art, illustrazione contemporanea e vintage, che influenza, sia il mondo ufficiale dell’arte, che realtà più commerciali come il mercato dei giocattoli da collezione.
(Angelo Volpe)
A questo proposito, vagando per Akibahara, meglio conosciuta dai turisti come Electric Town (zona di Tokyo ad alta densità di neon, di negozi di elettronica e manga: sostanzialmente l’essenza di quello che ognuno di noi si immagina della capitale nipponica e quello che, evidentemente, con buona pace dei “non luoghi” di Sophia Coppola, ha ispirato il buon Ridley Scott in Blade Runner) guardando nelle vetrinette dei negozi, dove folle di uomini e ragazzi di ogni età si accalcano in cerca di fumetti manga o statuette che ritaggono i personaggi e le eroine degli anime, non sorprenderà di trovare, fatta e finita con tutte le sue generose proporzioni, in vendita per poco più di 50 euro, ed anche a meno, la progenitrice di Hiropon, opera simbolo della prima produzione del Jeff Koons del sol levante, che risponde all’arcinoto nome di Takashi Murakami.
Ebbene al rivoluzionario folletto giapponese, colui che ha scavalcato tutte le classifiche di vendita nelle aste e che ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione dell’arte che, partendo dall’Asia ha invaso-tsunami style- prima gli Stati Uniti e poi l’Europa, piace giocare con le bambole. Se ci fosse stato qualche dubbio sul fatto che Murakami avesse una predilezione per i negozi di giocattoli basti pensare che il suo personaggio feticcio, Mr Dob, è indiscutibilmente frutto di un amplesso gay-oriented tra lo yankee Mickey Mouse e l’asiatico Doraemon.
Ma come è buona norma fare, spostiamo il punto di vista dagli ampi respiri del panorama internazionale e torniamo alla viziata aria italiana, cercando di capire se anche da noi gli artisti, nell’intimità della loro cameretta, tra i poster dei ACDC e le foto della nazionale dell’82, amino trastullarsi con bambole, bamboline, orsacchiotti e quant’altro…
Barbie, devo dire, ha sempre un suo perché e, da bravi bambini occidentali cresciuti nel mito della biondona californiana, in molte opere la fa da padrona, non ultima, una divertente doppia personale del gennaio 2008, alla torinese Marena Rooms Gallery, curata dal biennalista ante litteram Luca Beatrice, che avvicinava le vecchie glorie decadenti e ironiche di Paolo Schmidlin ( orgoglioso possessore di una fantastica collezione di Barbie d’epoca), ad una serie di curatissimi mosaici di Leonardo Pivi che avevano per protagonista l’eroina salva bilanci della Mattel.
(Stefano Bolcato)
Non bisogna, però, dimenticare il contraltare rappresentato dal romano Stefano Bolcato che, da bravo maschietto anni ‘70, affida ai personaggi della Lego l’arduo compito di mettere in scena glorie e miserie della società contemporanea.
Ma andando più a fondo, e scavando nel macro universo del neo pop italiano, si trova un artista reo confesso di essere un veneratore di Pullip e Blythe : il napoletano Angelo Volpe.
Le sue bamboline sexy, dipinte a olio in maniera magistrale ed a tratti sontuosa, incarnano perfettamente, per il Mr Fox da Pozzuoli, la sua ricerca sulla disumanizzazione del corpo femminile a colpi di bisturi estetici e sulla seduzione della donna intesa come bambola: bella, bionda e che dice sempre sì.
La cosa forse un po’ inquietante è che, all’indomani della partecipazione di Volpe ad un evento di beneficenza, organizzato da Fendi e Coca Cola al Pan (Palazzo delle Arti di Napoli), con una serie di tele che ritraevano donne alla Pullip o alla Blythe, compare una pubblicità di Coca Cola Light dove le protagoniste sono delle marionette che hanno proprio le fattezze di Pullip… Cosa pensare? Mah… dopotutto stiamo parlando di ibridazione e non bisogna dimenticare che, parafrasando una canzone della fine degli anni ’70 di John Paul Young:“ Doll is in the air /Everywhere I look around /Doll is in the air /Every sight and every sound/And I don't know if I'm being foolish /Don't know if I'm being wise /But it's something that I must believe in /And it's there when I look in your eyes….”
[ Il Raglio del Mulo, la Rubrica di Igor Zanti: n.00, "Doll is in the air" pubblicato su lobodilattice il 10 - 05 - 2010 ]