Lavorare nel campo dell’arte contemporanea è uno dei lavori più affascinanti e stimolanti che si possa vivere, probabilmente una fortuna se a questo si aggiunge l’essere testimoni della crescita artistica di una giovane, già in forte evoluzione precedentemente, ma che esplode in maniera esponenziale in un arco temporale di alcuni anni.
Questo accade nel caso specifico (ma non crediamo sia l’unico episodio) quando l’esperienza si evolve perché maturata all’estero. Non a caso Beatrice Scaccia, talento classe ’78, è la reale testimonianza della valorizzazione umana e professionale, della moltitudine di teste talentuose costrette ad abbandonare la propria terra d’origine per realizzare il loro sogno e disegno di vita.
Incontro Beatrice Scaccia nella galleria Bosi Artes di Roma, riferimento capitolino della giovane artista. Mi si presenta una ragazza semplice, timida, minuta fisicamente, con due grandi occhi scuri che colpiscono la mia attenzione, lasciando presagire quello che si manifesterà da lì a poco: una donna dalla ben formata personalità ed uno spirito vulcanico, elementi incisivi ed accattivanti.
Beatrice Scaccia, dopo essere stata impegnata in prima linea nel fare arte nella città di Roma, cerca, anche forzatamente, di trovare a tutti i costi una sua dimensione che però non le si plasmerà mai secondo le sue forme. Decide di lasciare tutto per cercare la sua strada altrove. Approda a New York 2010 con non poche difficoltà.
Durante il nostro incontro con rabbia, orgoglio, soddisfazione e un pizzico di tristezza, affrontiamo alcuni argomenti a cui Beatrice tiene molto e, che hanno segnato in maniera determinante questi due anni. Dall’evoluzione della sua ultima ricerca AT LEAST A SNAKE, alla sua nuova occupazione presso il Jeff Koons Studio; dal cancro che affligge da tempo un’Italia troppo vecchia e conservatrice, all’indifferenza che colpisce la dignità intellettuale ed umana nel nostro paese, per finire, non per ordine di importanza, al cambiamento radicale della vita di Beatrice e di come si sia dovuta adattare nel fare i lavori più disparati per poter sopravvivere in una Megalopoli dove si trova di tutto, ma spesso il tutto è troppo, è superfluo, poco indispensabile così come le persone, i professionisti, gli artisti. Beatrice cerca di tenersi a galla, tenacemente, ricorrendo e ricercando sempre l’obiettivo per cui ha lasciato l’Italia: ricavarsi uno spazio come persona prima e come artista poi. Sono passati due anni interminabili e Bea è riuscita fin’ora quanto meno a delineare, a dare una linea di contorno e di colore al suo disegno. Sta avendo i suoi sacrificati riconoscimenti grazie al talento, alla testardaggine, all’intelligenza, alla grande umiltà, e alla voglia di rimboccarsi le maniche per ricominciare da zero.
Fieri di essere rappresentati nel mondo, da eccellenze come la Scaccia, augurandole grandi successi, e a mo di avvertimento benevolo, le diciamo che sarà da noi pedinata costantemente durante questo suo percorso evolutivo.
Chi è Beatrice Scaccia e come ha inizio la tua carriera artistica?
Bea Scaccia è una donna piccola, lunatica, veloce e con troppe cose che le girano nella testa. Da qualche anno ha finalmente capito che alcune idee se ne vanno come i dettagli dei sogni al mattino, altre idee si trattengono come impronte, segnacci. A queste ultime si resta “appiccicati”, anche senza deciderlo.
Conclusa l’accademia sei sempre stata impegnata attivamente nella divulgazione dell’arte sia praticamente, attraverso il tuo lavoro di ricerca, sia teoricamente attraverso l’insegnamento. Cosa ti ha fatto capire che qualcosa non andava?
C'è sempre qualcosa che non va! Niente è mai perfetto. Finita l'accademia ho cercato compagni di strada, maturato esperienze di lavoro delle più disparate e poi l'insegnamento... insegnare mi ha conquistato e continua a piacermi. Quando però passi, come sono costretta a fare, la maggior parte del tuo tempo in un luogo che non è il tuo studio, per tenerti a galla e pagare i tuoi affitti e le tue bollette, quel lavoro deve darti tanto e non levarti. Dopo quattro anni è sopraggiunta la noia, la delusione, il sentirsi in trappola. A Roma non aveva senso cambiare di nuovo perché penso che Roma non mi appartenga, non mi sia mai appartenuta, non la capivo e non la capisco. . Quindi ho fatto i bagagli.
In quello stesso periodo, in un soggiorno temporaneo statunitense e precisamente a New York, ti viene fatta una proposta: praticamente ti si presenta quella che poteva essere allora e, sarà poi, la svolta della tua vita ( probabilmente è da ritenersi pura normalità altrove, utopia per i giovani in un paese come l’Italia). Ti va di spiegarci cosa è successo all’incirca due anni fa?
Vorrei puntualizzare: c'è questa strana idea o luogo comune che altrove per i giovani artisti sia più facile ma dipende da quello che si intende per più facile. Le occasioni non cascano dal cielo a Roma come a New York, a Berlino come in qualsiasi altra città. Le proposte te le cerchi. Gli artisti sono tantissimi, troppi. A New York la competizione è spietata ed è si vero che ci sono tante istituzioni e fondazioni e professionalità, ma è altrettanto vero che sei uno tra i troppi e che devi abituarti ad essere trasparente. Due anni fa è successo che, per ottenere il visto, ho girato e rigirato, lavorato mesi alla ricerca di sponsor e altro e alla fine il LESP ha deciso di aiutarmi. Ci tengo a sottolineare questo perchè New York non è più semplice, anzi, è difficilissima. E' carissima, tutti lavorano a ritmi incredibili solo per sopravvivere. Le case sono minuscole, avere un armadio è un lusso di pochi e ti abitui davvero a lavorare in condizioni assurde. New York però è una città in cui avere grinta conta, in cui rimboccarsi le maniche, non lamentarsi, non piangersi addosso serve a qualcosa. Io a Roma mi sentivo un marziano e qui sono a casa. Tutto qui. Nessuno ti bussa alla porta se fatichi tanto, qui forse un giorno otterrai qualcosa o almeno avrai imparato a sopravvivere davvero. Qui respiro meno frustrazione e rassegnazione intorno a me. C'è tanto stress ma anche tanta vivace positività.
Oggi fai parte di un grande staff in una importante istituzione di New York, quale la Jeff Koons Studio. Cosa comporta e cosa significa per una giovane artista?
Far parte del Jeff Koons Studio è entusiasmante. Al di là del suo lavoro, che può interessare o meno, l'ambiente è meraviglioso, le persone tutte straordinarie, la professionalità impeccabile. Imparo tanto ogni giorno e inoltre giochiamo a calcetto in pausa pranzo, cosa da non sottovalutare affatto.
Una persona che vale in che modo viene considerata all’estero e quali differenze ci sono con l’Italia?
Come già sottolineato, è inutile elencare i problemi italiani, li conosciamo tutti e parlare di mancanza di meritocrazia, di importanza dei cognomi e della tendenza a proteggere la debolezza invece di stimolare la forza e il coraggio, mi sembra superfluo. Gli ambienti sono corrotti e falsi in tutto il mondo, l'economia vacilla sempre più... per non dilungarmi troppo posso dire che anche qui ci sono scorciatoie per arrivare dove si vuole, ma chi decide di percorrere un cammino affine alla propria persona e ai propri valori può tenersi a galla senza elemosinare quanto spetta. Lavori bene? Davvero bene? Ti viene riconosciuto, almeno pare. Devo però dire che sono a New York da troppo poco tempo per conoscerla davvero.
Ci spieghi anche perché, in una città come New York, il sistema arte ma soprattutto il sistema intorno all’arte giovane funziona?
ll sistema funziona perchè c'è entusiasmo, c'è una rete fortificata a sostenere la cultura della città e un interesse nel portare avanti, non solo l'apparenza, ma la sostanza. Si, anche New York è barocca ma, dietro la facciata, ci sono ingranaggi importanti e il desiderio di rendere questa città speciale è ancora decisamente vivo. Ognuno entra a far parte di una messa in scena, forse fasulla, ma efficace, per cui o dai il meglio di te oppure è inutile trattenerti.
Siamo nel 2012 e, nonostante le influenze globali in tutti i settori, l’Italia resta ancora un Paese profondamente conservatore, vecchio, provinciale e ancor di più poco sensibile all’arte, nonostante sia stato definito la culla dell’arte. Perché secondo te?
L'Italia è un paese vecchio, eticamente finito, non è la culla dell'arte da così tanto tempo che diventa ridicolo ancora parlarne. L'Italia ha deciso di occuparsi dei morti e non dei vivi . Onestamente non ho voglia di dilungarmi oltre, ma vi trascrivo un brevissimo testo di Ennio Flaiano senza dubbio più efficace e brillante. Il testo fa riferimento a Roma ma penso che funzioni in ogni caso.
“La capitale mostra i segni dell'antica sua storia soprattutto nei suoi abitanti: è una città di liberti, di clienti e di senatori che trascinano carrette o guidano taxi conservando della tramontata potenza un rispettabile naso. E' raro incontrarvi un uomo libero, capace di ingenuità, di grandi entusiasmi e di profonde indignazioni.
Predomina nei cuori l'aridità, benché tutti siano generosi, nei cervelli la sufficienza, l'ironia sorregge gli spiriti.” (Diario Notturno)
Non possiamo non parlare però del tuo lavoro, legato naturalmente anche al periodo che stai vivendo. La tua curatrice, Ilaria Caravaglio, definisce l’animazione "At leaste a snake" uno scrigno in cui viene racchiuso il senso di questo nuovo ciclo, il punto di partenza e di arrivo, che poi ha dato vita all’intera produzione realizzata fin’ora. At least a snake cos’è?
At least a snake è un esperimento, forse ben riuscito forse no. Sono partita da un breve testo sulla memoria, sulla nostalgia perché dovevo presentare un progetto per una mostra alla Gonden Thread di Belfast (Inner Homeland a cura di Manuela Pacella). Ho unito i movimenti ripetitivi e lenti del mio personaggio Eve ( un ibrido che veste abiti confusi) ad una voce narrante che legge un mio testo. Unire una voce alle immagini animate ha segnato sicuramente un passaggio. Con questa mostra finalmente ho rinunciato alla coerenza, ho deciso che posso alleggerirmi e osare ed eliminare ogni paura, ogni desiderio di logicità. Dopo aver studiato tanto, aver letto troppo, aver pensato di essere in un modo o nell'altro finalmente trovi il tuo lavoro e lo trovi lì tra le cose che pensavi di dover dimenticare... è impolverato, stropicciato ma cosi onesto e sincero che non può far male, cosi nudo e tuo che non hai più paura di nulla.... ecco cosa è lo scrigno di cui parla Ilaria, forse il momento in cui decidi di dire “ Eccomi qui. Come sono? Vi interesso? No? Pazienza, non posso fare altrimenti”
Distaccata completamente dalla ricerca precedente, l’evoluzione è tangibile nell’immediato, riconoscendo in maniera altrettanto palese i tuoi segni identificativi che caratterizzano le tue opere. Cosa è successo in questo arco di tempo relativamente breve? Inoltre hai preso coscienza che la ricerca precedente non ti apparteneva poi così tanto, come mai?
Penso di aver già risposto ma ne approfitto per sottolineare: sono sempre stata un po’ secchiona, simpatica e distratta, ma pur sempre la prima della classe. Quando si è così curiosi e studiosi, si accumulano così tante nozioni che si cerca di essere qualcun altro per un po’. Sopratutto, spesso si vuole assomigliare ai nostri maestri. Io ho avuto la grande fortuna di studiare e lavorare con Gino Marotta, mi ha dato tantissimo ma io volevo assomigliargli un po’: senza rendermene conto, a modo mio, cercavo di seguire un percorso che non mi apparteneva. Poi ho capito che non mi divertivo e allora ho messo un punto e ricominciato. Mi sono messa a dieta, ho eliminato tanto, quasi tutto e mi sono fatta la mia prima vera domanda: ma io, Bea, che diavolo voglio raccontare?”
Domanda d’obbligo: i tuoi progetti per il futuro. Ma, soprattutto, ritornerai in Italia?
Quest'anno sarà tutto da bianconiglio (quello di Alice per capirci). Dovrò correre con il mio orologio enorme urlandomi “è tardi è tardi” perché in pochi mesi devo preparare una mostra e rinnovare il visto (lavorone, sia dal punto di vista economico, che pratico) e, considerando che lavoro full time da Koons, puoi immaginare i ritmi...
Ovviamente quando si vive in una città in cui quasi tutti sono lontani dalle famiglie si creano rapporti intensi e forti. L'idea di lasciare la mia piccola casina quì e le persone che amo per ora non è neanche da prendere in considerazione. In Italia ho tanti affetti carissimi ma io non mi sento bene nel mio Paese e quindi non sono in grado di dare e ricevere serenamente. Voglio continuare a vivere in un posto dove nonostante una stanchezza ed uno stress mai provati prima, cerco sempre di dare del mio meglio.
Oltre al mio percorso d'artista, a tutte le idee che mi ronzano per la testa, per me contano solo le relazioni: le amicizie, gli scambi. Il resto è fasullo e non lo inseguo, non mi riguarda. Quindi, per ora, me ne rimango qui a respirare Central Park di domenica pomeriggio e ad aspettare di andare a cena con chi amo.
Grazie di questa tua preziosa testimonianza