Il piccolo Alì Nassereddine visse in prima persona, insieme alla sua famiglia, gli episodi riguardanti la Guerra Civile in Libano (1975-1990) e la prima guerra israelo-libanese del 1982, con il massacro di Sabra e Shatila. Il Libano, con l’avvento dell’enorme ondata di profughi palestinesi, a seguito del conflitto arabo-israeliano, e l’insediamento dell’OLP negli anni Settanta dopo il Settembe Nero e la cacciata dalla Giordania ad opera del re Husayn, divenne bersaglio militare di Israele e nel contempo subì una profonda spaccatura socio-culturale che vide la creazione di due fazioni contrastanti sul territorio nazionale, quella musulmano-libanse che simpatizzava per i palestinesi e quella cristiana filo-occidentale. Questi furono i presupposti per l’inizio di una guerra lunga, feroce e complessa, che vide fortificarsi spaccature e odi tra i popoli del vicino Oriente cui tutt’oggi, purtroppo, assistiamo.
Io c’ero, oltre a essere testimonianza ancora viva delle atrocità di numerosi episodi bellici che interessarono il territorio libico, è una mostra che riflette sul tema del “confine”, sull’innalzamento di barricate che separano gli alleati dai nemici, il bene dal male, Beirut Est da Beirut Ovest. Confini che, da quando l’artista ne ha memoria, continuavano a spostarsi sul territorio libanese, senza mai affievolirsi. Come se esistesse un’unica verità a separare il vero dal falso, atta a giustificare il perpetuarsi di massacri e violenze. Una linea di confine immaginaria può veramente separare gli uomini gli uni dagli altri.
Si presenta un “doppio” anche nella pittura di Alì che riesce ad essere libera, impulsiva e allo stesso tempo equilibrata e strutturata. Alterna le due opposte tendenze creando scenari compositivi rivolti a uno studio geometrico ed equilibrato dello spazio entro cui gioca un segno grafico nostalgico, di richiamo infantile, bidimensionale, scarabocchiato, come se l’arte lo riportasse sempre là, al suo passato. Come spesso accade, la pittura è un mezzo per rivivere il dolore esorcizzando i fantasmi del passato e per l’artista il ricordo della guerra è un’ombra oscura continuamente in lotta con la speranza per un futuro d’armoniosa alleanza. Ma dovrebbe stare proprio in questo scarto, tra necessità di rimozione ed eterna presenza del ricordo che si concretizza un’arte simbolo della Pace, prendendosi l’impegno di lanciare un monito all’umanità: “questo abbiamo visto, così abbiamo sofferto, la strada da intraprendere può essere diversa”. Queste opere diventano così la voce di un uomo, Alì Nassereddine, o meglio, la voce del bambino che vive in lui, che la guerra ce l’ha ancora negli occhi innocenti e con le sue opere lancia una semplice implorazione. Pronuncia un “NO”, forte come solo una voce infantile può essere, che mi permetto di accostare ad altre significative immagini di guerra, come quella dello sconosciuto rivoltoso di piazza Tien’anmen o la ragazza col fiore di Marc Ribound o la piccola Kim Phuc fotografata da Nick Ut.
di Nila Shabnam Bonetti
Amy-d Arte Spazio
A cura di Anna d’Ambrosio
1 | 9 ottobre 2011
Lunedì-venerdì 09:00-12:00 e 14:30-19:00 | sabato e domenica su appuntamento
Per informazioni:
Amy-d Arte Spazio | Via Lovanio 6 | 20121 Milano
www.amyd.it | info@amyd.it | 02.654872