Pietro Maietta: la carta stampata ci tatua la mente.
Il tuo lavoro è formalmente classico, ma sorprende nel contenuto critico e semantico, l'uso della cartapesta, mostrata e ostentata nel suo aspetto ornamentale e decorativo, sembra fare riflettere sul grande vuoto di senso delle parole in questo secolo, troppe parole scritte, digitate, pronunciate, sembrano arrivare addosso alle tue sculture e dare loro forma, contornandone i limiti, mi sbaglio?
Si, con quegli elementi anatomici e la concretezza della scultura in sé, ho volutamente dato una certa classicità al mio lavoro. Li ho trasformati in un mezzo per dare forza ad un significato più profondo, e così mi approprio di parallelepipedi, semisfere, strutture geometriche; le apro, le esploro e poi come un chirurgo rigoroso, opero.
Ma è un’operazione inversa, un tentativo di rendere imperfetto quello che non lo è, riuscendo a conservare dopo l’intervento il lirismo e l’equilibrio della forma originale.
Dopo queste intromissioni, i solidi assumono sembianze umane; risulta quasi naturale l’inserto, l’inserimento di particolari e piccoli organi: un orecchio, un occhio, lesioni scoperte creando così un certo contrasto formale.
La carta stampata fa quasi perdere il reale senso volumetrico, come un tatuaggio diventa un tutt’uno con l’uomo.
Con la costante presenza del giornale, ho voluto creare un certo senso di accanimento dell’informazione sull’uomo e l’inerzia dello stesso.
Le tue Sculture, sembrano denunciare anche una certa impossibilità alla libertà di movimento, sembra esserci una allusione critica a una certa pesantezza dell'essere, del fare e dell'agire, pur essendo leggere e fortemente interattive con lo spazio, denunciano una certa "compressione" dettata presumibilmente dalla società dell'informazione, è così? Siamo tutti agli arresti domiciliari della paludosa notizia?
Il mondo esterno, i mass-media, gli altri restano parte del nostro mondo controllabile; il nostro compito, è quello di regolare la loro influenza, di limitarla, di indirizzarla.
L’impossibilità di governare interamente la forma del nostro presente ci rende ancora una volta bambini, pieni di speranza di fronte alla possibilità delle barche di carta di percorrere fiumi, idee o solo poetiche vasche da bagno.
Con la libera interpretazione della notizia l’uomo purtroppo diventa quello che legge, assumendone inconsapevolmente lo stesso modo di pensare.
La gravita della situazione sta nel fatto che il potere politico, economico e culturale, agisce sui media, rendendoci prigionieri il modo di pensare che appartiene in realtà a poche persone.
Ci siamo formati nella stessa Accademia di Belle Arti a Napoli, vivi e lavori in Campania, quanto le tue forme sono figlie della teatralizzazione, della gestualità, delle mimica e dei modi di dire della nostra terra? Un tuo lavoro mi fa pensare molto alle metafore linguistiche del nostro dialetto, un tuo autoritratto, schiantato su dei giornali al muro, mi sembra dire "O tien 'nfaccia 'o giurnale" (L'hai in faccia il giornale), è così, c'è questo rapporto diretto tra lingua, parola, metafora e gesti nel tuo lavoro, in maniera fortemente radicata nel territorio?
Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male, con questa frase di Eduardo capiamo quanto la nostra napoletanità è intrinseca in ognuno di noi partenopei, e questo lo si sente se parli, se reciti, se canti, se dipingi e anche se scolpisci.
Vedi Mimmo noi siamo il territorio, non possiamo, e nel mio caso, non voglio scollarmelo di dosso.
La nostra terra è fatta di paradossi, di cose troppo belle e di retaggi orribili; di amori forti e coinvolgenti, come quello per l’arte in tutte le sue forme e a tutti i livelli, e abitudini entrate a far parte della nostra quotidianità che ci impediscono di reagire con forza come popolo a coloro o a quello che sta distruggendo la nostra identità o che non la valorizza come si potrebbe e si dovrebbe fare.
Questo inevitabilmente forma, plasma chiunque viva in questa splendida terra, amata e forse odiata contemporaneamente, ma credo più di tutto invidiata per il potenziale che nasconde.
Questo potenziale è in ognuno di noi, alcuni hanno la fortuna di scoprire come poterlo manifestare agli altri e credo che l’arte sia stata la mia più grande fortuna, che mi ha cambiato e che io ho cambiato nel tempo fino ad arrivare a quello che sento di creare adesso.
Non esiste di certo un punto di arrivo nell’arte, come non esiste un modo finito di definire una terra ricca di retaggi e sfumature come quella in cui viviamo e siamo vissuti.
E’ bello vedere come ha formato me in questo senso, ma credo che sarà ancora più entusiasmante vedere questo viaggio dove mi porterà nel futuro.