Artisti maestri, prigionieri della spocchia Accademica e del ruolo di sistema, incapaci di rispondere a nuovi scenari di linguaggio che la mutazione del tempo impone.
La loro formazione linguistica è una collezione di citazione di firme, di cataloghi o monografie di artisti elevati a valore assoluto e indiscutibile.
Tacciono rintanati in aule Accademiche o in gallerie a prova di contaminazione, dinanzi le problematiche di questo secolo, nel nome del pubblicato e del catalogato, figlio dell'intermediato mediatico.
Non curanti di come l'arte e i suoi linguaggi, in precisi momenti storici si manifesti in parallelo, stesse problematiche esistenziali e spirituali, con medesime soluzioni e sfumature diverse.
Quanto sono simili le pitture rupestri antropomorfe del Dogon alle incisioni di Ozieri?
Eppure non stiamo parlando di "Selfie" interconnessi al tempo degli smartphone. I Dolmen? In Sardegna come in Cornovaglia, in Francia e in Galles come in Corea e Irlanda. Non si studiava la stessa Storia dell'Arte imposta dai mercati, ma si elaboravano linguaggi comuni in diverse comunità (proprio come oggi attraverso il web, siamo nel neolitico del secolo della concettualizzazione simbolica e affettiva virtuale).
Questa è l'essenza reale della creatività. Fermiamoci un attimo: se l'uomo neolitico avesse avuto una intelligenza artistica e connettiva superiore alla nostra?
Se questa nostra regressione a scimmie armate di uno smartphone in connessione con il globo ci portasse a essere olistici come ai tempi del neolitico?
Vi sentite di scartare questa ipotesi a priori se parliamo di linguaggi dell'arte scremati dal mercato? Certo smartphone e social network sono imposti dal mercato, ma quanto ci stanno tribalizzando?