IL MINIMALISMO E' IL BLOCCO DELLA FIGURA, PER IL "SOLLECITO" DEL VUOTO

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A Londra, presso la Max Wigram Gallery, è aperta (dal 4 Giugno al 26 Luglio) l’importante esibizione Ice fishing. Il minimalismo dei quattro artisti (McArthur Binion, Charles Harlan, Virginia Overton, Michael E. Smith) si percepirebbe “trainando” un blocco della figurazione ortogonale, dopo che questa si farà “sollecitare” nel vuoto. Per l’occasione, il curatore Darren Flook s’era rivolto al campo della scultura e dell’installazione. Esteticamente, possiamo immaginare che il minimalismo “blocchi” la figurazione. Un’astrazione concettuale sarà sempre allargante, facendo ri-entrare il particolare verso l’universale. La terra, con la propria materialità, “scomparendo” in cielo immediatamente dovrebbe volteggiare. Nel minimalismo estetico, all’inverso c’è la percezione d’un vuoto universale che si chiuda, definitivamente, sul piano ortogonale. Laddove qualcosa si blocchi, essa avrà “volteggiato” al massimo tramite una “sollecitazione”. Il chiuso sempre deriva da un assestamento. Lì, il coperchio ci sembrerebbe una “volta” soltanto sul piano ortogonale. L’opera d’arte nel minimalismo avrà una concettualizzazione letteralmente “d’assestamento”, in quanto “bloccata” nel suo “scomparire” verso l’universale. Un cubo di Sol LeWitt facilmente si percepisce come a “scoperchiare” la volta celeste. Così, esso deve “assestarsi” nella materialità dei piani ortogonali. Invece il cubo di Robert Morris sarà più bloccato. Qualcosa che permetta all’astrazione concettuale di “trainare” i piani ortogonali, verso il vuoto della loro materialità. Sarà il “volteggiare” del dado, lanciato salvo poi “assestarsi”, mediante la nostra visione d’una faccia. Quest’ultima si percepirà come una “copertura” dell’universale, il quale “traini” il vuoto figurativo. Nel cubo, la percezione dello squadrato letteralmente deriverà da un blocco che “volteggi”. Se noi trainassimo qualcosa, questa ci rientrerebbe solo nella propria chiusura. Per un gioco linguistico, lanciando il cubo, si dirà che la faccia squadrata sarà percepirà come una “volta”… per tutte.

L’esposizione londinese s’intitola Ice fishing. Sarà qualcosa da percepire nel “traino” del suo “assestamento”. Il pescatore naturalmente deve usare il mulinello. Calpestando l’acqua ghiacciata, essa dovrà “assestarsi”, visualizzando più crepi. La lenza, una volta lanciata, quasi “volteggerà” in aria, salvo poi “bloccare” un pesce, mediante il classico amo. Il “traino” del mulinello si percepirà oltre la “copertura” della superficie acquosa. Ovviamente esso farà rientrare il pesce solo “bloccandone” le “sollecitazioni”… fra le branchie! La riva consentirebbe all’acqua marina il “volteggio” nel vuoto di sé, in specie grazie alle brezze. La durezza del ghiaccio ci pare “bloccante”, quantomeno rispetto alla friabilità del terreno. Sarà la neve che ammanti una “volta” per tutte. Il ghiaccio, complice la propria durezza, si potrà rompere solo in più “cubetti”, sotto la misura inquadrante d’una sassata, d’un piede che calpesti, d’una pala ammucchiante ecc… La neve di contro ha la friabilità dei fiocchi, “trainati” dal vento nel loro volteggiamento. Lì, quasi accadrebbe che l’aria arrivasse a “pescare” tutto il “blocco” del freddo, pungente come un amo. Le “sollecitazioni” della neve (che spumeggerà almeno sulla “riva”… del nostro abito!) avrebbero “i piani ortogonali” dei fiocchi ad assestarsi, una volta ghiacciati.

L’artista Charles Harlan a Londra esibisce l’installazione dal titolo London bricks. Qualcosa da percepire in via dialettica. Sembra che il legno (fra il tronco e la “tavolata”) divenga una “fresa” per il “cubetto” di mattoni: visivamente, la prima sorreggerà il secondo. E’ la percezione d’un “traino” verso il “blocco” di sé. La fresa ruoterà come il mulinello del pescatore, “ringhiando” sul muro, così da “ghiacciarne” tutta la durezza. I mattoni naturalmente favoriscono un assestamento architettonico. Essi paiono ad appigliarsi sul muro virtualmente “marino”, in quanto incrociati nel loro “ondeggiamento”. La “tavolata” di legno quasi fungerebbe da “branchia”, a “sollecitare” la chiusura della parete, per l’universalità vuota d’un cubo (laddove la squadratura s’assesterà nel blocco).

Charles Harlan, nell’installazione dal titolo Concrete, ci spinge a percepire “un muro di sabbia”, in chiave dialettica. Qualcosa che mantenga un “appiglio” architettonico, ma consentendo la “respirazione” del blocco fra i mattoni. Sappiamo che, prevenendo un’alluvione, i sacchi di sabbia s’adoperano come argini di fortuna. I mattoni in cemento di Harlan torneranno virtualmente all’origine acquosa, “fluttuando” oltre la propria parete. E’ la percezione del sacco di sabbia “alluvionato” in se stesso. Qualcosa che si farà letteralmente pescare, nel “mulinello” del proprio blocco. Il sacco di sabbia qui visivamente “è ghiacciato”, avendo i crepi. La neve, ammantandosi dolcemente, comunque dona un candore alla materialità del terreno. Il ghiaccio invece è sempre “grigio” da percepire, per la sua durezza (avvicinabile a quella d’una pietra). Sembra che l’artista lasci il sacco di sabbia a “respirare”, più positivamente. I cubi dell’architettura si faranno “scoperchiare” (allorché il cemento torni a “volteggiare”, fra l’acqua “pescata” dagli scogli e le brezze che “assestino” la sabbia).

Per il filosofo John Dewey, gli uomini avranno l’esperienza di se stessi nel continuo “traino” delle “sollecitazioni” sia ambientali sia sociali. La prima quasi prolungherebbe le seconde, nel bisogno di soddisfarle. Ma la tecnologia e la meccanizzazione frenano il traino d’una sollecitazione ambientale o sociale (per la vitalità del singolo uomo). Le prime ridurranno il secondo a se stesse. L’opera d’arte per John Dewey favorisce un’esperienza d’integrazione fra il singolo uomo ed il proprio ambiente (naturale o sociale). Più precisamente, l’estetica si potrà percepire nella realizzazione completa del primo sul secondo. Tramite l’arte, tutta la contingenza delle situazioni ambientali “si sposerebbe” sul serio con la necessità (il bisogno) che la vita proceda. John Dewey scrive che l’esperienza estetica letteralmente si percepisce nel “privilegio” di quella solo quotidiana. Con l’arte, l’ambiente (naturale o sociale) si farà distillare dalla soggettività singolare, e “nell’alambicco” del più prezioso impulso a vivere.

Virginia Overton, nell’opera chiamata Untitled (silver), installa dal muro al pavimento cinque semicerchi, i quali fungeranno da specchi. L’inarcamento è caro alla lenza lanciata in acqua, dal pescatore. Invece, lo specchio comporta virtualmente “l’ibernazione” della sua figura. La trasparenza del vetro riflettente appare freddamente: essendo di contro abbagliante, quello sfavorirebbe ogni “appiglio” d’immagine. Tramite uno specchio, la figura dovrà “abbassarsi”. Senz’altro, per Virginia Overton la parete sarà “trainata” dall’intera stanza. E’ la percezione d’una “sollecitazione” ambientale, per gli “appigli” della vita quotidiana. Noi alziamo le “pareti inquadranti” del linguaggio, dello stato, dell’empirismo ecc… L’artista qui simbolicamente lascia che gli “appigli” della vita quotidiana “si facciano distillare”, entro l’imprevedibilità del mondo. L’inarcamento è ad abbassarsi, perché noi vedremo più la stanza che il muro (complice lo specchio riflettente). E’ la percezione d’una figurazione che “si traini” verso il minimalismo facendo “gocciolare” il suo assestamento nel vuoto universale. L’inarcamento è ad abbassarsi, quindi rientrerà nella chiusura di sé. La goccia dapprima s’ingrossa, salvo poi disperdersi (per la caduta). Sarà il “volteggio” che s’assesti nel proprio vuoto.

Il poeta Paul Valery scrisse il dialogo Eupalinos. In questo, Socrate raccontava a Fedro d’aver recuperato per caso qualcosa di puramente bianco, e d’una leggerezza dolce, in riva al mare. Intorno tutta la sabbia poteva risplendere al Sole (fra la schiuma e le conchiglie). Socrate prese in mano quell’oggetto: prima per soffiarci sopra, poi sfregandolo sul mantello… A lui interessava chiedersi come potesse nascere l’informe. La riva determina un confine “confuso” fra le onde e la terraferma. E’ la metafora delle domande che cerchino la loro risposta universale. Nell’informe, le linee nasceranno per rimodellarsi di continuo. La filosofia si dà ove si sospenda la “stabilità” della vita quotidiana.

L’artista McArthur Binion esibisce l’opera DNA study: circle. Anch’essa si percepisce un po’ freddamente, fra le tonalità del grigio e del nero. Se il disco di Binion appartenesse ad una cellula organica, allora là il nucleo “tappezzerebbe” la propria riproduzione. Il DNA costituisce una sorta di “traino” per la vita, dove i piani ortogonali (con le basi azotate) dovranno continuamente “assestarsi”. La cellula organica può simboleggiare bene il minimalismo, in biologia. Lo scienziato, usando il microscopio, percepirebbe più freddamente il “caloroso mistero” della vita. Il codice genetico si deve trascrivere. Binion mostra certamente l’informità del nucleo. Pare che la trascrizione della vita avvenga nel “patchwork” del citoplasma. Il DNA per la maggiore si trova nel nucleo. Esso dunque “trainerebbe” la vita lanciando continuamente la sua “lenza” (di forma elicoidale) da una “riva confusa (informe)”. Nel patchwork, i “blocchi” s’aggiungono gli uni sugli altri affinché s’assestino insieme. Sarà la confusione (l’informe) che “s’appigli” continuamente al “vuoto” di se stessa. Il DNA ovviamente si trascrive con rigorosità. Ma le basi azotate hanno una materialità “ortogonale” che pare “sollecitata” dal vuoto per il “mistero della vita”. Qualcosa che neppure l’empirismo dello scienziato potrebbe razionalizzare. Forse, le tonalità oscure di Binion alludono ai limiti della “tappezzeria” concettualistica.

L’artista Michael E. Smith esibisce l’installazione dal titolo Sleep. Qualcosa da percepire in via dialettica. Un tubo di scarico, leggermente a zig-zag, avrebbe “issato” parte d’un pollo imbalsamato. L’opera andrà percepita nel nichilismo della figura i cui piani ortogonali si facciano “sollecitare” dal vuoto. Issando qualcosa, questa sarebbe “trainata” dal mondo materiale al “blocco” d’un “volteggio” universale. Negativamente, diciamo che i concetti intellettuali (d’una cultura nazionale) rischiano di farsi appena… “sbandierare”. Così, si percepirà che quelli ci “peschino”, atrofizzando “freddamente” la creatività d’una loro reinterpretazione. Michael E. Smith sceglie un tubo i cui piani ortogonali avrebbero avuto una “sollecitazione” molto pericolosa: col gas di scarico. L’avvelenamento sempre andrà percepito “ghiacciando” la vitalità. Il tubo correrebbe a zig-zag, parendo internamente a “sollecitarsi”. Nella vacuità dello stato gassoso, la vitalità del pollo dovrebbe annichilirsi. Il tubo qui neppure “pretestuosamente” issa, in quanto pericolosamente infilza.

 

(Recensione alla mostra d'arte contemporanea Ice fishing, aperta dal 4 Giugno al 26 Luglio presso la Max Wigram Gallery, di Londra)

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