La mostra Private Setting – Art after the Internet è una summa di giovani autori entrati nella scena artistica nel pieno dell'espansione dinamica di Internet e della cultura digitale di massa, in uno spazio pieno di possibilità apparentemente illimitate e caratterizzato da un eccesso di immagini e di informazioni.
Trenta giovani artisti, tutti nati tra il 1980 e il 1990, chiamati a raccolta dal Museum of Modern Art di Varsavia per rispondere ad una domanda precisa: come è cambiata, in seguito al rampante progresso tecnologico dell'ultimo decennio e al contatto quotidiano con i media, l'identità dell'artista e la sua interazione col mondo?
L'allestimento presenta decine di opere (molte delle quali video), tutte costruite su un impianto teoretico che tocca immancabilmente tematiche cardine della filosofia e della sociologia dell'ultimo trentennio: il mondo come rappresentazione, l'estensione totalitaria delle immagini, la messa in discussione del reale a vantaggio del virtuale, il confine sfocato tra privato e pubblico, autentico e fittizio, originale e copia. Questioni cruciali, insomma, su cui l'arte postmoderna ha già abbondantemente discusso, sviluppando osservazioni che questi giovani artisti fanno inevitabilmente proprie, portandole verso i territori estremi - e ancora poco definiti - della cosiddetta Post-Internet Art.
I lavori si presentano con fascino ambiguo, avvolti in un'aura che attrae e distanzia allo stesso tempo. Atmosfere frigide e senso del vuoto dominano le sale, trasportando l'osservatore in un viaggio glitter, dove gli schermi sono presenze vive, che inquietano per la loro freddezza e rassicurano per la loro familiarità. Dai video di Ed Atkins, volti ad esplorare il mondo dell'iperreale con la creazione di complessi ambienti cibernetici popolati da personaggi virtuali e avatar di provenienza incerta, alle installazioni interattive di Daniel Keller; dalle google street views di John Rafman, ai mondi simulati creati da Ryan Trecartin, mirati ad investigare le relazioni interpersonali nell'era della comunicazione di massa e della sovrapproduzione di informazioni.
La sensazione è quella di assistere ad una serie di opere d'arte mai come oggi “temporanee”, come temporanea è l'estetica post-net su cui questi lavori fanno leva. Proiezioni di immagini powerpoint, sovrapposizioni di linguaggi, cortocircuiti kitsch. Sembra singolare che, esclusi rari esempi, molte di queste opere paiono poter funzionare di più se assimilate di fronte allo schermo del proprio computer, libere di potersi attestare come immagini tra le immagini, senza il peso ingombrante dell'istituzione museale che ne certifichi la funzionalità.
Nonostante in generale la mostra non brilli per efficacia, non sempre capace di fornire una analisi mirata e pungente sul tema, preferendo rimanere in un limbo kitsch intrigante ma mai incisivo, l'esibizione propone nel complesso un ampio ventaglio di possibilità legante ai linguaggi fluidi del mondo web. Una scelta se non altro coraggiosa, soprattutto se considerato il contesto polacco, forse mai come in questa occasione aperto così sfacciatamente alle tendenze estetiche del contemporaneo. Private Setting è per questo un tassello importante per lo sviluppo culturale della città, una mostra significativa, perché sintetizza al meglio le bizzarre dinamiche che intercorrono tra l'arte - e i luoghi della sua produzione -, e le attuali logiche neo-liberali del contesto socio-economico nazionale: tutto molto rapido, tutto molto mutevole, tutto molto kitsch! E la “favola postmoderna” di Varsavia continua.