Alla Galleria “Apart spaziocritico” di Vicenza, dal 20 Settembre al 25 Ottobre è visitabile la mostra d’arte contemporanea che s’intitola Homo pagus minor. La curatrice Sharon Di Carlo invita a percepire una sorta di fisionomia per il paesaggio. Gli artisti in mostra sono dodici: Urs Luthi, Sigmar Polke, Mario Giacomelli, Piero Pizzi Cannella, Roger Welch, Pierluigi Pusole, Nicola Caredda, Vittoria Gerardi, Annalisa Fulvi, Paolo Pibi, Antonio Fiorini, Tiziano Martini. L’uomo va considerato il “demiurgo” della natura: trivellando in terra, canalizzando l’acqua, disboscando per urbanizzare ecc… In tutti i casi, ci pare che un’artificiosa linea di confine permetta al nostro occhio di risiedere, e contro la vastità del panorama. Sharon Di Carlo però prova a menzionare il villaggio. Qualcosa in cui l’uomo traccia soltanto l’apertura del paesaggio. Nel villaggio, i residenti ci paiono dispersi fra i boschi, le campagne, le paludi ecc… Innanzi al panorama, l’orizzonte ha una fisionomia che “si plasma” con l’immersione in se stessa. Il punto di fuga letteralmente “arrotola” un ondeggiare dei bordi. Il villaggio è raccolto intorno alla natura. Esso plasma un “radicamento” del panorama, e pare sommerso da un colle, una campagna, una foresta ecc… Il villaggio è un’urbanizzazione letteralmente modellata sul “rotolare” della sua periferia. Ricordiamo che la radice sommerge i “bordi” d’un albero. Il villaggio è panoramico sull’orizzonte del plasmabile. La radice ha una traccia tendenzialmente “ondeggiante”. Essa inoltre si sviluppa “sfuggendo” all’orizzonte immergente. Ricostruendo la fisionomia d’un volto, ciascuna borderline (dal naso, dagli occhi, dal mento ecc…) va percepita nel panorama di sé. E’ la metafora della villeggiatura, forse? Non pare mai facile riconoscere un volto, dalla sua fisionomia. Tramite la villeggiatura, noi ci radichiamo “ai meri bordi” d’una più impegnativa residenza. E’ la possibilità di percepire un panorama per l’urbanizzazione. La villeggiatura “plasma” l’immersione nella periferia, esattamente come la fisionomia dell’occhio, del naso, del mento ecc… ondeggia sul viso che “risiede” per la sua identificazione.
Nicola Caredda esibisce a Vicenza il dipinto Senza titolo con grande Fabbri. Tutta la rarefazione appartenente al surrealismo di Yves Tanguy quasi tornerebbe a “radicarsi”. Il monumento al centro del dipinto riprende la forma tanto d’un pozzo tanto d’un gazebo. Principalmente, quello ha una decorazione cara alla marca di sciroppi Fabbri. Il pozzo permette virtualmente di “sorseggiare” l’acqua, mediante la carrucola. Si può percepire lo sciroppo dentro la “fisionomia” d’un radicamento? In quello, l’acqua e lo zucchero sono immersi in se stessi, mediante l’alta viscosità. Lo sciroppo può garantire di “plasmare” una bibita? Basta che lo vediamo depositato, versandone un po’ nel bicchiere d’acqua. In questo modo lo sciroppo ha un orizzonte sommerso ad ondeggiare, per l’identificazione finale d’una bibita. Il viscoso di tante caramelle piace potendolo succhiare, dai loro margini. Nicola Caredda rappresenta le “sacche cartacee” d’acqua ondeggiante (a risalire dalla vasca, e nello zombie d’una schiumosità). Un normale sciroppo è distillato dalle scorze oppure dalle foglie. La rarefazione dell’accartocciarsi e del rinsecchirsi quasi potrebbe ribollire, nel quadro di Nicola Caredda. La scorza o la foglia avrà un suo “plasma”, per rivitalizzarsi? I giornali, le tavole di legno ed i secchi di vernice appaiono nell’atelier d’un artista. Qualcuno che deve plasmare i materiali più grezzi.
Per Luisa Bonesio, il paesaggio è il luogo che assume una “fisionomia”. Là, gli elementi naturali (i monti, i prati, gli alberi ecc…) ed artificiali (le case, le strade, i lampioni ecc…) si percepiranno nella loro istantaneità. Nel paesaggio, il luogo dovrà rivivere in noi, letteralmente incorporando la nostra sensibilità all’esterno. E’ quasi la medesima percezione che si ha ricevendo una cartolina postale…
Il quadro a tecnica mista su cartone di Piero Pizzi Cannella esteticamente ha una base astrattistica. Basta vedere lo “spezzamento” avanzato da una cornice, nera. Ma quello nel contempo sarebbe “sanato”, con la “fasciatura” nella metà superiore. Piet Mondrian cercò l’astrazione sia delle figure, sia dei loro bordi (i quali tendenzialmente avevano uno spessore marcato, così da avvalorarne la percezione). Pare che Piero Pizzi Cannella esibisca una fisionomia della fasciatura. Qualcosa da percepire nel “radicarsi” per incorporamento. Una garza è abbastanza viscosa al tatto, soprattutto per la ferita da curare. Attraverso le leggi della Gestalt, un bordo deve chiudere la sua figura. Piero Pizzi Cannella però lascia che la fasciatura “ondeggi”, sopra il basamento “plasmatico” decisamente astrattistico. Se un bordo deve chiudere la sua figura, questo si farà percepire in via “appiccicosa”. Piero Pizzi Cannella prova a dotare l’astrattismo d’una panoramica, tramite cui “si ricucia lo strappo” col naturalismo. La garza ci pare a “radicarsi” per un periodo di sola “villeggiatura”: conta la guarigione della ferita! E’ forse all’orizzonte che un uomo esperisce “l’ondeggiamento” fra i limiti imposti dal reale e “l’incorporazione” di qualche desiderio, speranza, ideale ecc… Sulla cartolina postale, serve appiccicare un francobollo (spesso con la lingua). Ma questo ha un “orizzonte viscoso”, volendo emozionare un destinatario.
Un dittico a fotografia ed acrilico di Roger Welch esibisce un ameno laghetto, meta finale per le tipiche scampagnate. In questo caso, la percezione della cartolina turistica si radica verso una panoramica che astragga la “brillantezza” d’una contemplazione. La fotografia di Roger Welch ha un tono argentato. Qualcosa che sa esibire precisamente la “fisionomia” della brillantezza. L’argento sempre pare “a rifuggire” la contemplazione di sé, e di contro all’oro (che “fa presa” sull’esteriorità). La brillantezza si dà essenzialmente dai propri “bordi”. I villeggianti rinunciano per un po’ a farsi prendere dalla vita. Essi si celano ai margini della città lavorativa. I sentieri naturalistici consentono agli escursionisti di far “brillare” una “mera fisionomia” del bosco, del torrente, del campo ecc… Là, c’è fondamentalmente la percezione d’una radura, che non possiamo circoscrivere grazie alla “presa” d’un orientamento (mentre la città occupa, con le residenze). Il laghetto “abbraccia” piacevolmente gli occhi dell’escursionista. Quello mostra un’acqua ristagnante, che contribuisce a plasmare ogni riva. Si contempla il laghetto radicando il proprio sguardo sull’onda “a punto di fuga”. In mare aperto, non sembra che l’orizzonte abbia una fisionomia. Nella fotografia di Roger Welch, due alberi appaiono sullo sfondo. Così il panorama va percepito “ad arrotolarsi”. Vale il dettaglio della chioma, dentro una fisiognomica dell’orizzonte (se ad abbracciarci fossero gli “occhi appena argentati” dell’annuvolarsi).
Francesco Careri ha studiato l’antropologia del menhir. Se la linea d’orizzonte dà una stabilità percettiva ad un paesaggio, quella del Sole sarebbe chiaramente verticale solo all’alba od al tramonto, avvicinandosi così alla prima (persa la sua indeterminazione dentro una volta celeste). Il menhir per Francesco Careri avrebbe una funzione direzionale. Esso stabilizzerebbe anche la linea verticale più indeterminata che esista: il raggio solare. In molte culture, il menhir simboleggia una sorta di pietra danzante. Qualcosa che spesso s’erigeva in terre destinate ai riti d’iniziazione. Più in generale, il menhir aveva una configurazione “ad ondeggiare” che si potesse percepire nella propria “animazione”. Esso doveva abbandonare la stabilità orizzontale della terra, per risalire al cielo.
Il quadro ad acrilico di Annalisa Fulvi ci mostra un paesaggio edilizio, dove le gru permettono di dirigere i blocchi in calcestruzzo, od i laterizi. Quanto sarà nuvoloso il cielo? Il colore arancione appartiene sia al tramonto sia al mattone. Una gru virtualmente fa “danzare” la volta celeste. Essa costruisce le pareti (d’una casa, d’un palazzo, d’un capannone ecc…) letteralmente sul “bordo dopo bordo” dei blocchi in calcestruzzo o coi mattoni. E’ la risalita al cielo per la linea d’orizzonte. La gru edilizia plasma le pareti tramite la “fisiognomica” delle sue articolazioni. In quella, la carrucola assicura una sorta di “villeggiatura”, per il “cullarsi” dei laterizi o del calcestruzzo a blocchi. C’è il braccio della gru, sulla panoramica del cielo. Diventa il contraltare del menhir, se vi può ondeggiare anche il chiaramente orizzontale. Annalisa Fulvi non dipinge il braccio reale della gru, che sembra rimpiazzato dalle nuvole (sia d’acqua sia d’argilla). Un’urbanizzazione vorrà plasmare la natura disordinata? Quantomeno bisogna evitare il rischio che il cantiere ristagni. Annalisa Fulvi esibisce un grande ammasso di materiali edilizi, in basso a destra. Resta il “sospetto” che il cantiere abbia i bracci “ingessati” (senza consegnare una casa, un grattacielo, un capannone ecc…). Aggiungiamo che il dipinto si chiama Alberi. Questi però a differenza della gru possono tanto danzare (al vento), quanto “respirare” (con la fotosintesi clorofilliana).
Urs Luthi ricorre alla fotografia per esporre una dialettica fra la vita e la morte. Proprio questa pare sempre in superficie, se l’Essere risale da un Nulla che ristagna. Urs Luthi ha inquadrato l’acqua. Qualcosa da cui la vita è iniziata, mediante la conquista delle terre emerse. Urs Luthi mostra un lieve ondeggiamento. Ma esso potrebbe “ribollire” da un momento all’altro! Ogni giorno il corpo umano perde moltissime cellule (sanamente da rimpiazzare), e per la maggiore ha l’acqua. E’ così che noi potremo percepirci nella nostra “superficie di trasformazione”. Grazie al metabolismo cellulare, gli organi plasmano una vitalità. La fotografia di Urs Luthi ha il bianconero. Facilmente questo si percepisce nella “borderline” d’una figurazione che soltanto appare. Manca il “metabolismo emozionale”, garantito dalle colorazioni. Il bianconero può anche ribollire (ad esempio tramite la sovraesposizione della luce). Ma esso resta “ai bordi” d’un “pentolone” per tavolozza. Il “metabolismo” acquatico di Urs Luthi piuttosto va percepito in via “sciroppata”. A lui interessa esteticamente il “deposito” della vita sulla morte, o viceversa.
Recensione d'estetica alla mostra d'arte contemporanea Homo pagus minor, allestita a Vicenza presso la Galleria "Apart Spaziocritico" (dal 20 Settembre al 25 Ottobre)