Non servono ministri o assessori alla cultura per occuparsi della diffusione e intermediazione delle ricerche artistiche contemporanee.
"Sono tempi duri, la gente non ne può più. Prezzi alle stelle, tasse troppo alte, milioni di persone piene di rabbia e con la pancia vuota. Ingiustizia. Disuguaglianza. La guerra alla povertà è una presa in giro...Siamo sempre alle solite, dice Sutton. Non del tutto dice Fotografo: La merda è la stessa, ma la gente non vuole più mandarla giù. La gente scende nelle strade, fratello". J.R. Moehringer, "Pieno giorno".
Per comprendere la crisi dei linguaggi dell'arte contemporanea, si dovrebbe rovistare tra le macerie di otto secoli di storia del capitalismo.
Sbagliano gli "addetti ai lavori" che scindono tra cultura artistica e capitalismo.
Il capitalismo ha elevato a sistema tutte le dimensioni del vivere. Il capitalismo è molto più di un sistema di governo economico.
Il sistema del capitale è più del mercato della libera competizione, del conflitto tra stili e linguaggi culturali che competono.
Molto di più di una democrazia populista del gruppo sociale. Si tratta di una vera e propria forma conservatrice di civilizzazione permanente.
Otto secoli di civilizzazione statica d'egemonia del capitale.
La società massificata e accumulata nei consumi e nei costumi è stata nel novecento alla base dei fascismi europei postindustriali.
La storia dell'arte civilizzatrice imposta dai mercati e dai privati è storia di commerci di rapina, di guerre sanguinose, di quadri, sculture e guerre giustificati dalla religione e accelerate dalla scienza e dall'innovazione tecnica e tecnologica, l'accumulazione ha permeato la vita dell'artista e degli addetti ai lavori fino a manipolare il suo comportamento individuale e collettivo.
Questo ha portato l'attuale sistema dell'arte a essere morale e irresponsabile, sul denaro rappresentato a tavolino che genera denaro liquido. Le piramidi egiziane? Sangue di schiavo dell'Impero Romano.
Oggi è il finanzialcapitalismo artistico, una megamacchina diffusa che accumula il maggior numero di denaro possibile dal sistema dell'arte.
Si produce valore quando nasce un inutile Museo d'arte contemporanea, si estrae valore quando in quel museo sulla carta pubblica si espone un artista dal valore attestato da un privato che in questa maniera incrementa i suoi interessi.
I messaggi che i nodi del sistema dell'arte indirizzano agli artisti ricchi come ai poveri, indirizzano verso una "maggiore flessibilità" nei confronti del proprio stile o linguaggio (pensate a fenomeni di mercato come Damien Hirst, ha un suo linguaggio?); questa cura di "professionalità" non fa altro che disegnare una ulteriore incertezza di senso e determinare una privatizzazione dei problemi legati alla ricerca artistica contemporanea. Questa "flessibilità professionale" incoraggia gli artisti a concentrarsi sulla propria sopravvivenza individuale e il linguaggio dell'arte in questa maniera scompare.
"Dato il caso in cui qualcuno affianchi una Gioconda B alla Gioconda A esposta al Louvre, noi possiamo dire che la Gioconda B è falsa solo se riusciamo a provare che la Gioconda A sia autentica...Dai falsi ci si difende benissimo. Purché si abbia deciso cosa è autentico". Umberto Eco
Assessori e Ministri alla cultura, potrebbero servire in quei luoghi e quei paesi privi della cultura artistica o timorosi di non averne (sempre che paesi del genere esistano).
Cosa è la cultura artistica se non qualcosa che si inventa o si elabora per strada?
Le società, tutte le società umane, non stanno ferme e non è detto che debbano adottare novità esterofile in modo supino e ossequioso per mezzo di un ministero o un assessorato; le società rielaborano tramite i loro artisti e possiedono qualcosa che è comunque loro.
I cantieri culturali e artistici restano sempre aperti, realmente non esistono i tagli alla cultura.
Il tessuto sociale di chi subisce o dovrebbe subire passivamente è sempre abbastanza resistente ed è difficile addomesticarlo o integrarlo; culture e ricerche artistiche sono cantieri che hanno gli artisti come unici "addetti ai lavori", loro sono gli infaticabili operai che montano e smontano il linguaggio dell'arte, continuamente trasformano la loro costruzione e il loro codice linguistico; la loro creazione è la reale rottura di un orizzonte, per questo non esiste creatività priva di evoluzione.
Nessun uomo è un isola e nessun artista è un isola in nessuna isola, perché nessuna isola è isola, vive e ridefinisce mutando nel tempo.
Il capitalismo elettronico inoltre spinge l'artista verso l'interazione con "comunità immaginate", gruppi di persone che pur non avendo mai interagito nella realtà del quotidiano a tre dimensioni, che finiscono per condividere una idea comune, questo muove il territorio dell'artista oltre limiti di diffusione territoriale, muovendolo verso immaginari complessi e ideali.
L'artista mobile, diffuso e connettivo è davanti a una incredibile presa di coscienza e consapevolezza, la sua monografia è una narrazione quotidiana densa, è un ricercatore protagonista e protagonisti autonomi sono i suoi segni; la sua destinazione non è più un Museo ma il grande magazzino interconnesso e diffuso direttamente a domicilio.
La differenza è sostanziale, in un Museo l'opera la si osserva con distacco, si subisce il suo fascino (con leggerezza), ma con l'opera non si convive e lo spettatore non è con essa connivente, la rivoluzione è nello spettatore osservatore diffusivo e connettivo che come l'artista che osserva è diventato con cognizione di causa un prodotto esposto sullo scaffale del grande magazzino diffuso.
"Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.
Un partito politico è un organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.
L'unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite. Ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Questa verità di fatto è evidente a chiunque si sia avvicinato alla vita dei partiti". Simone Weil, "Manifesto per la soppressione dei partiti politici".
L'artista che ambisce a cavalcare il "sistema dell'arte", ha necessariamente un atteggiamento ambivalente, il sistema è grande, eterogeneo e gli artisti che propone sono l'attrazione per gli stessi giovani artisti. L'artista che imposto dal mercato, arriva come un corpo estraneo in una comunità, agisce al tempo stesso come repellente e come calamita linguistica (con la complicità dei media specializzati), attira all'interno del sistema, con il suo linguaggio frotte di artisti locali, stanchi della monotonia della loro condizione di periferici che abitano la periferia del mercato globalizzato. Più grande e apparentemente capiente e ramificato è il sistema, più probabile è che attiri un numero crescente di persone, impossibilitate a esercitare la loro ricerca linguistica nelle piccole realtà che vivono. Questo porta forza maggiore, il sistema diffuso dell'arte contemporanea, a essere una discarica delle problematiche linguistiche degli artisti, sempre più globalizzati e omologati (e forza maggiore omologanti). Un sistema così umanamente affollato è di fatto una metropoli, dove artisti quotidianamente ci si inventa, si è messi alla prova e se va bene momentaneamente assimilati.
Questo stato di cose porta all'artista in cerca di conferme, la necessità di consolidare la propria personale libertà, attraverso il potere economico dettato dal mercato.
Nella pratica, i linguaggi dell'arte contemporanea di sistema, sono forza maggiore, vittime della globalizzazione e per questo può non esistere una soluzione culturale locale.
Il futuro della libertà della ricerca artistica, davanti a questo bivio storico, o sarà garantito su scala planetaria se gli artisti saranno in grado di creare sistema tra loro, con i loro linguaggi, o non lo sarà affatto.