In tempo di crisi: non può stupire una certa tendenza alla nostalgia dei valori rassicuranti del passato più o meno recente. L'arte, come sempre, capta ed elabora le variazioni di umore dell'intelligenza collettiva. Mai però in modo lineare: procede per scatti, tentennamenti, dilatazioni e percorsi trasversali. Inutile quindi cercare nelle scelte degli artisti i sintomi di questa tendenza retrospettiva, che tuttavia esiste e credo influenzerà non poco il mondo della cultura nei prossimi anni. A settembre si scorgono le prime avvisaglie, ora che sta per riaprire la stagione espositiva e che trend e strategie iniziano a delinearsi.
Prendiamo il caso di Enzo Cannaviello, uno che la storia l'ha fatta davvero con i giganti dell'arte internazionale, ma che da anni ormai si dedica con immutata dedizione ai giovani talenti italiani. Una scelta coraggiosa, che ha sostenuto con decisione e che lo ha ripagato con gli importanti risultati raggiunti da Umberto Chiodi, Marta Sesana e, più recentemente, Ettore Tripodi, Tommaso Gorla e Stefano Cumia (per citare solo alcuni fra i preferiti dal sottoscritto).
Certo, l'attività commerciale è sempre rimasta sostenuta dal ricco catalogo di maestri del passato ma colpisce che proprio ora, quando i tempi si fanno più duri, Cannaviello decida di rituffarsi nelle braccia del passato. La nuova stagione aprirà infatti con una mostra intitolata Anni '70: un titolo che dovrebbe evocare odore di piombo e che invece vuole in qualche modo rassicurare come una vecchia Polaroid sbiadita ritrovata in un cassetto. Dal comunicato stampa veniamo a sapere che la mostra intende omaggiare la storia della galleria nel suo periodo d'oro, gli anni in cui Cannaviello operava a Roma elaborando ed interpretando la scia dell'arte povera, le performances, il concettuale, fino ad anticipare a livello europeo la riscoperta della pittura e i prodromi della transavanguardia. In ordine sparso, testimonianze fotografiche ed opere autografe di Acconci, Beuys, Baselitz, Boetti, Costa, Graham, Kounellis, Polke, Nitsch e moltissimi altri maestri indiscussi. In controluce si intuisce, prima ancora di aver visto la mostra, il ricchissimo patrimonio fatto di piccole e grandi battaglie, di rivalità, successi, delusioni che Cannaviello intende celebrare insieme a se stesso. L'identico pathos, insieme sublime e stucchevole, che illuminò lo stand di Massimo Minini all'ultima Artissima di Torino, quando frammenti di memoria erano fissati su fragili appunti dello stesso gallerista sulle pareti dello stand.
In un paese senza memoria come il nostro bisognerebbe semplicemente ringraziare, commossi, noi che non abbiamo vissuto in prima persona quegli anni e che oggi abbiamo l'onere di raccogliere eredità pesanti in vista di un futuro fin troppo fosco. Proprio per questo ci auguriamo che dalle commemorazioni si ritorni presto alle scommesse, ai rischi del presente e del futuro. In una società gerontocratica zeppa di venerati maestri che, come Crono, divorano i propri figli per conservare l'immortalità, è bene che mostre come questa rimangano episodi. Necessari, perché dalle radici si trae la linfa; ma la vita sboccia su rami sempre nuovi. Dopo l'autunno e l'inverno, deve sempre tornare la primavera.