Un mondo senza musica verrebbe ad essere come un dipinto senza colore .Mauro Modin : Dialogo tra Modi(n) e Mode(n).

 mauro modin live in montgeron paris

Franco Savadori intervista Mauro Modin .

 

F.S . : Partiamo ab ovo . Raccontaci un po’ della tua infanzia e delle tue prime esperienze con il disegno…

M.M. :  Sin dalle scuole elementari / medie , ho sempre dimostrato una grande propensione per il disegno , che rappresentava pure il mio centro d’interesse quando dovevo concentrarmi sullo studio, benché , come tutti i ragazzi , i miei interessi veri fossero di  ordine ludico , com’è giusto che sia a quell’età . Solo in un momento successivo , in periodo adolescenziale , ho iniziato a razionalizzare la mia propensione per le arti figurative , dopo l’incontro con  il colore del Liceo Artistico .

 

F.S. : Hai avuto la fortuna d’aver potuto frequentare il Liceo Artistico a Venezia , una città d’indubbia suggestione . Può aver ciò influito sul tuo senso estetico ?

M.M. : Il Liceo Artistico ha rappresentato un vero e proprio shock per la mia giovane persona .

Lì infatti il destino ha voluto che incontrassi un grande insegnante ed un uomo di notevole spessore, il maestro e professore Ferruccio Bortoluzzi , che ha saputo condurmi al centro della bellezza  e della problematicità della pittura . Ricordo distintamente il suo physique du role , il suo aspetto esteriore , chiaro riflesso della sua reale condizione di artista puro , profondo e profondamente coinvolto nella propria arte . Personalmente detestavo l’istituzione scolastica , visto come un istituto coercitivo quanto insensato . Non comprendevo del perché di tutta queste fredde regole connesse all’apprendimento , tanto è vero che le ore del Professor Bortoluzzi , per me rappresentavano delle meravigliose oasi di sensatezza pedagogica, con quest’uomo che aveva saputo cogliere i miei aspetti caratteriali , ponendomi nella condizione di operare al meglio . Ricordo con precisione la sua grande capacità tecnica , nonché la sua capacità nel trasmetterla , con esempi repentini quanto evidenti , con la sicurezza dell’uomo sapiente e pienamente padrone dell’arte di cui stava trattando .

Bortoluzzi mi ha fatto comprendere che , benché la scuola fosse quella che era , ciò non ostante la pittura , vista dalla sua ottica , incarnava la bellezza , il motivo per cui valeva la pena , forse , studiare ed impegnarsi . Dal canto suo , egli riconosceva nel mio segno una grande potenzialità , ed una maturità che trascendeva l’età che avevo allora , il che per me rappresentava un fondamentale stimolo per  procedere nei miei studi . Ed è pure indubbio che se per me la scuola era il buio , la  luce era rappresentata dal fatto di poter prendere ogni giorno l’autobus che mi avrebbe condotto a Venezia , una città sempre piena di poesia , di movimento , di luce , e non scordiamoci che stiamo parlando della Venezia di trent’anni  fa , meno patinata , più verace di quella odierna .

 

F.S. : Il passo successivo è stato quello di andare a Milano , a frequentare un corso di Fumettistica e Grafica Editoriale : cos’ha significato per te scoprire la città meneghina ?

M.M. : Se Venezia aveva stimolato il lato più poetico del mio essere , Milano ha avuto il merito di iniziarmi alla vita metropolitana , con i suoi ritmi veloci  , il suo fascino trasversale , con la sua generosità nel proporti un’umanità estremamente variegata ed eterogenea . Penso di essere arrivato a Milano nel momento giusto , e cioè in quel periodo nel quale il fumetto si stava pienamente affermando come autonoma forma d’arte : gli anni , per intenderci di  Frigidaire , della New Wave di disegnatori che stavano scrivendo le pagine della piena maturità del fumetto . Il corso da me frequentato , trattando in maniera specifica la prassi illustrativa , faceva al mio caso , poiché concentrato unicamente attorno al dato tecnico ed estetico . C’era un grande fermento , all’epoca , ed assieme ai miei compagni di corso si pensava seriamente di poter operare nell’ambito specifico  , cosa poi da me non intrapresa solo per circostanze esistenziali e passionali. E poi a Milano c’era tutto quello che necessitava ad un giovane come me , sempre voglioso di esperienze nuove e sempre incline a sperimentare inedite formule esistenziali .

 

F.S.. : …Hai affermato che circostanze passionali ti hanno portato altrove : a cosa ti riferisci con ciò ?

M.M. :  All’epoca – siamo nei primi anni ’80 – venni chiamato per il servizio militare . Sotto naja , in presenza di circostanze favorevoli , assieme ad alcuni miei commilitoni ebbi la facoltà di entrare nel gruppo musicale del mio corso . Fui letteralmente folgorato e travolto da tutto ciò che era musica . A tal punto da decidere di trasfermi , assieme al mio gruppo , a Londra .

 

F.S. : Cosa ricordi di quel periodo ?

M.M.: Visto a posteriori , credo d’aver compiuto inconsciamente un percorso quasi doveroso : da Mestre a Venezia ; da Venezia a Milano , da Milano prima a Roma , in qualità di militare di leva ed infine in quella che era considerata la capitale per antonomasia della musica : Londra .

A sostenermi , al tempo , una grande e meravigliosa incoscienza , commista ad un entusiasmo infinito , oltre che ad una forza vitale a prova di stanchezza .

Erano gli anni ruggens , e noi vivevamo in un contesto dove ogni incontro , ogni evenienza diveniva possibile . Assieme agli amici andammo a vivere a Brixton , l’allora Bronx di Londra , l’epicentro musicale tanto del Punk , quanto del Reggae giamaicano . Accadeva di tutto e tutto veniva preso come fossero avvenimenti del tutto naturali . Si suonava in continuazione , nei contesti più svariati e, quando non lo si faceva oggettivamente , si ascoltava musica a tutto spiano .

Tutto era fantastico , dato che il coinvolgimento era totale , senza considerazioni di altra sorta , anche se  al contempo si lavorava  , in occupazioni per lo più precarie , sebbene nel contesto delle grandi possibilità occupative offerte dalla metropoli. Sono convinto che quest’esperienza abbia acceso in me quell’istinto segnico metropolitano che ancor oggi  si costituisce quale elemento portante della mia pittura , e che all’epoca elaboravo e sperimentavo , dipingendo sulle pareti degli appartamenti dei miei amici londinesi . Si trattava per lo più di figure e di volti che tanto erano  figlie del fumettismo , quanto della mia naturale propensione espressiva , ancora acerba ma in un certo qual modo già caratterizzata . Comunque sia , una volta fattami la scorta di oltranzismo metropolitano , decisi di ritornare in Italia , dove avevo ricevuto delle proposte per poter entrare a lavorare a fianco delle rockstars , nell’attraente giro del grande Musicbiz .     

 

F.S. : Spiegati meglio : chi erano queste Rockstars ed in quale maniera collaboravi con loro ?

M.M.: Ero riuscito ad entrare nel grande giro dell’organizzazione degli epici eventi Rock , che caratterizzarono tutti gli anni ’80 . Le mie mansioni erano le più varie :  dal servizio d’ordine , al montaggio del tetto sino all’allestimento dei camerini  per  le vedettes di turno . Sono stato fortunato poiché ho avuto la possibilità di seguirli direttamente nel corso delle loro tournees italiane , il che naturalmente mi dava l’opportunità tanto di soddisfare le mie voluttà propriamente musicali , quanto di vivere il mito dell’esperienza on the road  , molto sentita dalla nostra generazione .

Se ancor oggi penso a quei momenti , ritorno con la memoria ad uno dei periodi più felici della mia vita : da Rod Stewart , passando per i mitici Deep Purple , allora i miei beniamini , i Pink Floyd , Simply Red , U2 , Simple Minds , Cult , Eurythmics , Ronnie James Dio , Duran Duran, James Brown fino al Miles Davis dell’ultimo periodo, che al tempo non apprezzavo come avrei fatto in un momento successivo . Oggi mi sembrano ingenuità , ma allora vivevamo ancora in una dimensione di vero e proprio culto per i nostri eroi musicali . Ricordo come fosse eccitante l’attesa spasmodica del concerto , che in illo tempore  non era un dato scontato , come accade ai giorni nostri . Al tempo c’era  quella magia , che, al pari di tutte le incantazioni , rendono le cose della vita speciali , uniche … proprio come accade a chi rimane folgorato dalla bellezza di un’opera d’arte . Magia significa altresì venire a contatto con degli aspetti della vita dei quali forse abbiamo un po’ perso la cognizione , ai quali dovremmo prestare maggiore attenzione , reintegrandoli a pieno titolo nella nostra e nelle altrui esistenze . Attraverso quegli eventi , che pure avevano una chiara finalità economico commerciale , tanti giovani hanno altresì avuto modo di provare la gioia della catarsi collettiva , intesa di certo come momento di  discutibile collettivizzazione , ma anche come momento di moderna estasi dionisiaca .

F.S.:  Stiamo parlando di musica : ma in quale misura avevi mantenuto un rapporto con l’arte pittorica ?

M.M. : Con il senno di poi , ora posso ammettere di essere stato fortunato ad aver avuto l’opportunità di poter coltivare delle solide amicizie con galleristi ed operatori del settore della zona di Venezia i quali mi hanno dato la possibilità di conoscere le problematiche proprie a questo non facile ambiente , sgrezzandomi nella mia crescita professionale. E risulterà determinante , ancora una volta , in virtù dell’amicizia col nipote Andrea , l’incontro da me avuto  con un uomo ed un pittore che ha voluto e saputo condurmi al centro della bellezza così come della difficoltà dell’essere artista .  Oddino Guarnieri  è stata una presenza fondamentale poiché rivelatoria , uno di quegli uomini di intelletto che , con semplicità e determinazione , sono riusciti a rendermi partecipi dell’essenza di molti fenomeni pittorici . Se il maestro Bortoluzzi era riuscito ad accendere la fiamma nel mio istinto artistico da adolescente , Oddino Guarnieri saprà consolidarla in un momento in cui la mia maturità umana ed intellettuale poteva recepire  la  pienezza  della verità pittorica . Sono rimaste impresse nella mia memoria  le illuminanti parole spese dall’artista attorno alla figura di Lucio Fontana ,  di Vedova , di Manzoni e di altre eminenti figure , che all’epoca non erano state ancora ben focalizzate dalla critica  o ratificate dal mercato .

Esperienze , parole ed amicizie di cui beneficia ancora oggi  la mia condizione di libero navigatore nel mare magno della creatività .

 

F.S.: Ed è in seguito a questi stimoli che hai deciso di concentrarti maggiormente sulla pittura ?

M.M.: Si , anche se pure in questi frangenti il destino mi ha dato modo di introdurmi nell’ambiente nella maniera più consona . Difatti , l’iniziazione è stata graduale , il che mi ha concesso l’opportunità di organizzarmi al meglio , senza dover subire i traumi di un apprendistato o di una gavetta troppo brusca . Alternavo il dipingere a lavori di circostanza , e l’eclettismo di quei giorni mi ha predisposto nei confronti delle varie tecniche e dei vari stili . Frequentare le gallerie degli amici  significava apprendere nomi nuovi o rivedere e approfondire quelli già conosciuti in precedenza . Quanto mi riusciva teoricamente faticoso ai tempi della scuola , ora era divenuta prassi quasi automatica , anche perchè  nel frattempo le esperienze avevano inciso sulla mia maturità .

 

F.S. : E  quali erano i nomi degli artisti che allora attraevano la tua attenzione ?

M.M.: A Venezia abbiamo avuto tanto la grande tradizione classica , quanto il grande coagulo delle avanguardie post belliche . Spesso mi soffermo ad osservare le fotografie degli anni ’50 , colme di poesia e di atmosfera , dove sovente si vedono riuniti e mescolati i grandi protagonisti di quelle irripetibili stagioni , tutti assieme , in armonia ed umiltà . Fattori ed elementi che poi ho puntualmente ritrovato nello spirito del Jazz , attraverso le ben note Jam Sessions  e le infinite collaborazioni trasversali . Nomi a me cari all’epoca : Emilio Vedova per la forza tellurica del segno ; Emilio Scanavino per l’incredibile equilibrio compositivo e per la crudezza nell’uso del colore nero ; Giuseppe Santomaso , per la sua non comune capacità di dire tanto con pochissimi elementi ; Afro per l’uso sapientissimo delle cromie e delle velature ; Tancredi per l’uso  straordinario delle sovrapposizioni , articolatissime quanto pulite ; Mario De Luigi con i suoi grattages  ineguagliati , più tanti altri , il cui elenco sarebbe troppo lungo  per essere qui giustificato. Come dire : una grande epoca , piena di sfumature e di personalità uniche .

 

F.S. : Osservo che nell’elenco da te appena fattomi , non ci sono pittori figurativi . C’è una ragione specifica ovvero di circostanza ?

M .M.: Bella domanda . Da giovane ho vissuto e studiato l’arte figurativa approcciandola dal punto di vista del fumettista , il che mi ha conferito una grande sicurezza a livello di impostazione dell’immagine . Con l’evolversi della mia sensibilità , ho iniziato a considerare artisti più iniziatici , quali Zoran Music , fiero ed incoercibile alfiere d’un approccio pittorico fuori da ogni tempo ed ogni dimensione , al di sopra della distinzione tra figurativo ed aniconico .

Prima non ho citato alcun artista di stampo figurativo , non perché non apprezzi questa prassi espressiva , ma perché , sostanzialmente , non mi senta direttamente influenzato da alcuno di costoro . In qualità di  figlio della mia epoca , provo ovviamente una grande ammirazione per Basquiat , che continuo ad amare in maniera viscerale proprio perché nella sua estetica  ritrovo il concentrato di un momento storico , posto in un contesto precipuo , quello metropolitano di cui ho parlato a lungo prima . Basquiat ha trasposto nelle sue opere un sound , un mood , un groove che è stato quello proprio agli anni ’80 , da me tanto sentiti perché tanto vissuti . In Basquiat  convive in maniera unica  la poetica brutuista , con quella infantile accesa da eccessi  alisergici ed enfatizzata da una tensione cromatica posta ben oltre la soglia del dolore visivo .

Si parla quasi sempre degli artisti che hanno trattato la figurazione ad inizio dello scorso Secolo , i cosiddetti maestri storici , ma i nomi che mi vengono in mente sono parecchi e stanno attivamente , in tempo reale , operando sull’attuale scena artistica . Dai gigantissimi , vedi Lucien Freud o Chuck Close, via via sino ai miei coetanei Velasco , Omar Galliani , Luca Pignatelli etc.etc.

 

F.S. : Domanda a bruciapelo : dimmi qualche opera dell’àmbito figurativo di cui vorresti essere stato l’autore ?

M.M: : Qualsiasi paesaggio di William Turner , oppure qualsiasi Venezia  del Canaletto.

 

F.S.: E di più moderni ?

M.M.: Edward Hopper con i suoi  Nottambuli  o un Cadavere di Music , per il coraggio di aver saputo ritrarre tanta dolente verità .

 

F.S. : Ma quale di costoro ti ha oggettivamente influenzato ?

M.M.: Pittoricamente parlando ho dei debiti di riconoscenza verso alcuni artisti informali , più che altro per una connaturata mia inclinazione nei confronti del gesto veloce alla Vedova e del segno incisivo , quasi squarciante , come in Celiberti , o ancor più in Scanavino .

Viceversa , a livello figurativo non sento alcuna influenza stilistica  . Mi sento piuttosto stimolato dalla temperie di quegli artisti completi , quelli capaci di giostrarsi in mezzo a progetti piuttosto complessi ,  portandoli a compimento dall’a alla z . Un nome su tutti il mio mentore  Fabrizio Plessi, che da sempre coniuga , disegna , assembla , manipola ed organizza degli eventi il cui risultato artistico è direttamente proporzionale alla loro complessità . Artisti a tutto tondo , il cui dato più rilevante è rappresentato dal loro peculiare approccio mentale , come nell’ altro ,esemplare caso di Kounellis , sommo maestro d’un minimalismo  rappresentativo ed emozionante . Ho volutamente preso l’esempio di questi due artisti  , in  antitesi stilistica , ma uguali come completezza ed unitarietà di visione . Ci tengo ad aggiungere , già che siamo nel contesto giusto , il nome di Mimmo Paladino , alfiere d’un eclettismo capace di giostrarsi tra opere  pittoriche d’immane grandezza , installazioni  ingegnose , ma pure capace di creare delle carte di piccola dimensione ,altrettanto affascinanti e significative . Tutti e tre differenti nella loro essenza artistica , quanto simili come acchito mentale , spessore tecnico e originalità esplicativa . Così , come avrai potuto capire , la mia arte è più sensibile a questo aspetto mentale , che non ad una vera e propria influenza di natura tecnico – estetica .

 

F.S.: Però nel presente catalogo – a riguardo delle Installazioni – non mi sembra ne siano state    inserite tante…

M.M.: E’vero , ma nel presente caso abbiamo privilegiato un aspetto precipuo della mia arte , con una finalità tendenzialmente antologico pittorica . Ma qualcosa è comunque presente nel catalogo, come il We Insist !  o la Cassetta Dei Medicinali Senza Ricetta o ancora l’emblematica Orgia Sonora ,  senza scordarci l’installazione pittorica Emozioni In Platea , in cui coniugo alla perfezione il mio animo e pittorico ed installativo e che ho voluto intendere come un’opera mai definitivamente chiusa , nel senso che posso allargarla , potenzialmente , all’infinito .  

 

 

F.S.: Installazioni a parte, pensi ci siano ancora spazi di ricerca in ambito extra  pittorico ?

M.M.: Si , gli spazi ci sono e continueranno ad essere , poiché per fortuna la creatività umana non si è ancora esaurita . Ho sempre nutrito una forte passione per il design architettonico e per la sua applicabilità in ambiti svariati. Oltrettutto , il destino ha voluto che io abbia scelto , tra le mie varie sedi abitative , quella creativa a ridosso del ben noto Triangolo della Sedia , i tre comuni dell’udinese che da sempre producono manufatti apprezzati e diffusi in tutto il mondo . Mi sto dedicando alla rielaborazione estetica di tavoli e di sedie , supportato dalle aziende più spinte nella ricerca del design in questo specifico settore. Quanto ne sta nascendo , rappresenta un qualcosa di molto stimolante per la mia creatività , poiché l’applicabilità nel singolo settore dà risultati molto peculiari e , per certi versi , antitetici , a  quelli pittorici. Trasporare il collage su tavoli e sedie  ha significato rielaborare e rivedere una tecnica che fuori dalla tela si dispiega generosa ed informale , anche se voglio che si possa comunque evincere il mio segno ed il mio colore da queste mie produzioni eterodosse.

 

F.S.: A proposito di tecniche esecutive , vedo che tu ne usi svariate per dar vita ai tuoi personaggi…

M.M.: Sento che per me dev’essere così . Personalmente sono affascinato ed attratto dalla ricerca , che altresì significa sperimentazione e varietà . Nel mio caso specifico , poi , io tendo ad adeguarmi allo stato d’animo del momento : perciò può accadere che in una determinata circostanza io senta la necessità di scegliere una certa gamma cromatica anziché un’altra , oppure che prediliga l’acchito violento del mio segno , al posto di quello più morbido .

 

F.S.: Puoi spiegarci più nel dettaglio questi metodi operativi ?

M.M.: Dato che mi piace caratterizzare in maniera profonda una figura , cerco di farlo attraverso

un uso specifico delle varie possibilità tecniche , scelte pure sulla base del mio stato d’animo del momento . Così , se mi sento nel mood di voler rappresentare – che ne so - Albert Ayler , che fu musicista ed uomo estremamente ruvido , scelgo una tela di juta grezza ed un pennello molto grasso, adottando una tecnica veloce , veemente ed un mix di colori piuttosto contrastanti , dato che il tipo di tela in questione assorbe molto  e velocemente . Se viceversa è mia volontà esasperare psicologicamente una figura – com’è accaduto ad esempio nell’opera Trane ,  dedicata al sassofonista John Coltrane , allora posso usare colori molto accesi , posti sulla base di una tela di juta precedentemente preparata – il che mi permette una pennellata più morbida , una maggiore scorribilità della superficie , nonchè la possibilità di poter incidere e scavare la superficie stessa, dando uno stile ed un carattere unici , lontano tanto dalla poesia della juta grezza , quanto dalla diafana delicatezza di alcune composizioni fatte con la tecnica per sottrazione ( vedi il Manu Dibango di pag. ) , dov’è necessario lavorare in tempo reale , con tre pennelli in mano a differenti gradi d’umidità , ed essere solerti nel togliere , laddove necessario , partendo dalle tinte più scure per arrivare alla velatura desiderata , operando tra il colore e la parte bianca della tela , la quale va a sostituire il colore bianco che qui non viene mai adoperato . Praticamente mi trovo con l’operare in maniera opposta al modo classico , con effetti e risultati che ritengo consoni al mio stile .

Infine uso una tecnica più convenzionale rispetto alle altre , dove sul presupposto di un telaio da me costruito , ci pongo sopra una tela vergine di cotone , dove applico differenti strati di gesso ed altro e quindi procedo con una pennellata più lunga , acquosa , per quindi incidere e penetrare, a vari livelli , il fondo gessoso , con un bell’effetto di opacità e di materia .

 

F.S.: Nel parlare delle tue tecniche , hai omesso un capitolo particolarmente importante , quello riguardante i tuoi ambìti ed apprezzati Collages. Perché ?

M.M.: I Collages in questione rappresentano una parte molto importante del mio operato , cui dedico non poche energie e risorse . A voler essere più pignoli è inesatto definirli Collages , dato che i ritagli delle immagini applicate occupano solo una piccola parte della tela , mentre le porzioni rimanenti  vengono elaborate da me con prassi pienamente pittorica , per riuscire a dare pieno svolgimento all’equilibrio cromatico ,  con la finalità che l’opera risulti più fragrante e compiuta .

Talvolta tali opere hanno una voluta costruzione logica , talaltra sono il risultato d’un assembalmento estetico/ umorale , dove i particolari vengono dati dall’equilibrio dell’amalgama delle immagini , considerata la grandezza tra le singole figure , in un’interattivà sovente rafforzata ed ispessita da altri inserti , quali frammenti di scritti , immagini di manifesti , citazioni d’epoca e comunque  i miei segni pittorici , inseriti ed integrati ad hoc quando necessario . 

Tutto ciò implica una serrata ricerca di immagini , desunte dai libroni dei fotografi di settore , ma pure da quel catino senza fondo rappresentato da Internet , o dagli improbabili mercatini , come ad esempio quello parigino di Saint Ouen , a cavallo tra sogno infantile e realtà urbana . Un lavoro dispendioso in termini di tempo , quanto dilettevole e stuzzicante , poiché rappresenta pure un fantastico viaggio a ritroso nell’immaginifico collettivo , nonché un’opportunità per implementare la mia già vasta collezione di reperti musicali .

 

F.S.:  Hai accennato ai fotografi del Jazz : in quale maniera ti rapporti al loro lavoro ?

M.M.: Quando guardo certi cataloghi con foto scattate da determinati maghi dell’obiettivo, provo una sensazione che stà a cavallo tra nostalgia , invidia  e gioia : nostalgia per determinati periodi storici particolarmente epici per quel genere di musica – tipo il decennio che va dai secondi anni ’50 ai primi anni ’60 ; invidia per quanti hanno potuto vivere quelle atmosfere , quegli umori , quelle utopie tanto veementi quanto poetiche , intrise di pathos , di monocromie colorate . Provo nostalgia per gli anni ’60  e  ’70 poiché l’umanità  di allora aveva ancora la speranza d’un mondo migliore ; poteva ancora credere in tante cose e vivere comunque un’esistenza semplice ma completa allo stesso tempo, senza dover scordare il lato estetico/effimero , quali le acconciature , la moda , le auto ed i mitici Festivals d’allora  , grandi e pur piccoli allo stesso tempo.             E ciò è quanto si coglie nelle immagini di William Claxton , il cantore statunitense di tutta la tradizione afroamericana , capace di entrare  in profondità al Blues ed al Jazz , fuori e dentro il puro evento sonoro . Gioia nel toccare l’animo dei musicisti , per il tramite dei ritratti fantasiosi e mai scontati di Giuseppe Pino , l’immaginifico artista italo tedesco . E poi Philippe Gerard Dupuy , il grande John Beake  di Nizza, Mirko Boscolo , Carlo Verri , Roberto Masotti e non ultimo l’amico Luca D’Agostino , che al pari dei suoi illustri colleghi prova una dedizione ed un amore così grandi per la propria professione da lasciare attoniti ! Non scordiamoci , comunque , come ho già avuto modo di sottolineare in precedenza , che questa è solo una delle mie numerosissime e variegate fonti d’ispirazione : di certo essa è quella che giudico la più romantica…    

 

F.S. : C’è una connessione diretta tra il dato fotografico applicato alle copertine dei dischi . Quale rilevanza hanno assunto ai tuoi occhi ?

M.M.: Molte copertine di dischi , Jazz e non , sono da considerarsi degli stupefacenti concentrati di perfezione estetica quanto comunicativa . In una superficie di 33 x 33 centimetri , trovo sovente insita tutta l’umoralità e la specificità d’un sound , non solo musicale , ma pure quello d’un’epoca o un periodo  storico specifico . Talvolta traspare una ricerca grafico/estetica , talaltra la casualità d’un’espressione colta al volo , ma proprio perciò assoluta , totale . Certe volte ancora , magicamente , questo , quello ed altro ancora … Nei miei assemblage mi sforzo di raggiungere questa sintesi , e quando ciò riesce l’opera può dirsi compiuta . Certo che rimane una forte nostalgia nei confronti del mitico vinile , il cui formato giustificava a pieno titolo l’elaborazione di confezioni così intriganti , e non a caso negli ultimi tempi c’è stato un ritorno , anche produttivo , al vecchio formato .  

 

F.S.: E’ per questa ragione , allora , che hai voluto realizzare un’opera molto particolare , che ha come soggetto un disco con la sua copertina…

M.M.: Quando mi sono ritrovato tra le mani questo vinile , ho visto la luce …. Mi si è accesa la famosa lampadina di Archimede , e ho subito pensato che avrei dovuto interagire con esso : mi riferisco alla copertina dell’oramai celeberrimo titolo di Max Roach : “ We Insist ! Freedom Now Suite “.  Quello che m’ha colpito è il mix di fattori che la caratterizzano : una estetica grafica perfetta , equilibrata quanto sobria ; la fotografia che riesce , in un singolo scatto , a racchiudere e far affiorare tutta la rabbia e la frustrazione dell’ intera comunità afro-americana ; e quel We Insist !  posto volutamente a caratteri incisivi , proprio allo scopo di sottolinearne l’urgenza di ribellione e la carica eversiva . Tutto ciò è arrivato a me con la forza di un pugno nello stomaco , ed è perciò che ho deciso d’ingrandirla senza la necessità di alcun , ulteriore , intervento pittorico .

 

 F.S.: Questa tua ennesima  esperienza espressiva ti proietta quindi ben oltre il puro dato pittorico:

in quale misura sei interessato a battere nuove strade creative e dove può arrivare oggi un artista poliedrico quale tu sei ? Ovvero : quali sono le direzioni verso cui vorresti orientarti nell’immediato futuro ?

 

M.M.: Di carne sul fuoco , attualmente , ne ho tanta , e mi trovo ad aver aperto più fronti sui quali mi trovo ad operare in contemporanea . Sostanzialmente perseguo la pittura classica , su tela , per intenderci ,  per mezzo di opere di piccole  e medie dimensioni , visto che stò coordinando ed organizzando delle esposizioni nei Jazz Clubs di Parigi . Per quanto riguarda le Installazioni , adesso mi trovo nel giusto contesto di poter dare rilievo a molte mie opere in virtù dell’ampiezza degli spazi espositivi che mi sono stati proposti . In patria ho sviluppato un lungo e proficuo sodalizio con l’amico ed  avv . John Shehata  il quale mi sta curando l’archivio della mia totale produzione artistica e segue il mio operato a Milano insieme a Piero Scibetta della Twister Records Milano  . Questo duplice versante operativo , mi pone in uno stato esistenziale molto felice , poiché da una parte riesco ad esaudire le mie voluttà zingaresche e musicali ,  a poter viaggiare , vedendo concerti e stando assieme ad un’umanità a me vicina , in quella Parigi che non finisce mai di gratificarmi a tutti i livelli . Dall’altra parte , la possibilità di concretizzare le tante mie idee progettuali , sviluppandole in maniera organica e distribuendole su piani creativo espressivi via via differenti  , come i tempi attuali  chiedono.

E’ bello poter inglobare nella propria ricerca così tanti stimoli !

  

F.S. : Per finire: è tua intenzione continuare a lungo a rappresentare la musica ?

M.M.: Per uno come me , che si augura di essere una sorta di rappresentatore in arte delle sensazioni e delle emozioni solari della vita , l’elemento musicale risulta un viatico ideale per riuscire a raggiungere questo fine . A ciò va pure aggiunto il mio particolare legame a tutto quanto fa suono , dal quale la mia quotidianità non potrebbe assolutamente prescindere . Un mondo senza musica verrebbe ad essere come un dipinto senza colore , cioè sarebbe impossibile , o comunque triste . E fra me e me rido sempre al pensiero di quando , a sera inoltrata , mi pongo d’innanzi alla mia nutrita collezione discografica , allo scopo di scegliere il mio disco della buona notte , e di come questa scelta , alla fin fine , risulti spesso ardua , in quanto connessa ad un insieme di microsfumature legate al mio stato d’animo del momento , tali da indurmi a prolungati momenti di riflessione prima della scelta definitiva . Ma è pur vero che questi comportamenti sono il sintomo di uno stato  di meravigliosa e totale dipendenza , che mi spinge , con gioia e voluttà , a voler  rappresentarla in tutte le maniere possibili .

 

 

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Mauro Modin : Dialogo tra Modi(n) e Mode(n).

 

 

 

 

  

 

 

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