Nella duplice veste di critico d’arte ed appassionato di musica jazz, ho sempre seguito con grande attenzione quegli artisti che dipingono e riproducono i protagonisti e le situazioni proprie a questo universo sonoro.Pittura e jazz sono parenti stretti , quasi fratelli siamesi; hanno camminato di pari passo dagli anni ’20 a seguire ,a tal punto che potremmo tranquillamente costruire una storia dell’arte rigorosamente sonora,sottolineata dalle asperità timbrico strumentali di tutte le avanguardie , così come di morbidi impasti degli alfieri del mainstream.
Di questi tempi molti artisti figurativi hanno preso spunto dall’iconografia jazzistica per sviluppare una propria dialettica pittorica ,con risultati più o meno proficui. C’è chi ama l’atmosfera dello stage , chi coglie lo sfavillio di strumenti lucenti , chi ancora si sofferma su espressioni od atteggiamenti corporali eppoi…eppoi c’è Mauro Modin , che della pittura ha fatto la propria ragione di vita , corroborata da un costante background sonoro, da un sheet of sound che sgorga incessantemente dal suo studio pittorico.Ad una grande accuratezza di natura stilistico pittorica , corrisponde una bonaria ed apparente distaccata conoscenza dell’universo jazzistico,attraverso la quale egli filtra le sue opere con tratto sicuro e gesto controllato.
L’incedere è quello del grande improvvisatore;di chi sa che la mano va lasciata libera ma allo stesso tempo calibrata , al pari di un glissato o d’uno smorzato.Ogni linea,ogni sfumatura cromatica è tesa al raggiungimento dello specifico mood e di quello solo.
La storia intera del jazz viene rimeditata e riletta con sagacia in maniera profonda e pure mai scontata .Modin sa che le ombre e le sfumature al pari delle notegravi degli strumenti accendono la narrazione , profondendo spessore all’opera gli eroi emarginati , misteriosi, trovano sovente spazio sulle ricercata tele del pittore (Y.Lateef, R. Kirk ,C. Lloyd A. Ayler ,G.Logan )ma non meno interessanti risultano i collages dove i contesti monotematici ,riservati ad artisti specifici , fanno pendant le narrazioni trasversali , nelle quali Barney Wilen si trova a conversare per affinità elettiva con Stan Getz , due maestri della white elegance , ovvero John Coltrane ha un faccia a faccia con Lateef o Sanders , aspetti diversi eppure ugualidel fuoco creativo afro americano degli anni ’60.Ambite pure le sue grandi installazioni , difficilmente descrivibili ma di sicuro impatto . Oggi Modin si sta affermando sul mercato proprio in virtù di questa sua capacità di cogliere e di riprodurre con giusta sonorità cromatica tali fenomeni, mai rinunciando ad interagire in presa diretta con quanti il jazz lo suonano , pronto a catturare quell’attimo che crea il grande evento. Da qui la sua consuetudine ad inaugurare le proprie personali supportato da gruppi dal vivo oppure ad essere ospite in festivals e concerti Jazz. Franco Savadori
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