È una cosa ciclica: di tanto in tanto salta fuori la discussione luddista del “si stava meglio quando si stava peggio“.
No, non sto parlando del Duce.
Mi riferisco a quelli che su Facebook fanno girare i meme del tipo “Negli anni ’80 giocavo a pallone in strada, guardavo l’A-Team in TV e per parlare con gli amici dovevo andare a casa loro. Ed ero un bambino felice!”
Si tratta di un messaggio molto semplice, se vogliamo assai banale. Innanzitutto perché da bambini chiunque è “più felice”. Si tratta di uno status mentale legato a quell’età, quando le preoccupazioni sono poche, le responsabilità verso il prossimo quasi zero.
C’è poi da considerare il paradosso di chi si lamenta di Facebook su Facebook. Eppure è una cosa che si ripete, facendo leva sulla nostalgia. Ma è un gioco che a me non piace.
La prima obiezione mossa da questi malinconici cripto-luddisti è che i social network non creano “rapporti veri”. Un po’ perché manca il contatto fisico, un po’ perché dietro il monitor uno può fingersi quel che non è.
Sul fatto del contatto fisico, c’è poco da dire.
La metto giù molto brutalmente: a meno che col vostro interlocutore dobbiate scopare, la differenza tra una discussione online e una offline non è poi così grande. Certo, nella seconda (offline) c’è più immediatezza, ma forse meno spontaneità. Perché “dal vivo” subentra la paura, più o meno inconscia, di farsi giudicare anche per quello che diciamo e per come lo diciamo. Online invece cadono le inibizioni. Ne cadono anche troppe, questo è vero. Ma, prendendo come esempio di partenza la discussione tra due persone mosse da buone intenzioni (non due troll, tanto per capirci), il rapporto di conoscenza online può rivelare molto di entrambi. Più di quanto succederebbe dal vivo? Forse.
Sul fatto della finzione: è vero. Ho conosciuto la mia dose di pazzoidi che su internet si fingevano uomini essendo donne, o viceversa. Ho anche incontrato fake clamorosi, tizi che impersonavano celebrità (e lo facevano anche con una certa bravura) e simili cose. Questo è senz’altro uno degli aspetti più pericolosi della Rete.
Ma siamo sicuri che dal vivo le persone siano così sincere?
La peggior truffatrice che mi sia capitato di conoscere l’ho incontrata nella vita reale. Si tratta di una ragazza che aveva un’identità per ogni interlocutore da cui doveva rubare qualcosa: tempo, favori, informazioni, soldi. Era il 1997, e Internet serviva soltanto per scambiare e-mail. Infatti questa persona faceva le sue porcherie quasi esclusivamente nella “vita reale”.
I nostri cripto-luddisti dimenticano un’altra cosa: dietro ogni account Facebook si cela una persona. Quindi io mi rapporto con degli esseri umani, non con dei bot inviati da Skynet.
Ritengo che sia intimamente offensivo dire che i rapporti che ho creato con alcuni dei miei amici di Facebook non sono “reali”. Con loro ho parlato di lavoro, di arte, di gusti personali, di tragedie familiari, di amore, di amicizia, di sesso. Certo, si tratta di una ventina di persone su milleseicento contatti, ma questi venti sono molto più reali di tanti individui che frequento per convenzione/comodità nel mondo offline.
E alcuni di loro, col tempo, sono diventati parte anche del mio mondo offline. Vale a dire che ci siamo incontrati di persona, confermando la stima reciproca.
Vedete, prima di Internet io (come tutti voi) ero costretto a conoscere i miei potenziali amici entro un raggio geografico di 10-15 km, e in posti assai classici: scuola, bar di paese, oratorio (per chi lo frequentava), sale giochi. Per molti funzionava nella stessa maniera.
Se avevi fortuna trovavi delle persone con dei gusti simili ai tuoi. Se ti andava male, ma eri disposto a chiudere un occhio, ti adeguavi a tizi con cui avevi poco da spartire, ma pronti ad accoglierti nel branco. Se ti andava malissimo rimanevi solo come un cane, almeno fino al momento di andare all’università (e, anche lì, non era automatico conoscere dei tuoi simili).
Internet e i social network – con tutto il male che si può dire su di essi – hanno annullato queste barriere.
Sono strumenti, e sono strumenti meravigliosi. Tutto sta nell’usarli in modo saggio. Se non saggio, furbo.
Di solito chi si lamenta dei suoi rapporti online è perché non ha nemmeno provato a migliorarli un po’. La sua vita offline è una merda, quindi ha deciso (inconsciamente, credo) che anche quella in Rete debba essere schifosa.
Un piccolo esame di coscienza potrebbe più utile di un meme nostalgico.
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(A.G. – Follow me on Twitter)
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