Oramai lo sapete tutti: ieri è venuto a mancare Joe Dever, scrittore inglese, “papà” della serie di librogame più famosa di sempre, Lupo Solitario.
Joe se ne è andato molto giovane (era un classe 1956), dopo una lunga malattia.
È difficile spiegare in poche parole cos’è stato Joe Dever per me, per la mia formazione, per la mia adolescenza, e oltre.
Facendo un giro sulle bacheche Facebook degli amici che, come me, hanno avuto la fortuna di partecipare a quella grande passione che furono i librogame, mi sono però accorto di non essere solo.
Joe è stato un papà putativo per molti di noi, un maestro per altri, un amico per altri ancora.
Lupo Solitario, più di ogni altro titolo fantasy passato da noi nei lontani anni ’80, ha rappresentato un’iniziazione alla lettura del fantastico.
Un’iniziazione di alto livello perché, voglio ricordarlo, il Magnamund, i cavalieri Ramas, i Signori delle Tenebre, il Giak, i Drakkar, i temibili Helgast (etc etc) costituiscono uno scenario originale, riuscito, innovativo già trent’anni fa. Oggi gli esperti lo definirebbero un dark fantasy.
Il bambino che ero allora lo definiva soltanto “bellissimo”.
Credo di averlo già raccontato altre volte.
Negli Abissi di Kaltenland (Lupo Solitario numero 3) è stato il primissimo libro acquistato personalmente, con le mance dei nonni.
Lo trovai al mercatino natalizio delle scuole elementari del mio paese. Lo comprai insieme al mio amico Andrea, una copia ciascuno.
Ricordo – come se fosse ieri – le nottate a giocare/leggere, sotto il piumone, in un inverno piuttosto freddo, mentre il mondo là fuori ballava il suo valzer fatto di cultura pop e di guerra fredda, che io ignoravo bellamente.
Avevo nove anni, volevo la magia.
Da quel freddo inverno il Magnamund è diventato per me una seconda casa. Un vero e proprio universo parallelo.
Erano tempi molto diversi da quelli moderni.
I ritmi erano lentissimi.
Tralasciando disamine sociali – del tutto fuori contesto – ricordo che, per essere informato delle nuove uscite libresche, mi arrivava a casa il catalogo della editrice E.Elle, che aveva l’esclusiva delle pubblicazione dei librogame.
Quel magico catalogo era uno scrigno che prometteva tesori, che lasciava intravedere cose belle.
Mi garantiva sicurezze – quelle che con l’età adulta non ho più avuto.
Catalogo alla mano mi facevo portare da papà alla libreria più vicina (le librerie sono quei posti mitologici dove un tempo vendevano volumi cartacei non necessariamente mainstream).
Si chiamava “Libreria San Vittore” ed era a Rho. I proprietari oramai mi conoscevano: appena entravo prendevano nota dei libri che volevo ordinare.
Eh, sì: i librogame li ordinavo, e non su Amazon.
Poi tornavo a casa e aspettavo la telefonata magica, in cui una delle due libraie pronunciava la formula magica più amata: “Il tuo librogame è arrivato, potete passare a ritirarlo!”
Mi portava quasi sempre papà, a volte mamma.
Hanno sempre incoraggiato le mie letture, anche quelle che dovevano sembrare parecchio strane, ai loro occhi di gente buona, semplice, laboriosa.
Le uscite periodiche di questi volumi – in particolare dei Lupo Solitario – scandivano le mie stagioni. Gli anni.
In mezzo c’era la scuola, c’erano gli amici, i film, i videogiochi. C’era zio, che a quarant’anni ha avuto un infarto che l’ha quasi ucciso. C’erano i nonni – di fatto miei secondi genitori – che invecchiavano e cominciavano ad avere problemi di salute.
Anno dopo anno c’era anche quel piccolo tarlo, quel pensiero che faceva capolino tra le altre cose, e che diceva che da lì a breve la vita non sarebbe stata più la stessa.
Magnamund è sempre stato un rifugio.
Per anni Joe Dever mi ha preso per mano, mi ha istruito a essere un Ramas.
Mi ha insegnato che essere uno dei buoni è una cosa giusta, che il Male lo si combatte anche se si rimane soli, disarmati, senza punti di riferimento.
Magnamund è stato un viaggio durato almeno dieci anni. Probabilmente qualcuno di più.
Anche quando ero già “passato di livello”, impegnandomi nei più complessi giochi di ruolo, Lupo Solitario è sempre stato un ospite gradito dei miei scaffali.
Magari c’era un pochino meno di magia, perché da grandicello avevo compreso i meccanismi dei librogame. Però la serie si è tenuta a lungo su livelli altissimi, sempre rifacendosi a quello strano fantasy così poco tolkeniano, così cupo e al contempo epico.
Il connubio tra la scrittura di Joe Dever e le illustrazioni di Gary Chalk, che ha caratterizzato i primi sette o otto volumi della saga, è qualcosa di potentissimo, nel mio immaginario.
Ancora oggi, vedendo certe immagini e ricordando talune situazioni di gioco, il mio bambino interiore grida un entusiasta WOW!
La magia di quegli anni non è dunque mai svanita del tutto, né probabilmente svanirà mai.
Mi piace pensare che, se avrò la dubbia fortuna di invecchiare, avrò ancora sullo scaffale quei libretti perfettamente ordinati, dall’aria vissuta, e che accarezzandoli sentirò ancora il clangore delle armi della battaglia sul ponte di Alema, il calore emanato dalla Spada del Sole, la risata satanica di Vonatar, la saggezza contenuta nel Libro del Ramastan.
Perciò, ecco, io qualche lacrima la sto spendendo anche oggi, mentre scrivo questo post.
Perché non si può rimanere impassibili quando se ne va il tuo papà letterario, il tuo maestro, il tuo compagno di strada.
Grazie di tutto Joe.
«Ora sei tu l’ultimo Ramas superstite: ora il tuo nome è Lupo Solitario.»
(Articolo di Alex Girola – Seguimi su Twitter)
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