Fiorisce a Lecce un nuovo spazio espositivo e contenitore culturale: la E-lite Studio Gallery. Fondata dall'artista leccese Carlo Cofano e dalla consorte Claudia, la galleria di arte contemporanea sarà inaugurata giovedì 19 aprile, con la mostra "Overture 2012". Espongono lo stesso Carlo Cofano, insieme ai compagni d'accademia Massimo Quarta e Valentino Marra, e l'artista abbruzzese Lucio Diodati. Quattro artisti, promotori del progetto, che rappresentano differenti percorsi artistici, tutti nell'ambito della pittura, e che esporranno sette opere ciascuno. In una collettiva, curata dalla giornalista Marina Pizzarelli, che è la testa di ponte di una serie di iniziative dedicate all'arte contemporanea in programma negli spazi della E-Lite Studio Gallery. L'iniziativa è promossa dalla neonata associazione culturale Iconauta, finalizzata alla valorizzazione dell'arte in territorio salentino e nazionale, formata da curatori d'arte, educatori museali e didattici.
"Ouverture 2012" - Carlo Cofano, Lucio Diodati, Valentino Marra, Massimo Quarta
Fino al 12 maggio 2012
Inaugurazione giovedì 19 aprile, ore 19.30
Orari: dal lun al sab. 9.00 -13.00 -17.00 – 20,00 ingresso libero
E-lite Studio Gallery, galleria d'arte contemporanea
Corte San Blasio 1C (centro storico), Lecce
Infotel: 393.87.63.086 (E-lite Studio Gallery); Iconauta: 338.63.38.627 – 3201744859
Infoweb: http://www.iconauta.it/
Catalogo della mostra con testo critico di Marina Pizzarelli:
Benvenuti nella nuova galleria che Carlo Cofano, artista con un background di tutto rispetto (vanta ascendenze illustri come Michele e Mario Palumbo ed è lui stesso una vitale realtà nel mondo dell’arte), apre nel centro storico di Lecce, in uno spazio amorevolmente restaurato per dilatarsi nella dimensione dell’arte e della poesia.
Un punto di luce in una città che da tempo soffre il buio del disinteresse istituzionale nei confronti dell’arte contemporanea (sebbene sia sede di un apparato scolastico e formativo nel settore ampio e capillare, dal glorioso Istituto d’Arte al Liceo Artistico, alla prima Accademia di Belle Arti della regione, fino alle facoltà universitarie di Beni Culturali e Dams); una città in cui le gallerie private chiudono o stentano a vivere e gli spazi pubblici aprono –senza alcun filtro selettivo- ad iniziative di mediocre livello, incapaci di animare interesse per la ricerca artistica del nostro tempo. Ben vengano, dunque, le iniziative dei coraggiosi e appassionati che intendono contribuire allo sviluppo del territorio attraverso la promozione di attività dirette a favorire la creatività, il confronto di esperienze e idee, la divulgazione dell’arte e della cultura.
Un punto di luce, quindi, e con tutti i suoi significati simbolici e metaforici, come indica il nome della galleria –E-lite Studio Gallery- in un gergo tecnologico contemporaneo icastico ed abbreviato, come si addice ad un luogo “giovane” e proiettato nel futuro (E come electronic , lite come light = E-lite); e insieme, con un’ambiguità di lettura (élite) che suggerisce un’idea aristocratica e selettiva delle scelte, legate al “fare” pittura nel suo significato più pieno. “Onore al merito”, dunque, come si afferma in una sorta di dichiarazione-manifesto che anticipa la possibile creazione di un “gruppo”.
Si vuole una pittura che parli di sé e del suo carattere evidente, col gusto dell’esattezza e della qualità cromatica, la fiducia nel mestiere e l’ancoraggio realista, nel senso che un primario referente figurale, un’icona, viene garantito al di là di ogni manipolazione tecnica o espressiva, di qualsivoglia sovraccarico di senso. D’altronde la mymesis è categoria nostalgicamente presente nell’arte di tanti secoli, a partire dall’età classica, sì da divenire la poetica fondamentale di molti artisti, fino alle più recenti figurazioni dovute a
manipolazioni d’immagine tecnologiche (fotografia, video, computer).
Mi pare sia questo in sostanza il comun denominatore che unisce il gruppo d’assalto che rompe il ghiaccio ed apre la strada all’attività della galleria: 3 (Carlo Cofano, Valentino Marra, Massimo Quarta) + 1 (Lucio Diodati), salentini i primi e già compagni d’Accademia di Belle Arti, globe trotter il quarto, uniti in una sorta di aggregazione spontanea nel nome dell’arte e dell’unità d’intenti. Qui l’arte inventa continuamente una sua realtà, combatte la banalità quotidiana, suggerisce enigmi, è spazio aperto, forse l’unico spazio possibile di libertà.
Alla base della pittura di Carlo Cofano, insieme cupa e seducente, talvolta inquietante, vi è un ampio deposito di memorie culturali che si sono stratificate ed assommate senza tuttavia incidere sulla genuinità dell’ispirazione. I suoi Notturni metropolitani rimandano ai tanti magici notturni della storia dell’arte, ma probabilmente è più ai “notturni” musicali che si apparentano, per certe armonie e dissonanze, per gli improvvisi acuti timbrici della gamma cromatica, per la forte capacità evocativa.
Sono metropoli deserte, percorse da scie luminose di traffico, “non luoghi” malinconici e precari, metafore di solitudine e alienazione, in cui anche il senso del nostro esistere si perde. Lo scatto fotografico da cui derivano, volutamente impreciso o mosso, talvolta fuori asse, produce immagini sbilanciate e spiazzanti, come di uno sguardo ebbro, in opere che sembrano fondere la drammaticità della Notte stellata di Van Gogh con le solitudini di Hopper. Talvolta alla nuda realtà urbana si associano immagini o figure simboliche, atte a fornire indizi capaci di farci intuire quel “percorso dell’anima” che Cofano pratica da tempo nella sua pittura, una sorta di scavo interiore attraverso l’arte, quella che Platone definiva “la divina forza liberatrice dell’uomo dal suo modo di vivere consueto”.
Diodati e Marra sono associati nella comune ossessione per l’immagine femminile.
Le donne di Lucio Diodati –opulente, sensuali- sono come timbri nel passaporto dei suoi numerosi andirivieni, ce ne riportano idiomi profumi colori, ma in fondo rappresentano un’unica, reiterata tipologia fisiognomica. Sono donne dallo sguardo languido e assorto, talvolta vago nel nulla, sempre in primo piano nella calda luminosa atmosfera che regna in ogni ambientazione. L’uomo non c’è, assente o da quest’altra parte del piano dell’opera, voyer non visto. È sempre lei che domina la scena di un teatro sempre vivo.
Diodati è il pittore della leggerezza. Sceglie la luce, la trasparenza, la chiarezza diurna. Sembra dipingere su vetro.
Le sue donne sono sagomate nel ductus di una linea ondulata che descrive lo spazio e definisce i corpi, quasi seguendo una sorta di automatismo rappresentativo, ai limiti della decorazione. Fisso e immutabile rimane
l’impianto strutturale dell’opera nel suo insieme, scandita com’è nel fondo da ripartizioni spaziali e tagli da cui emergono, stagliandosi con nettezza, le figure.
È una pittura che si colloca nell’ambito di un neo-figurativismo italiano, con reminiscenze post-cubiste.
I volti femminili di Valentino Marra, in implacabili primi piani, sono come aggrediti da uno sguardo ossessivo e visionario, innamorato. Dalla quotidianità dell’espressione qualunque, l’artista porta il soggetto verso uno stravolgimento, carica un particolare –capelli occhi labbra pelle tagli di luce- e arriva a raccontarci della seduzione, della malinconia, del mistero, dell’unicità della donna.
Questi zoom a distanza ravvicinata –frutto di manipolazioni fotografiche rilette in sapienti velature di colore- accentuano una sorta di monumentalità del volto, talvolta con esiti glamour. È come se l’artista, contro l’appiattimento subito dall’essere-massa contemporaneo, volesse, attraverso lo sguardo, coglierne l’anima, ricordarne l’individualità schiacciata e diluita nell’omologazione. L’enfasi delle grandi apparizioni non porta al melodramma, ma al pathos, poiché, pur nella loro magniloquenza, sono dominate e rivelate dalla deformazione delle immagini, da una sintesi sommaria, dalla qualità alta del colore.
Le donne di Marra sono come sospese in un’età fuori dal tempo. Si mostrano, e noi le vediamo, come ci accade di intravedere in certe poesie d’amore di Baudelaire, apparizioni riservate più al rimpianto che alla gioia di vivere.
Da tempo Massimo Quarta frequenta mondi extraterrestri, anzi ormai i suoi alieni, i Farbo. Nauti, sono del tutto inseriti e naturalizzati tra gli umani: come noi vivono, abitano il pianeta, si vestono, hanno corpi simili ai nostri, le nostre abitudini, frequentano i nostri luoghi… Non hanno però fisionomia umana e i tratti del volto sono mutati in un unico orifizio che (forse) li compendia tutti. Sono una presenza ormai familiare e quotidiana, come quella della pubblicità, un campionario di inquietudini e fantasmi che non si sa bene cosa vogliano da noi. Si presentano come una sorta di inconscio estroflesso, materializzazione di proiezioni psichiche che attraggono lo sguardo con un’irresistibile forza magnetica. E la loro normalità e quotidianità esorcizzano paure inconscie.
Si fondono, nell’originalissima figurazione di Quarta e in una pittura di grande qualità, alcuni dei temi più sentiti del nostro tempo: il tema della post-catastrofe, delle identità mutanti, della natura transgenica, dell’ecologia planetaria, dell’invasione degli alieni (o stranieri o extracomunitari)… Il tutto in immagini di grande effetto provocatorio e insieme divertenti, nate da percorsi labirintici della mente, da flussi incontrollati del pensiero. Immagini costruite secondo la logica dell’accumulo e dell’eclettismo, talvolta glamour e patinate, talaltra fumettistiche e pop, affini senza complessi a quelle cinematografiche, televisive, pubblicitarie.
Quarta appartiene a quella genìa di artisti che da sempre hanno sognato di rappresentare l’insolito, di dar corpo alla fantasia, di oltrepassare i confini della realtà e viaggiare verso l’altrove. Solo che oggi il termine fantastico si è sostituito con fantascientifico : i mondi lontani sono sempre più vicini, anzi i Farbo.Nauti sono tra noi.
Marina Pizzarelli