Francesco Bocchini viene alla luce a Cesena nel 1969. Vive e lavora a S. Angelo di Gatteo, tra Gambettola e Cesena. L’ho incontrato nel suo laboratorio, una vera e propria officina, traboccante di oggetti ordinati con stile e cura. Mi è sembrato di entrare nella bottega di un artista rinascimentale capace di una grande intimità con la materia che lavora. Il suo regno è quello delle lamiere e della latta, che nelle sue mani si trasformano per dare vita a macchine colme di poesia e pensiero. Se a prima vista infatti i suoi macchinari possono sembrare innocui e graziosi giocattoli, a una lettura più attenta rivelano tutta la loro insofferenza per un mondo dominato dalla tecnologia.
Il tuo laboratorio si trova a Gambettola, la patria dei ferrivecchi. Per realizzare le tue opere utilizzi scarti di lamiera e di latta. Come è avvenuto l’incontro con questo materiale e perché l’hai scelto come tuo fedele compagno?
Non so se sia stata una scelta, essendo nato qui. Devo dire che negli ultimi tempi la situazione a Gambettola è cambiata. Una volta era più facile trovare materiale, c’erano tanti piccoli demolitori che recuperavano le latte dietro casa. Adesso c’è un Consorzio che rende tutto più difficile, nel senso che c’è più controllo. I materiali poi li trovo comunque magari in Danimarca, in Germania. Immagino poi Paesi come la Cina, l’India o i Paesi dell’ex blocco sovietico, lì dev’essere pieno di cartelli pubblicitari della vecchia scuola...saranno bellissimi. Una volta ho trovato un cartello sbiadito, qui da noi, si leggeva una freccia poi una O e una E, sembrava un rebus…molto interessante! Comunque adesso uso soprattutto le capotte delle macchine.
Le macchine che costruisci sono ribelli. Quando giri la manovella compiono movimenti sussultori e sgrammaticati. Non compiono il loro dovere di macchine e cioè servire a uno scopo pratico. Guardandole mi vengono in mente Le macchine inutili di Bruno Munari, marchingegni che paradossalmente non servono a nulla…
Sarebbe un guaio se non ci fossero queste macchine, perché è vero non servono a niente, ma in realtà possono servire a tanto. È il discorso dell’arte. L’arte in sé non serve a niente, ma nel profondo invece è fondamentale. È segno di una conquista da parte dell’uomo, permette di vedere cose che altre discipline, come la scienza, non sono interessate a ricercare. Poter lavorare anche con l’immaginazione…non la trovi una materia così, che ti dice: “lavora con l’immaginazione, vai a trovare qualcosa che non c’è, che non esiste”.
In queste opere c’è anche una parodia, una presa in giro della cosiddetta civiltà delle macchine, cioè del presunto dominio delle macchine sull’uomo?
Beh sì, una volta si vedeva attraverso la macchina l’emancipazione dell’uomo. Si pensava fino agli anni ’60 che la macchina avrebbe fatto il lavoro dell’uomo e l’uomo avrebbe goduto i frutti di questa liberazione. In realtà il grande fallimento è stato proprio questo. Se tu pensi al luddismo, alla fine del ‘700, alla sua lungimiranza. Gli operai manomettevano le macchine per protestare. Le sentivano come una minaccia al valore di quello che facevano e in effetti le macchine provocarono tassi altissimi di disoccupazione e la diminuzione dei salari. Questo è di sicuro un altro aspetto del mio lavoro, un discorso che si apre su temi legati alla società.
Che cosa hai ereditato dello spirito Dada? Che cosa ti parla ancora della loro arte?
Io ho un amore sconfinato per il Dadaismo. Innanzitutto è nato in un modo stupendo. A cominciare dal loro manifesto, la scelta di quella parola, dada, che non doveva significare niente, però poteva avere tanti significati. Allora c’era chi diceva che Dada era la tata, chi invece pensava che nel linguaggio dei bambini fosse il cavallo a dondolo.
L’idea che animava gli artisti era fortissima, perché Dada doveva arrivare fino al paradosso di distruggere se stesso. Non doveva esserci nessun principio dogmatico. Secondo me quello è stato uno degli apici della storia dell’arte e del pensiero in generale. Poi i dadaisti hanno introdotto tanti elementi nuovi all’interno dell’arte. Innanzitutto il fatto di porre l’attenzione verso tutto ciò che non era considerato artistico. Ecco perché si interessavano a tutto ciò che li circondava, dal fatto politico, al fatto di costume, al teatro, alla poesia…cercavano di mettere tutto insieme.
Qual è il ruolo dell’artista oggi secondo te?
L’artista oggi purtroppo ha perso centralità. Una volta scriveva, interveniva nei dibatiiti, prendeva posizione. Adesso è diventato colui che costruisce le sue cose in studio e basta. Non parla, non si confronta con gli altri artisti, non esprime opinioni per paura di scontentare qualcuno.
A proposito di pensiero, mi ha colpito una tua installazione che si intitola La forza del loro pensiero, ce ne puoi parlare?
La forza del loro pensiero è un lavoro sugli anarchici. Su una scaffalatura è disposta una lunga fila di bottiglie. Su ogni bottiglia c’è scritto il nome di un anarchico. Siccome i pensatori anarchici non sono per niente conosciuti - sebbene il loro contributo sia stato decisivo - ho voluto dedicargli questo lavoro. Allora mi piaceva abbinare all’idea della bottiglia, che è un oggetto che si presta alla classificazione, il nome di un anarchico. Come in una parata di fantasmi della storia, l’etichetta stava ad indicare qualcosa di immateriale: i loro pensieri, le loro utopie. Pensa, che a un certo punto l’installazione voleva comprarla la Gancia. Poi quando li ho incontrati, ho detto: “volete metterla in esposizione all’entrata?! Bene son contento, questi son tutti anarchici!”. Non l’hanno più presa. Poi, fortunatamente, l’ha acquistata un collezionista di Milano. Bene, son proprio soddisfatto, che sia andata così!
Breve biografia
Francesco Bocchini è nato a Cesena nel 1969. Vive e lavora a Gambettola (FC). Ha esposto a Roma, Milano, Modena, Vienna, Colonia, Francoforte. Dal 1992 al 1995 lavora con il Teatro Valdoca di Cesena. Nel 1998, durante un lungo periodo in Danimarca, realizza un'installazione per Infinito con due compagnie italo danesi, Rio Rose e Bjorn Theatre. Nel 2001, con la compagnia Deicalciteatro a Bologna, realizza le macchine sceniche per Lombroso-Amleto, Trittico del volto e No ordinary chill.Tra le sue mostre personali ricordiamo Tutti vivi, tutti morti, tutti rivivi, tutti rimorti (2010 - Andrea Arte Contemporanea, Vicenza); Un braccio ruminante ( 2009 - Galleria Il segno, Roma); Gloriette (2007 - Galleria L’Affiche, Milano); Bulgarico (2004- Galleria L’Affiche, Milano).