Behind the cage

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Cosa c’è di più costrittivo di una gabbia, e cosa di più libero dell’arte? la commistione contraddittoria e stridente di questi due concetti permea l’esposizione facendoci intuire che c’è molto da scoprire dietro quelle sbarre, ascoltando il silenzio e chiudendo gli occhi…

 

Un altro ossimoro forse, che accompagna latentemente il nostro cammino tra percorsi visivi ed uditivi basati su percezioni, sensazioni, moti dell’animo e spirito ribelle: in apparente conflitto tra autoaffermazione dell’artista e costrizione che impone la società odierna, le opere in mostra raccontano, suggeriscono o gridano di singole prigioni, di apatia o di disagio, di aggressività o di rabbia, facendoci vedere attraverso lo sguardo di chi quell’incatenamento l’ha subito, o voluto, o cercato, soffrendo o godendo per liberarsene.

Ce lo sussurrano i video di Eleonora Manca, il cui esile corpo diviene protagonista di un messaggio in realtà lacerante, come una magrezza che ci può parlare di anoressia, di sacrificio o di stordimento; ci si vorrebbe scollare di dosso, fisicamente i propri limiti ed i propri difetti, ma anche le proprie lotte, il superamento, l’abbandono, e quello straniamento di chi non si riconosce e non può che continuare a cercarsi, in una lotta senza fine tra poesia, arte, musica, teatro, e vita.

Ce ne parlano le eteree ed eterogenee gabbie (o sottogonne?) di Mina D’Elia, strutture mobili, flessibili ma statiche, ognuna con un elemento diverso per ricordare forse che ogni individuo ha il suo destino imprigionato da un fato crudele; così come fatalmente è catturata l’infanzia nelle foto di Claudia Casentini, un’infanzia violata da abbellimenti che abbruttiscono, tanto sfacciatamente spiattellata da risultare plagiata, in una complessa artificiosità che ricostruisce esperienze mostruose e destini perversi di chi non ha potere né coraggio né forza per ribellarsi.

C’è poi il video techno di Franco G. Livera, che ci allerta preventivamente preparandoci alla sequenza di immagini soft-porno da shock contemporaneo – valido solo per anime candide lontane dalla società attuale – una serie che autocompiaciuta da voluttà e volontà, sangue e catene, ci trascina in un flash psichedelico dai colori fluo per ridurci in quella trance tipica di una sbornia notturna, della quale poi non rimane altro che quell’alito pesante di alienazione e solitudine, amaro in bocca e salato sulla pelle. Scelta consapevole o forzatura, rimane un vincolo dell’ambiente esterno che si vive sul proprio corpo, iperstimolandolo e violentandolo di eccessi.

Ancora Francesco Cuna con le foto e le installazioni dal simbolismo accennato e misterioso, come le sue macchine, giochi di tortura, strumento per il lavaggio del cervello o per la cancellazione della memoria, vera e sola artefice del legame affettivo dei membri delle famiglie che, potrebbe suggerire, l’ereditarietà farà trasparire in altro modo, dai tratti somatici alla follia reiterata della psicosi…la peggiore delle gabbie, quella che portiamo nei geni senza conoscerla e senza poterla mai controllare.

Infine, Giuseppe Stellato, sound designer che costruisce la sua storia tra rumore ed installazione, tra urlato e concepito, tra sussurrato ed immaginato: e ci parla del blocco dello scrittore e dell’ansia da pagina bianca, di una folle crudeltà e di risate disperate, in un dialogo a due che è anche un po’ monologo e si confonde con l’assiduo ticchettio della macchina da scrivere. L’effetto è un insieme di flash psicopatici nell’interazione dei tre con le parole spezzate ed intermezzate sullo schermo, accozzaglia di lettere che producono parole vuote, come vuota è la comunicazione di chi non ha nessun messaggio da trasmettere, o nessun ascoltatore che possa recepirlo. Nonostante le migliaia di forme e di mezzi di comunicazione, essa non ci appartiene, anzi ci sfugge, ci ingabbia ed impigrisce nella nostra solitudine dorata, rotta solo dalla fuga, o dalla follia.

È questo ciò che si trova dietro la gabbia, e ciò che alberga dentro di noi, inconsapevoli di essere pienamente contraddittori in una scelta che non è subita bensì voluta: saremo capaci di infrangere tali limiti solo partendo da essi, e gli artisti ce ne disegnano diversi, grazie all’interessante lavoro delle due giovani curatrici, per ideare trame da arricchire ognuno con la propria esperienza, le proprie emozioni, i propri corpi.

 

Behind the cage

Lecce, Castello Carlo V

Dal 3 giugno al 3 luglio 2013

 

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