Il corpo. Il sogno. La visione trasversale. Questi i temi dell’opera di Virginia Panichi, classe 1981, artista fiorentina, nata nella moda- cresciuta con l’arte - innamorata della fotografia. Nel suo curriculum spiccano collaborazioni con fiere prestigiose come il MIA di Milano e con gallerie di tutta Italia. Colloquio con l'artista che, tra sogni, immagini cyborg e modelli rinascimentali, ha conquistato anche l'ultima Biennale di Venezia.
Virginia Panichi. Classe 1981. In cosa in particolare ti senti una “giovane artista”?
Oltre ad un fattore anagrafico la definizione di Giovane Artista la vorrei per tutta la vita! Intendo in senso più ampio la gioventù come curiosità, elemento fondamentale per chi come me è in una ricerca continua che sconfina oltre i limiti dell'arte. La giovinezza è energia propulsiva e creatrice che permette di avere una visione trasversale del mondo, come in un caleidoscopio dove piano piano i colori diventano forme.
Che parole useresti per descrivere la tua arte?
L'arte è una visione o meglio una serie di visioni che portano poi, con un mezzo piuttosto che un altro, alla sua realizzazione. Descrivere questo stato che io trovo "intimo" è quasi un mettersi a nudo. Lavoro con la fotografia perchè la pittura era diventata troppo lenta per canalizzare un flusso di idee tanto rapido e rischiavo un sovraccarico. Monto pezzi di memorie, di vita, di immagini che diventano un mondo nuovo. Seguo sempre una linea guida che arriva da uno studio accurato ed in continua evoluzione, come i miei corpi. Parlo di situazioni crude ma con delicatezza senza perdere mai di vista la bellezza della forma, che trovo fondamentale per chi fa arte: procurare piacere e portare a chi osserva quello che io stessa vorrei trovare, come in una buona cena!
Hai dei modelli o qualcuno da cui ti senti ispirata?
Adoro Salvador Dalì per la sua follia rigorosa e per il fatto di essere un artista in tutto, ma con gli stessi occhi guardo ai maestri del Rinascimento, il Bronzino che trovo di una contemporaneità assoluta con i suoi colori brillanti e gli incarnati candidi e ancora lo scultore Spagnolo Javier Marin che dà vita ai suoi giganti: volti asessuati e ibridi. Ci sono dei fotografi molto interessanti ma troppo contemporanei per poterli guardare senza assorbire a tratti la freddezza propria del mezzo. L'ispirazione, per chi sa coglierla, arriva da orizzonti più disparati. Principalmente è lo studio che verte in una precisa direzione che fa attaccare il seme su un terreno fertile, da lì si sviluppa l'idea e la scintilla iniziale diventa un focolaio! Ma l'ispirazione nasce anche in un attimo, da una parola, da un libro per bambini, da un sogno, ecco si', dal sogno nascono molti dei miei lavori. Da un' inconscio assolutamente guidato!
Nelle tue opere è centrale il corpo femminile, spesso nudo. Le ragioni sono solo estetiche oppure la tue è una vera poetica?
Ci sono ragioni estetiche per le quali non scelgo dei corpi maschili: la donna è la più suscettibile nella storia dell' estetica stessa al dover seguire i cambiamenti dei canoni e spesso a volerli oltre limite. Il corpo contemporaneo è il tema che studio ormai da anni, un corpo che sembra esser diventato obsoleto, che modifichiamo in una continua evoluzione ( chirurgia estetica, transessualismi, piercing, tatuaggi, arti artificiali...) per arrivare ad un super corpo che va oltre se stesso. Queste costanti muta/azioni portano ad uno spaesamento identitario, vengono cioè a mancare quei punti fermi, quelle classificazioni sessuali o puramente estetiche.
I tuoi personaggi presentano spesso abiti vistosi accompagnati da acconciature elaborate. Quanto influisce nelle tue opere la tua formazione nella moda?
La moda è stata fondamentale per acquisire "il mio gusto" e per poter essere in grado di manifestarlo nei miei lavori. Mi piace molto usare le mani e capire di essere capace di gestire il mio lavoro dal bozzetto iniziale, alla ricerca degli oggetti, allo studio delle acconciature fino al clic finale. Sarò forse un po’ presuntuosa ma non vorrei che qualcun altro truccasse, vestisse o acconciasse le mie "modelle", perchè in quel preciso momento si stabilisce una connessione fisica e umana tra artista e collaboratore, tra i miei personaggi e me stessa, che divento spettatore della mia visione.
Una grande attenzione anche per ambientazioni e costumi, dunque. Quando componi le tue opere ti senti più fotografa o più scenografa?
Nessun dei due ed entrambi! Lo so è paradossale, ma il modus operandi dei miei scatti fa si' che sia tutto e niente come spiegavo sopra.
Moda, fotografia e arte figurativa. Quale di queste tre arti senti più tua?
Sono tutte e tre fondamentali. Non cerco un unico legame, ma un rapporto continuo di amore puro. La moda mi ha fatto acquisire la manualità che adesso mi è utile per "costruire " gli abiti della mie donne, mi ha fatto sentire come può essere viscerale il rapporto con un tessutoe quanto un abito può essere corpo e al contrario quanto un corpo nudo può essere un abito perfetto. La pittura mi ha levato ogni pigrizia, mi ha fatto arrabbiare, abbiamo litigato quando un dettaglio non risultava come io lo immaginavo. Ho capito come maneggiare i colori, sbagliando mille volte e vedendo la meraviglia nell'errore, mi ha dato rigore e precisione e mi ha fatto scoprire i grandi maestri che ancora mi fanno commuovere. La fotografia è entrata silenziosa, permette di riunire la moda e la pittura in un unico scatto, la preparazione del set, i fondali, i costumi ed il trucco che diventano un quadro digitale. Non mi sento però propriamente appartenente a nessuno dei tre campi, giochiamo in un ménage a trois.
In questo mènage sei protagonista in prima persona: in molte delle tue opere sei tu stessa il soggetto.
Molto spesso l'artista non è un animale da palcoscenico, rimane silenzioso dietro ai suoi lavori e lascia che loro parlino per lui. Ci sono state però delle grandi rivoluzioni nel corso della storia, artisti che facevano del loro corpo l'opera stessa mettendosi in gioco totalmente. Quando si parla di corpo e quando lo si studia, dobbiamo viverlo in prima persona, capire che il corpo non è uno ma che rinasce e vive di forme nuove, anche nello spirito. Interpretare io stessa ciò che voglio raffigurare è introspettivo e trovo che l'autoscatto colga degli aspetti inconsueti di un timido narcisismo che rende più veritiera l'immagine.
Un’artista come Virginia Panichi ha un atelier?
Si ho un atelier in campagna in una piccolissima zona artigianale sulle colline ai limiti di Firenze. Avere uno studio dove lavorare è assolutamente necessario, diventa una prima casa, uno spazio coibentato dalle infiltrazioni esterne. Là di tanto in tanto mi concedo il lusso di dipingere.
C’è una tua opera a cui sei particolarmente legata?
C' è una serie di tre scatti a cui sono particolarmente affezionata. Hanno richiesto una ricerca ben precisa degli oggetti, ho disegnato un sacco di bozzetti per il trucco e per gli accostamenti dei gioielli con le stoffe e gli sfondi. Raccontano di come negli immaginari cyborg il corpo umano sia un corpo invaso dalla tecnologia dove l’ uomo si avvicina strettamente a questa, nel corpo, nell’ anima e nel pensiero. Lo studio di ricerca artistica arriva invece ad una diversa conclusione che riguarda il corpo contemporaneo e la sua identità: è vero certo che non possiamo rinnegare il contatto diretto e costante con la techne ma c'è un ritorno forte alla natura, la ricerca delle nostre radici, della storia che invece di stridere con il contemporaneo si fondono dando vita al post-cyborg. I "copri capo" così si sono snodati come una naturale appendice della testa, è servita molta pazienza perché tutto tornasse perfettamente. Non c'è in questo caso rielaborazione al computer, in altri scatti invece si, dove il corpo è sospeso o dove gli arti si raddoppiano come in "Soggiorno completo", è anche quello un modo di dipingere virtuale.
Si potrebbe pensare che la tua produzione si suddivida in cicli.
Le mie fotografie raccontano spesso delle storie che sono legate a dei personaggi, non c'è quasi mai un'unica versione della storia ma si sviluppa in più "atti", da qua nasce la serie. Raccontare un concetto in un solo scatto sarebbe escludere delle parti integranti del racconto stesso. Esistono però anche fotografie singole che sono riuscite a non aver bisogno di un poi.
La tua ultima produzione riprende temi già affrontati o è del tutto nuova?
In anni di ricerca personale i corpi metamorfici degli inizi hanno trovato una loro posizione in un presunto luogo da "abitare": dagli sfondi neri, dove la percezione dello spazio stesso viene destabilizzata ora sono collocati in "praterie sconfinate" o "mari aperti". Lo svolgersi ulteriore di questa continua ricerca mi ha portato a disporli ora verso luoghi reali o assemblati, proprio come nella mia ultima serie di "levitazioni". L' immaginario paesaggistico risulta apparentemente in equilibrio perfetto, puro ma il panorama è ingannevole,la veduta ambientata in un ipotetico futuro è priva di natura, l'assenza asettica di qualsiasi forma vegetale o animale. Le figure sospese, Dee o guerriere subiscono mutazioni genetiche, simbolo di un corpo in progress in un’atmosfera priva di gravità. Il corpo vaga in uno spazio che è la sua proiezione mentale. La trasformazione non si ferma più all'interno del corpo stesso ma dilaga, sconfina in ciò che ci circonda, come una mutazione epocale.
L'anno scorso, il 18 settembre 2011 si è chiusa la tua esperienza alla 54. Biennale di Arte di Venezia. Hai allestito presso il Padiglione della regione Toscana. Com'è andata?
Questa Biennale è stata sicuramente una delle più criticate di sempre. Io l'ho trovata un esperienza personale molto positiva per quanto riguarda i padiglioni regionali, ha dato la possibilità di avere un panorama ampio e veritiero sul fermento artistico italiano, e ha spodestato (anche se non del tutto) i soliti nomi che padroneggiano da troppo la scena! L'inaugurazione al Museo Pecci è stata frizzante e assolutamente vissuta dalla gente comune quanto dagli artisti.
Idee e progetti futuri?
Ho in mente una serie di ritratti e che parleranno di trasformazioni, ho fatto un viaggio alle Canarie per trovare dei paesaggi asettici e surreali, ma voglio che siano una sorpresa! Ho diverse mostre programmate per questo inverno, personali, collettive e fiere a cui parteciperò nel corso del 2012, ho un bel calendario non mi lamento! Vi saprò dire!
Virginia Panichi nasce nel 1981 a Firenze, città dove tuttora vive e lavora. Dopo essersi laureata in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze, frequenta a Milano l'Istituto Italiano di fotografia. Le sue opere, sospese tra l'onirico e il glamour, ritraggono, attraverso la fotografia, scenari mitologici o fantastici popolati da personaggi eccentrici, di cui la stessa Virginia Panichi cura ogni particolare: dalla scenografia al trucco, dagli abiti all'allestimento. Attualmente collabora con diverse gallerie tra cui la Wannabee di Milano, la Paci Arte di Brescia, la Alessandro Galli di Varese, la Paolo Nanni di Bologna, l'Infantellina Contemporany di Berlino, la San Gallo Art Station di Firenze. Tra le esposizioni più importanti Virginia Panichi vanta il MIA FAIR 2011 di Milano e la 54. Biennale di Venezia, nel Padiglione regionale della Toscana.