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Maurizio Carriero - copertina n.174

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Maurizio Carriero - "Into my arms" - 2010 - olio su lino - 140x181 cm - Courtesy dell'artista

 

Una volta conobbi un giovane che per diletto fotografava la monumentistica cimiteriale. All'epoca non mi ero ancora del tutto convinto all'idea che, in fondo in fondo, a me garberebbe vivere nei pressi di un camposanto, pertanto quest'attitudine ad immortalare - mai termine fu più consono all'occasione - le vestigia ornamentali dei cimiteri mi parve di primo acchito un po' balzana. Benedetta ignoranza. Ora so per certo che detta estetica décadent sovente rasenta l'eccellenza. L'avrei ritrovata poi, in alcune fotografie appese al muro dello studio milanese di Maurizio Carriero (Piedimonte Matese, Caserta, 1980; vive e lavora a Milano). I soggetti pittorici di Maurizio Carriero non sono figure-di-qualcuno-o-qualcosa, bensì Figura plasticamente incline all'accoglimento dello sguardo esterno che in essa si ficca. I soggetti di Maurizio Carriero sussistono nel loro stesso congelamento, ma un caloroso gesto pittorico tempera la suggestione di codesta limpida freddezza attraverso sporcature che fanno vibrare il quadro: campiture su cui si sviluppano geometrie, scena - e non semplice sfondo - della Figura. E ciascuna di queste figure cela dentro sè l'arcano mitopoietico della Bellezza. Oltre che del saper dipingere, naturalmente. Merce assai rara e di gran pregio.

 

Riccardo Gavazzi - copertina n.172

riccardo gavazzi copertina lobodilattice

 

Riccardo Gavazzi - Senza titolo - 2010 - penna su carta - 50x50 cm - Courtesy dell'artista

La linea, punto zero della pittura. Talvolta la pittura è un disegno dipinto. Talaltra fra pittura e disegno si apre il pluriverso delle euritmie segrete. In questi disegni di  Riccardo Gavazzi (1982; vive e lavora a Milano) la pietà si trasfigura in agape cristica: la composizione s'inscrive in una croce ideale. E forse è proprio qui, dove le sporcature di pittura si ritirano a favore della linea luccicante come una lama, che il carnaio si fa spirito.

 

 

Mauro De Carli - copertina n.171

Mauro De Carli

 

Mauro De Carli - "The second born" - 2011 - puntasecca - linoleumgrafia - 35x50 cm - 20 es.

 

Non so perchè, ma quando Mauro De Carli (Milano, 1980; vive e lavora a Milano) mi parlò di una concezione materiaista dell'origine dell'umano per illustrare la sua produzione artistica, il mio pensiero corse a quel Claude Adrien Helvétius, philosophe dell'Illuminismo francese, e al suo trattato De l'Esprit, pubblicato a Parigi nel 1758 e subito bruciato sulla pubblica piazza come libro proibito dal clero e dal potentato politico. Naturalmente non auspico la stessa fine per le incisioni di Mauro De Carli, ma l'ispirazione vagamente deista che traspare dai suoi soggetti mi fa pensare alla condivisione di certe scorribande del pensiero condotte da quei philosophes francesi che si cimentarono nell'impresa titanica dell'Encyclopédie.
Ad ogni modo, le incisioni del De Carli portano con sè il portato di quella nobile disciplina della tecnica incisoria che è un piacere dei sensi "multistrato": non solo per il godimento del compulsare la carta pregiata su cui è incisa l'immagine, ma anche per il piacere di vedere sovente tali opere racchiuse in un libro d'astista. Come nel caso di Mauro De Carli, presentatomi anni fa da un validissimo pittore come un artifex optimus (non disse esattamente così, ma il senso è lo stesso), al quale auguro di trovarlo, quel libro proibito del povero Helvétius, e di tributare in qualche modo il temerario philosophe con le sue incisioni così enigmatiche e vive.

Gabriele Memola - copertina n.170

gabriele memola

 

Gabriele Memola - "Senza titolo",  acrilico su tela 250x250  (view large)

 

Inquadro l'opera di Gabriele Memola (Milano, 1971; vive e lavora a Milano) nella temperie dell'horror vacui. Navigo con gli occhi nella congerie di gesti strutturanti e segni calligrafici. Mi perdo. Non voglio approdare al lido del saper-guardare. Leggo le parole di un linguaggio letterario collocato in maniera interstiziale al di sotto e al di sopra e al di là di un disegno realizzato con pennarelli acrilici. Abbandono la lettura. Abbandono il percorso dello sguardo lungo l'appararto segnico e ficco gli occhi su una grande forma strutturata, stratificata, sostrato consustanziale alla dinamica di un quadro realizzato col corpo. Non più colore. Nero, bianco, grigio. E la sua eco, accompagnata a quelle parole letterarie che mi fanno pensare al riverbero di una voce silente senza proprietario, misteriosa, transeunte, lontana, lontana, lontana, lontana.

 

 

Giacomo Vanetti - Copertina n.169

giacomo vanetti - mutations

 

Giacomo Vanetti - "MUTATIONS", polaroid da video, stampa digitale 40x40cm, 2010

 

Potremmo chiamare la produzione di Giacomo Vanetti (1974; vive e lavora fra Varese e Milano) “fuzzy photography”: come la musica noise, ha il potere di evocare un’idea di distorsione. Fuzzy è infatti un termine inglese che sta a indicare l’indistinto, lo sfocato, ciò che si dilegua. Perfino nel territorio angusto della Logica esiste la categoria, appunto, della Logica Fuzzy.

L’opera del Vanetti richiede che noi osservatori c’impegnamo in qualche modo: non è che in questo caso si debba imparare a guardare un quadro, ma certamente abbiamo a che fare con un “incontro”, fra noi e l’opera d’arte, che ci impegna in una relazione non facile.

Come in musica occorre saper percepire la melodia che si agita al di sotto della distorsione, così Vanetti ci invita a trovare la bellezza celata dietro un’immagine dai contorni sfumati. Una bellezza fuzzy, appunto.

E la tecnica adottata rafforza quest’idea di distorsione: passaggi su passaggi, anche l’attraversamento dei mezzi espressivi (foto/video/e ancora foto) durante la fase di lavorazione dell’immagine. Il risultato finale è dato da immagini scabre, mai veramente fissate nell’eterno come quando si dice che con la foto s’immortala un’immagine.

“Immagini isolate, abbandonate, […] per permettere a chiunque di comprenderle senza possibilità di pensarle altrove, se non nella propria mente”, mi disse il Vanetti. Anche se l’autocoscienza prima è la stessa di che le foto le ha fatte. In una temperie storica come l’attuale, identificata da più parti nella “società dell’immagine”, è bello, quasi divertente, vedere immagini fantasmatiche che trovano ragion d’essere nella loro stessa negazione. Fa uno strano effetto. Come fluttuare nell’acqua.

Giovanni Manzoni Piazzalunga - copertina n.168

giovanni manzoni piazzalunga, senza titolo

 

 

Giovanni Manzoni Piazzalunga

Untitled - disegno fotocopiato, caffè, acrilico nero

12x3 metri - 2010 - Courtesy dell'artista

view large

 

Di solito si dice "pensieri a voce alta". Quelli di Giovanni Manzoni Piazzalunga (Cochabamba, Bolivia, 1979; vive e lavora a Milano) sono invece pensieri disegnati. Vi avrò stancato: non manco mai l'occasione di ricordare che l'arte dev'essere fedele al presente, senza d'altro canto indugiare eccessivamente in quell'autoreferenzialità di cui qualche bocconcino deve pur sempre rimanere sull'opera compiuta - sennò l'autore non sarebbe un artista.
Ciò che vale anche per codesto murale, che anzichè trovar collocazione sui vagoni della metropolitana o sulle pareti sbrecciate di periferia, è in certo senso un mosaico mobile - lo potete vedere nello studio del Manzoni o appeso alle pareti di uno spazio espositivo milanese dalle parti di via Tortona e poi, chissà, in una fiera d'arte contemporanea tipo quella di Abu Dhabi.
Non vi dev'essere un dialogo forzato col soggetto: la diversità è ricchezza e l'iconografia tradizionale ci è venuta a noia, soprattutto quella etnograficamente corretta. Ecco perchè ci garbano codesti Cristi bambini niri niri, insieme alle Vergini di cui c'invaghiremmo come fossimo tante Sante Terese d'Avila in adorazione di questo gigantismo in forma d'arte visiva.
Ci garba altresì il sincretismo religioso e acconsentiamo all'elefante induista che indugia sulle ferite del Cristo.
Pensiam male e solidarizziamo con gli atei devoti per riempire sempre più le nostre teste pensanti. Per questo motivo la testa vuota ridens del Manzoni ci fa ridere pure a noi.
Diceva il filsofo/sindaco venexiano Masismo Cacciari che chi crede che la filosofia non serva a nulla è un cretino.  Ecco, lo stesso mi sentirei di dir dell'arte.

Massimo De Caria - copertina n.167

Untitled - 2011 - Ferro, gesso e cera - 35,5x35,5x178 cm

 

Massimo De Caria (Milano, 1968; vive e lavora a Milano)

Untitled - 2011 - Ferro, gesso e cera - 35,5x35,5x178 cm - Courtesy dell'artista

 

Sì! Io so le mie radici!
Insaziato come la fiamma
Ardo io e mi consumo
Luce diventa tutto ciò che afferro,
Carbone tutto ciò che lascio:
Fiamma per certo son io.

(Friedrich Nietzsche. Scherzo, malizia e vendetta. Preludio in rime tedesche).

Noisegrup - copertina n.166

NoiSeGrUp - The CIP project_“for your safety” - carta da Poker - 2010

 

NoiSeGrUp - The CIP project_“for your safety” - carta da Poker - 2010

 

Ricordo che nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, l'amministrazione americana dotò i propri tanks di altoparlanti che "sparavano" brani di musica heavy metal al fine di terrorizzare il nemico durante le offensive, forse facendogli credere che fosse per essere invaso da una legione di diavoli. Fa specie che, fra i brani trascelti per aprir le ostilità, vi fossero anche quelli degli W.A.S.P., band notoriamente ostile al sistema americano e alle pratiche di dissuasione moralistica da esso perpetrate a protezione dei giovani - il comitato P.M.R.C. (Centro d'Informazione Musicale per Genitori) della moglie di Al Gore!
Non sapevo, però, che nel 2003, in occasione della seconda guerra del Golfo, il Pentagono, secondo una sottile pratica di indottrinamento e preparazione alla guerra, avesse deciso di dotare i propri soldati di carte da gioco raffiguranti i volti dei nemici da combattere, carte con cui trastullarsi durante le pause delle ostilità. Che diavoli, questi americani!
NoiSeGrUp è un collettivo artistico fondato da Stefano Lupatini (Brescia, 1976) che svolge una ricerca molto aderente e attenta alla contemporaneità. In modo particolare, il tema studiato da NoiSeGrUp è la comunicazione, o per meglio dire le distorsioni informative adottate in condizioni socio-politiche caratterizzate da regimi autoritari e/o dittatorali ma non solo: anche nelle "migliori" democrazie l'informazione è anestetizzata, per il combinato disposto dell'intrinseca impossibilità di un regime informativo libero e la natura pluriconflittuale delle cosiddette "isituzioni totali", di cui il governo, che ha facoltà d'allungare la longa manus sugli organi che lo dovrebbero controllare, è il diretto contraltare.
Non è che siano tutti brutti e cattivi.
Non è che si debba machiavellicamente avere la forza e il coraggio di raggiungere compromessi che siano i meno bassi possibile. Del resto, come diceva il compianto Pietro Nenni, politique d'abord.
E non è che siano tutti servi del potere.
E' che, come c'informò in un minuscolo fotogramma il celebre film Il presagio, la politica è il diavolo.
E' che, come già vedemmo in occasione di un precedente incontro con Stefano Lupatini, il sistema mediatico ha un potere mistagogico che rende volatile l'informazione e mellifluo il quarto potere.
Non sempre è così, anche se, come disse zì Giulio, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
Ma l'arte, quando è contemporanea, è fedele al presente. E alla verità.